1. Lost in the darkness

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Abby

Vi siete mai sentiti persi?

Come se vi trovaste in un labirinto, e la vostra vita consistesse unicamente nel trovare una via d'uscita.

C'è gente che ci riesce, a fuggire da esso. E chi invece, come me, non sa più dove si trovi.

Erano anni che percorrevo le stesse strade, anni che mi ritrovavo ferma allo stesso punto. Rimanevo sempre lì, sperando che prima o poi sarebbe arrivato qualcuno a tirarmi fuori.
Come una luce che ti tira fuori dal buio.

Ma forse, non tutti erano destinati a uscire da quel labirinto. Forse, quelli come me, non avevano un'uscita.

Così, non ci restava che inventarcela, una via di fuga da quel posto.
Mi rifugiavo nei miei pensieri; immaginavo di vivere un'altra realtà, di non essere quella che ero realmente.

Nei miei pensieri mi amavo, riuscivo a fare amicizie tranquillamente, non dovevo avere paura di chi avrei trovato riflessa nello specchio.

Potevo rifugiarmi quando volevo nella mia testa...

«Abby, sei pronta?» ma poi la realtà tornava a colpirmi in pieno volto, come una secchiata d'acqua gelida.

«Sì, arrivo» uscii dal bagno dopo pochi istanti, trovando Katie intenta a sistemarsi i suoi capelli mossi.

«Sono insopportabili» sbuffò, lanciando la spazzola ai piedi del mio letto.

«Sei pronta per questo bellissimo giorno di scuola?» ridacchiai, prendendola sotto braccio.

«No, non credo resisterò a lungo».

Era il primo giorno di scuola dopo le vacanze natalizie, entrambe non avevamo una grande voglia di andarci.

Abbandonammo la camera per avviarci fuori dalla casa, dove ad attenderci c'era Dave, suo fratello maggiore.

Guardava qualcosa sul telefono, appoggiato allo sportello della sua macchina. I capelli mori gli ricadevano spettinati sulla fronte, donandogli un'aria trasandata, ma al contempo così attraente.

Era impossibile negarlo: Dave Miller era fottutamente attraente, era un fatto oggettivo.

Finalmente alzò lo sguardo su di noi, inchiodandoci con i suoi occhi color nocciola. «Finalmente. Dovete sempre metterci un'eternità?».

«Buongiorno anche a te, Dave» sorrisi, sapendo che anche quel giorno ero riuscita nel mio intento: infastidirlo.

Era un nostro piccolo gioco, sin da bambini. Non riuscivamo a stare più di due minuti senza far perdere la pazienza all'altro. Ma la cosa diventava sempre più divertente, in fondo.

La sorella ignorò la provocazione e si accomodò sul sedile del passeggero, suo solito posto nella macchina.

«Qualcosa mi dice che a causa di questo ritardo sei tu» disse Dave, riportando la mia attenzione unicamente su di lui.

«Cosa? Io? Perché dici una cosa del genere?» mi difesi ironicamente, aprendo la portiera dell'auto.

Prima che potessi sedermi sul sedile, Dave mi scompigliò i capelli. Anche questo solito gesto che fa sin da bambino.

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