La luce alla fine del... tredicesimo piano

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Non riesco ancora a credere a quello che è appena successo. Un minuto fa stavo parlando al cellulare con la mia migliore amica e adesso c’è il rischio di non poterla sentire mai più e tutto per colpa mia!
Come ho potuto anche solo credere che quell’uomo mi stesse inseguendo? Stava correndo ancor prima di vedermi ora che ci penso! Sono proprio un’idiota, non riuscirei a perdonarmelo se Meg dovesse… se lei dovesse… No! Non posso neanche pensarle cose del genere! Meg è forte e qualunque cosa le sia successa, la supererà. Deve essere così.
“C’è sangue dappertutto”, le parole di Eugene mi rimbombano nella testa e mi salgono le lacrime a pensare alla scena. Dannazione! Non posso continuare a stare qui senza fare niente. Devo sapere come sta la mia amica! Passo la manica della giacca sugli occhi per asciugarli dalle lacrime e mi rimetto in piedi, determinata a raggiungere Meg.
Attraverso velocemente il bosco e non appena arrivo davanti alla caffetteria, luogo del nostro appuntamento, vedo un’ambulanza allontanarsi a sirene spiegate e cerco di correre più velocemente per raggiungerla, ma vani sono i miei sforzi.
«Accidenti!» Impreco a voce alta, attirando lo sguardo di qualche compaesano che ha assistito al momento dell’incidente. Qualcun altro lo sento bisbigliare un “povera ragazza”, riferendosi a Meg, suppongo.
E adesso? Come ci arrivo in ospedale? Potrei tornare a casa e farmi accompagnare da mamma ma ci metterei troppo tempo e io devo sapere subito come sta Meg!
Senza pensarci oltre, entro in caffetteria e mi dirigo dalla proprietaria dietro al bancone.
«Claire, che piacere vederti.» Mi accoglie dolcemente, Susan. «Ti è successo qualcosa? Hai un’aria un po’ sconvolta.»
«Susan, c’è qualcuno che può accompagnarmi in ospedale? È urgente, ti prego. Meg… Meg ha avuto un incidente.» Dico ignorando le sue domande, quasi sul punto di piangere.
«Oh, era lei allora la ragazza che è stata portata via…» Dice dispiaciuta mettendosi una mano davanti alla bocca, sconvolta. Si riscuote subito però, vedendo il mio sguardo implorante. «Ma certo tesoro. Ti ci porta Fred, vado a chiamarlo.»
Dieci minuti dopo sono davanti al parcheggio dell’ospedale. Ringrazio velocemente Fred che è stato gentile e disponibile a portarmi qui il più in fretta possibile e poi corro dentro.
Odio gli ospedali. Non tanto per il fatto che ci sia sempre un’atmosfera tesa e malinconica o per quest’aria così asettica e le pareti incolore. Li odio, ma odio soprattutto questo, perché ogni volta che ci entro mi perdo.
È talmente grande che è impossibile ritrovarsi, per una come me poi, che ha un pessimo senso dell’orientamento, questi lunghi corridoi sono come un labirinto infernale. Fosse messo su un piano solo, in qualche modo sarei riuscita a ritrovarmi senza girare come una disperata alla ricerca della stanza giusta, peccato invece che questo ospedale riesca a contenere nella sua struttura ben quindici piani.
Non rimango sorpresa più di tanto quando, chiedendo informazioni alla reception riguardo Meg, mi abbiano indirizzata al penultimo piano. Dovevo aspettarmelo.
Non importa! Ovunque sia, io la raggiungerò. Costi quel che costi!
Mi dirigo verso gli ascensori e aspetto che ne arrivi almeno uno. Questa sera l’ospedale è pieno di gente e c’è un via vai tra dottori e infermieri. A quanto ho sentito c’è stato un grosso incidente in autostrada e questo era l’ospedale più vicino a cui rivolgersi. Fortunatamente per ora non si è parlato di decessi, ma solo di feriti. Alcuni più gravi di altri.
Finalmente arrivano un paio di ascensori ma subito arriva un infermiere che chiede cortesemente di lasciarli tutti liberi per emergenza e di non intralciare il passaggio delle barelle.
Perfetto! Non posso far altro che prendere le scale.
Quattordici piani, che mai saranno? Un gioco da ragazzi!
Meg, aspettami. Sto arrivando! Con questo auto incitamento comincio a salirle a due a due. Per almeno quattro scalini, poi continuo normalmente.
«Meg, resisti. Sono vicinissima!» Dico salendo il terzo piano.
«Non manca molto.» Quinto piano.
«Ecco qui. Un altro scalino e poi solo altri otto piani!»

Ammiro questa tua perseveranza. Continua così!

«Sto… sto…» Sto esalando il mio ultimo respiro! Cioè, no. Sì. Sì, ma non era questo il pensiero che volevo fare. «Sto arrivando, manca davvero pochissimo!» Meglio. Molto meglio. Decimo piano.

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