Capitolo 27

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Quando sono tornata a casa poco dopo, mi ha chiamato al telefono l'assistente di mia madre, mi ha prenotato un biglietto di andata per Oxford, non ha voluto dirmi nulla ma sembrava urgente.

Perciò dopo due giorni, a mezzogiorno vado in aeroporto e prendo il volo diretto a Oxford, ovviamente sono in prima classe, adoro essere tornata la lusso.
Tre ore dopo arrivo a Oxford, casa dolce casa.

Da venti gradi me ne ritrovo dieci, per me è del tutto uno shock termico, tanto da voler prendere il piumino, ma sarei sembrata strana agli occhi dei miei compatrioti.

Dentro la limousine osservo, come se fosse la prima volta, il paesaggio fuori, casa.
Ristoranti su ristoranti so affacciano sulla strada e sui condomini che si innalzano da parte a parte.
Gli autobus a due piani sono ovunque mi giri, un'apocalisse sembra.
Ma mentre guardo, trattata da principessa, seduta sui divani in pelle della limousine il paesaggio fuori non posso fare a meno di sentire la mancanza di qualcuno.
Non riesco bene a definire chi sia ma so solo che non dovrei essere qui, che sono lontana da lui, voglio guardare il suo stesso cielo.

Mi asciugo velocemente le poche lacrime silenziose che scendono sulle mie guance, siamo arrivati.
Entro frettolosamente dentro casa, non aspetto nemmeno che l'autista porti dentro le mie valigie.
Non trovando nessuno però, mi siedo su un divanetto in pelle nera all'ingresso.
Siamo di fianco a Carfax Tower, mi appunto già di visitarla più tardi.

Entra dalla porta l'assistente di mia madre.
"Salve signorina Adams" mi saluta l'assistente che si chiama Angeline.
Non ho mai avuto a che fare con lei prima di oggi, di solito mi rispondeva quando chiamavo mia mamma al telefono, al massimo me la passava o diceva che non c'era.
"Sua mamma oggi non la riceverà, è impossibilitata, la prego di seguirmi così le spiego" mi spiega per cui sono costretta a seguirla.

Mi porta in una stanza che riconosco subito; lo studio di mia madre, quante volte avrò passato a sorbirmi le sue ramanzine seduta su quelle poltrone rosse, mentre la guardavo seduta dietro la sua scrivania.
Solo che adesso dietro la scrivania c'è un uomo in camice bianco.
"Buongiorno signorina Adams" sento dirmi per la seconda volta e per la seconda volta rispondo non sapendo cosa sta succedendo.
"Prego, si accomodi" dice sedendosi sulla sedia della scrivania, indicandomi la poltrona.
"Se si sta chiedendo dove sia sua madre sappia che lei è in ospedale attualmente" mi spiega il dottore e molte domande mi ronzano in testa, ma è come se avessi del filo spinato attorno alla gola che mi impedisce di parlare, per cui ascolto il dottore, impotente.
"Sua madre soffre di dipendenza di alcolismo, signorina, e soffre di allucinazioni molto gravi, non è in sé attualmente appena un giorno fa ha avuto una grave crisi, le abbiamo impedito di fare delle telefonate, al momento" ascolto il dottore e in tanto annuisco, mentre aumenta la mia incredulità.
Ci resto così male a sentire queste novità che non ho nemmeno la forza di arrabbiarmi, Dennis lo sapeva una volta esser venuto qua? Quando è successo che ha iniziato a bere mia madre?

"Suo fratello Dennis, ha firmato la carta per mandarla in un centro riabilitativo, da quello che ci ha spiegato quando sua madre ha saputo che eravate in ospedale incoscienti è impazzita e ha bevuto molto, fino ad andare in coma. Per questo suo fratello ha deciso di mandarla in questo centro, per aiutarla, ma non possiamo farlo se non abbiamo la sua firma, dovete essere entrambi d'accordo" spiega il dottore posizionandomi una carta davanti agli occhi e appoggiandomi una penna lì di fianco.
Cosa faccio? Firmo o no?
Sinceramente di più per la stanchezza che provo decido di fidarmi di mio fratello, e firmo.

