Non mi chiamo micetta!

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«Chi sono io? Quello che ti ha salvato la vita tanto per cominciare. Quello che ha dovuto buttarsi in acqua per acciuffare una ragazzina piovuta dal cielo. Quello che ha dovuto fare la respirazione bocca a bocca a quella stessa ragazzina e che si è beccato una testata in fronte per questo. Ma soprattutto sono quello a cui hai rotto una rete da pesca costata fior di quattrini. Forse dovresti essere tu, femmina ingrata, a dare delle spiegazioni e a dirmi chi diavolo sei, non credi?»
Se fossi stata la protagonista di un film romantico, il copione avrebbe previsto che, dopo la mia scenica disavventura strategica per tenere incollato lo spettatore allo schermo, dovessi incontrarmi con quello che sarebbe diventato il mio futuro sposo (nel mio immaginario ha le sembianze di Derek Theler) e con il quale avrei concepito come minimo sei bambini: tre maschietti e tre femminucce. Anzi no. Un maschietto e cinque femminucce. Meglio ancora, due maschietti e quattro femminucce. Magari anche due gemelli perché no, con Derek questo e altro… non so se mi spiego.

Ti spieghi, ti spieghi.

Bene.

Quindi il film si sarebbe concluso con un bel lieto fine. Noi due sotto il portico della casa costruita da lui per me, con un ampio giardino e l’immancabile staccionata bianca, a guardare i nostri pargoli correre felici e spensierati per poi guardarci negli occhi e sorridere per quella straordinaria vita che è stata scritta per noi.
E dunque io mi chiedo, qui, semiseduta sul pavimento in legno di questa bagnarola: perché ho avuto il ruolo di vittima sacrificale, donzella in difficoltà, sopravvissuta e miracolata da quella fetente della dea bendata, se poi mi sono dovuta ritrovare su un puzzolente peschereccio capitanato da uno stolto, scontroso, burbero, misogino esemplare umano di sesso maschile?

Semplice. Non sei in un film e questa è la triste e crudele realtà, ringrazia di essere ancora viva e prosegui oltre.

Grazie. Grazie tante, Omino. Le tue parole mi rincuorano molto e sono di grande conforto per questa povera anima alla deriva.

Sono qui per questo.

Ancora non ci credo… Mi ha chiamata “femmina ingrata”, ci rendiamo conto?

Appoggio in pieno il tuo disappunto. Facciamolo nero!

Mi alzo in piedi di scatto, pentendomene subito dopo dato che comincia a girarmi la testa, mi fischiano le orecchie e la vista mi si offusca. In più questo fastidio alla spalla non mi dà tregua ma non voglio guardarci perché so che c’è qualcosa che non va e quel sospetto, che probabilmente è realtà, mi farebbe svenire a terra. Per la serie: “Se non lo vedrò, non ne soffrirò”.
Assottiglio lo sguardo puntando un dito contro di lui, o almeno è quello che spero dato che non vedo un piffero ma cerco di risultare rilassata e naturale nel mentre sto per mandarlo a quel paese.
Dal suo punto di vista probabilmente assomiglio ad un quokka ubriaco ma in questo momento non riesco proprio a fare di meglio.
«Senti tu. Questo non è decisamente il mio periodo migliore: ho scoperto che il mio ex ragazzo è gay, sono stata usata dal ragazzo a cui credevo di piacere ma che invece puntava una delle mie migliori amiche, mio fratello si è innamorato dell’altra mia migliore amica e nessuno dei due si è degnato di dirmi nulla, sono scappata di casa e dopo ore di attesa sono salita su quel maledettissimo aereo, una signora mi ha rubato il posto vicino al finestrino e quella stessa signora mi ha tediata a morte con tutto il suo blaterare infinito, dei terroristi ci hanno attaccati e per fare collaborare il pilota hanno deciso che avrebbero buttato giù dall'aereo un passeggero ad ogni richiesta non esaudita e indovina un po’ con chi hanno cominciato?» Faccio una brevissima pausa approfittando di questa mia domanda retorica per riprendere fiato e per osservare il suo volto indecifrabile, non capisco se è preso e dispiaciuto da questa mia toccante storia raccontata con cotanta enfasi e disperazione, o se stia cercando di controllarsi per non scoppiarmi a ridere in faccia. Faccio finta sia la prima la risposta esatta e procedo. «Esatto, proprio con me! Sai cosa si prova a precipitare da un’altezza del genere? Non credo proprio. Sai cosa si prova a cadere in acqua e non riuscire a risalire perché non sai nuotare e perché sei bloccato da una stupidissima rete che ti limita i movimenti? No. Non lo sai, perché non ti è mai successo. Quindi, ti sarei grata se non mi rinfacciassi il fatto di aver dimostrato un po’ di umanità nell’avermi salvato la vita, che non ti lamentassi per averti accidentalmente rotto quella stupida rete e che mi trattassi con un po’ più di gentilezza!» Concludo, sperando trasudi tutta la mia collera verso i suoi fastidiosi modi di fare. Nel frattempo ho riacquistato del tutto i sensi perduti e constato che le mie parole non hanno sortito l’effetto desiderato dato il suo atteggiamento derisorio e la sua alzata di spalle.
«Succede di peggio nel mondo, piccola micetta.» Commenta, dandomi le spalle per raccogliere da terra una fune e riavvolgerla con l’aiuto del braccio mentre arrossisco violentemente per la sua uscita fuori luogo.
«Pi-piccola micetta?!»
«Sì. Hai tirato fuori gli artigli, soffiato e tirato su il pelo proprio come un piccolo gattino arrabbiato.» Ride della sua pessima constatazione.
Ho un insano istinto di impiccarlo con quella corda che ha in mano ma non lo faccio solo perché ho un debito nei suoi confronti. Anche se fa il bastardo non posso dimenticarmi che sono viva solo grazie a lui. Devo pure essergli riconoscente!
«Sei così antipatico di tuo o solo con me?» Dire antipatico è riduttivo ma non voglio scendere ai suoi livelli di immaturità. La cosa sembra divertirlo dato che sorride ancora come un ebete.
«Non è antipatia. È solo il mio modo di rapportarmi con voi donne. Siete pettegole, arriviste, lamentose, vi credete il centro del mondo, pensate solo a voi stesse e portate solo un mare di guai. Meglio starvi alla larga.» Confessa con disprezzo, scansandomi per andare verso la sua preziosa rete e buttarmi un’altra occhiata veloce. «Anche se non si può certo parlare di “donna” guardandoti… quanti anni hai, dodici?»

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