8. Always the fool with the slowest heart

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Abby

Era lunedì pomeriggio e, come ogni settimana, mi trovavo in biblioteca con Dave.
Quel giorno non avevo nulla da studiare, per questo, tra una spiegazione e l'altra, scrissi un po'.

Ero talmente presa dal mio racconto e dai miei pensieri che non notai subito Dave sporto sul tavolo per sbirciare oltre il portatile.

«Inizialmente pensavo stessi facendo qualche ricerca, ma inizio a dubitarne fortemente» disse.

Sorrisi, chiudendo il portatile. «No, non è una ricerca».

Fece il giro del tavolo, sedendosi sulla sedia al mio fianco, sempre più curioso di scoprire cosa nascondessi in quel file. «E che scrivi, allora?»

«Ecco... mi piace inventare storie».

Non era mio solito pronunciarlo ad alta voce, suonava così strano. Ero terrorizzata dall'idea che qualcuno potesse deridermi, escludermi ulteriormente solo perché preferivo starmene rinchiusa in un mondo tutto mio. Ma la verità era che io amavo starmene chiusa in quel mondo, lontano da tutto e da tutti.

«Wow» sussurrò.

«Non è nulla di che» mi strinsi nelle spalle, avvampando.

Ero patetica.

«Posso leggere?» avvicinò la mano al portatile, che io schiaffeggiai prontamente.

«Assolutamente no».

Mi fulminò, cosa che mi fece sorridere.

«Avrò l'onore di sapere almeno di cosa parla?» chiese, mettendosi comodo sulla sedia.

Mi torturai l'interno guancia, senza sapere se avrei dovuto raccontarglielo o meno. E se pensasse fosse una stupidaggine? In fondo potrebbe esserlo davvero...

Presi un lungo respiro. «Racconto di una ragazza incapace di dimostrare il proprio amore» invece di ridere, cosa di cui non sarei affatto sorpresa, si poggiò al tavolo, con la testa piegata da un lato, pronto ad ascoltarmi. «Con il tempo questa ragazza si è creata una specie di barriera protettiva attorno a sé. Fa fatica a fidarsi delle persone, insomma

«Il messaggio che vorrei trasmettere - e spero di riuscirci - sarebbe che non è sempre un male far crollare quella barriera per qualacuno, se la persona in questione ne vale la pena».

Alla fine del mio breve riassunto, lui sorrise. Un sorriso sincero, quasi contagioso.

«E questo sarebbe "nulla di che"?» mi chiese, sorpreso. E io mi sentii fiera di ciò che stavo scrivendo, cosa che non accadeva spesso, anzi.

«Prima o poi me lo farai leggere, giusto?»

«Forse» risposi e fui sicuro che fosse abbastanza soddisfatto della risposta, perché mi sorrise nuovamente, mettendo in mostra le fossette.

«Ora vai a studiare» decretai, facendolo sbuffare.

Tornai a rifugiarmi nel mio mondo, questa volta con un po' più di sicurezza.

🌑

Stavo tornando a casa in autobus, dave invece era rimasto a scuola per gli allenamenti.

Per fortuna la rissa non aveva avuto chissà quali conseguenze, se non una marea di rimproveri dal coach Harrison. Quest'ultimo aveva affermato, da quanto mi aveva detto Dave, che alla prossima cazzata, il titolo da capitano gli sarebbe stato tolto.

Non sarei per nulla sorpresa se il coach lo facesse, era sempre stato un uomo piuttosto severo.

Il telefono vibrò nella mia tasca e sullo schermo apparve il nome di Katie.

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