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La vita ha sempre avuto una certa nota di amara ironia, una sorta di masochismo tutto suo che cela sotto la pretesa di casualità, per Kenma; forse un po' per tutti, ma il giudizio universale pendente verso la sfortuna ha sempre sembrato favorirlo in modo particolare.

Kenma venne ricordato di ciò, di questa fondamentale nozione dell'universo al pari della gravità, per l'ennesima volta, quando la suddetta ma apprezzata passeggiata proposta da Shōyō si trasformò nel suo peggior incubo.

Forse avrebbe dovuto, in retrospettiva, accorgersi dei segnali che il rosso aveva emesso, le piccole stranezze nascoste sotto la pretesa di una notta mal dormita, ma Kenma aveva dissimulato ogni sua preoccupazione.

Shōyō é il suo migliore amico, il suo cane da guardia, il suo fedele e protettivo piccolo chiwawa pronto a mordere chiunque provasse ad arrecargli danno. Era stato lui a difendere Kenma da quei sporadici idioti che provavano ad infastidirlo, ad avvertirlo dei pericolo che correva fidandosi di quello là.

Kenma aveva pensato che se esistesse una persona al mondo che lo amava follemente e che desiderava chiuderlo in una torre per proteggerlo e coltivare i suoi dorati capelli (forse non avrebbe dovuto guardare Rapunzel prima di andare a letto), questa persona non avrebbe mai vinto contro Hinata. Non si sarebbe mai qualificato nemmeno affrontando la parziale apprensione che il più basso covava per lui a volte.

Ma come sembra essere una tendenza nell'ultimo periodo, Kenma si sbagliava.

E come al solito, la vita é una merda.

Perché, per quanto inspiegabilmente, davanti ai suoi occhi si stagliava in tutta la sua effimera bellezza Kuroo Tetsurō, la singola persona che non avrebbe voluto avere a che fare. Hinata non sembra perso o confuso, né sembra essere pronto a mordere il corvino solo per aver avuto il coraggio di mostrare la faccia in Giapponese; al contrario sembrava calmo, se non leggermente imbronciato, dalla visione periferica di Kenma.

«Shōyō?» Kenma lo richiamò, la sua voce con una certa nota di insistente allarme, una silenziosa richiesta.

Sospirò, poi fece due passi verso di lui, stringendolo in un abbraccio soffocante. «Non odiarmi. Penso solo che voi due dobbiate parlare.»

Poi si discostò, frapponendosi tra le due figure e stringendo Kenma per le spalle. A bassa voce, lo avvisò, «Non hai nessuno obbligo verso di lui, capisco? Se vuoi rimanere arrabbiato e non parlargli fino alla fine dei tempi, sono dalla tua parte. Non devi perdonarlo, ma penso sia giusto che tu senta cos'ha da dire — per lui e per te. E se succede qualcosa... Sarò nel café giusto dall'altra parte della strada. Raggiungimi e lo ucciderò, se necessario.»

Kenma si sentiva ancora un po' disorientato, un po' tradito, ma questi sentimenti vennero presto parzialmente seppelliti da un senso di vaga fiducia e tranquillità che il rosso gli aveva trasmesso.

Annuì un po' insicuro con la testa. «Okay. Okay.»

«Bene,» disse infine, dandogli un'imbarazzante pacca sul braccio come saluto. Infine, rivolse un'occhiata a dir poco agghiacciante a Kuroo.

Solo quando fu abbastanza lontano da non essere sentiti, Kenma degnò Kuroo di uno sguardo. «Quindi?»

«Ciao,» lo salutò con un sorriso timido che gli piegava le labbra in un'espressione familiare. Era la prima volta in quasi una settimana che Kenma gli rivolgeva la parola, qualsiasi essa sia.

Kenma sembrava... apposto. Indossava un paio di jeans e una felpa, i suoi capelli erano in ordine, e, a parte le più leggere occhiaie, aveva una bella cera — apparentemente. C'era tuttavia qualcosa di differente in lui, che Kuroo individuò essere una patina di... qualcosa davanti ai suoi occhi. Tristezza, rabbia, risentimento, mancanza... Kuroo non seppe.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jun 08, 2024 ⏰

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