Quando torno a Gibilterra, quattro ore dopo non ho la forza di dire nulla a mio padre della mamma, non riesco più nemmeno a parlargli. Non saremo più come prima.

A lavoro continuo a fare danni, sbaglio continuamente con gli strumenti e faccio cadere ogni cosa mi ritrovo tra le mani, oggi non è giornata.
Mentre mi trovo in studio a sistemare gli strumenti per sbaglio faccio cadere la chitarra acustica.
"Che succede?" chiede Benjamin entrando, probabilmente attirato dal rumore.
Quando mi ha dato il passaggio in auto non è successo nulla, è mi sto imponendo di evitarlo, non deve sapere niente.
"Niente, mi è solo caduta la chitarra" rispondo fredda.
"Si, come gli altri cinque strumenti prima di lei" ribatte ironico guardandomi raccoglierla.
"Li hai seriamente contati?" sbotto.
"Volevo capire quanto stavi male, e direi molto".
"Lasciami in pace" mormoro scontrosa.
"Che ti prende? Puoi dirmi tutto lo sai" insiste.
Smetto di rispondergli e lo ignoro.
"Ignorare le cose non risolverà il problema, lo sai vero?" mi chiede e mi parla come se mi conoscesse meglio di chiunque altro.
Mi volto e lo guardo negli occhi, pessimo errore, la mia testa urla di baciarlo, e i miei occhi soffrono all'idea di non poterlo guardare con gli occhi a cuoricino.
Nella testa mi si oare l'immagine di mia madre con me e mio fratello che guardiamo il mare della Gibilterra insieme, mi viene da piangere, per tutto.
Per questo ho la forza di rispondere in modo più freddo del solito: "Non ho bisogno di te, lasciami in pace" dico per poi passare oltre la porta dello studio ma lui mi blocca.
"E se io avessi bisogno di te?" mi chiede con voce dolce, il mio cuore perde un battito.
"Arrangiati" dico gelida e lo sorpasso, ma proprio quando sono a qualche metro di distanza sento le gambe cedermi, vedo sfuocato ogni cosa è mi sento cadere nel vuoto.
Vengo presa in tempo da due braccia che mi sorreggono e dopo mi addormento tra quelle braccia.

Mi risveglio nello studio del capo.
Sono avvolta nella poltrona dello studio con una coperta di Stich addosso, me la posso portare a casa?
Dall'altra parte il mio capo mi guarda storto con un sopracciglio inarcato.
Oh, bene.
"È stato solo un calo di zuccheri" rispondo minimizzando la cosa, e lui inizia a rimproverarmi, ma almeno sono riuscita nel convincerlo a non licenziarmi.
"Chi mi ha portata qui?" gli chiedo quando lo vedo calmarmi mentre beve del Whisky.
"Sebastian" mi risponde, è un addetto alla sicurezza, e sicuramente non è il nome che aspettavo di sentire, pensavo fosse stato Benjamin.

Nel tornare a casa mi imbatto in Kayla, il capo mi ha permesso di andare via prima, mentre lei invece ha appena finito il turno, la incontro davanti all'agenzia.
"Sono stata preoccupata, come stai?" mi chiede Kayla in tono più falso della sua borsa di Gucci.
"Ora male" dico alzando gli occhi al cielo mentre le do le spalle, e quando faccio per andarmene lei mi richiama.
"Non è stato Sebastian a portarti nello studio... è stato Benjamin..." dice con voce tremante.
"Perchè me lo stai dicendo?" le chiedo voltandomi a guardarla.
"Perchè?! Il modo in cui ti ha stretta a se, il modo in cui ti ha guardata, per tutto il tempo finché non ti sei svegliata è rimasto sulla soglia della porta del capo a guardarti da lontano nascondendosi da tutti, e poi ti ha trattato da principessa! Con me non si è mai comportato così, perciò stagli lontano! È il padre di mio figlio, te lo ricordo" mi dice per poi andarsene.

Quella dannata estateDove le storie prendono vita. Scoprilo ora