18. Tell me that you love me, even if it's fake

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Josh

La osservai scatenarsi al centro del pub con alcune sue amiche, non riuscendo a smettere di pensare a quanto fosse maledettamente bella.

Sapevo benissimo che dovevo dimenticarla.
Lei non mi voleva e io dovevo andare avanti.

«Sai, Josh» mi disse una volta Rose, quando mi trovò nella sua cucina a disperarmi per una ragazza. «Non sempre l'amore che diamo viene ricambiato. Ma ricordati una cosa: va bene combattere per qualcuno che ti ama, ma non combattere mai per farti amare da qualcuno».

Quando me lo disse avevo solo dodici anni, per me quella frase era insignificante. Ma ora, guardando suo figlia da lontano, riuscivo a comprenderla perfettamente.

E nonostante avessi dovuto farlo, io non avevo intenzione di lasciar perdere.
Volevo farle capire che non l'avrei mai delusa, che non mi sarei arreso alla prima difficoltà come ero solito fare.
Non quando si trattava di lei.

La vidi avviarsi verso il bancone dei drink, così decisi di approfittarne per parlarle.

Non sapevo neanche di cosa, avevo solo bisogno di parlarle.

«Ciao».

Alzò la testa di scatto, non appena mi riconobbe un sorriso le illuminò il volto.

Indossava un abito nero che metteva a risalto le sue forme. Le labbra colorate di un rosso accesso mi ipnotizzarono completamente, così come i suoi occhi affilati.

Cazzo, stavo impazzendo?

«Mi sono stancata di starmene qui» confessò, vagando con lo sguardo per il locale.

«Passeggiata?» proposi.

Non se lo fece ripetere due volte.
Afferrò la mia mano e mi guidò fuori da quel posto affollato.

«Finalmente» ci ritrovammo per le strade di Boston, entrambi esposti al freddo vento invernale.

Camminammo in silenzio per un bel po', cosa che non fece altro che alimentare la mia ansia infinita.

«Sei riuscita ad affrontare quelle tue paure, alla fine?» chiesi per spezzare il silenzio formatosi tra di noi.

La vidi irrigidirsi, sicuramente non si aspettava mi ricordassi di quella conversazione, quando in realtà era una delle poche cose che riuscivo a ricordare d di quella sera.

«Ci sto lavorando» deglutì a vuoto, mentre tentò di nascondere il tremolio delle sue mani chiudendole in un pugno.

«Ci sediamo?» indicò una panchina poco distante da noi, dove si sedette subito dopo.

Mantenni una certa distanza tra di noi, sicuro fosse la cosa che gli servisse di più al momento.

«Facciamo un gioco» propose, voltandosi nella mia direzione. «Funziona come obbligo o verità. Ma puoi scegliere solo verità» spiegò convinta, facendomi ridere.

«E va bene, facciamolo»

«Ricordati, devi rispondere a qualsiasi domanda con sincerità» mi avvertì, prima di cominciare a pensare alla domanda giusta da pormi.

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