Chapter 10 - ⭒Negotiation⭒

206 45 218
                                    

Camminavo avanti e indietro per la mia camera, torturando le poche croste rimaste delle ferite alle mani. Avevo lavorato diversi anni per perdere quella brutta abitudine. Secondo De Lacey, rivelava il mio nervosismo e, come tutti gli indicatori emotivi, dovevo ridurli al minimo per evitare di essere facile preda alle manipolazioni.

Larimar doveva essere stato addestrato nello stesso modo. Oppure si trattava di un comportamento appreso, come la straordinaria sensibilità che le vittime di abusi mostravano nel riconoscere gli indici di aggressività negli altri. L'esperienza li aveva portati a essere più sensibili per potersi sottrarre tempestivamente alle violenze.

Era così, dunque? Larimar era una vittima?

Vagliai nella mia mente ogni reazione che aveva palesato durante le nostre interazioni. Ricordavo tutto, dal più piccolo sbattere di ciglia allo sgranare degli occhi. Avevo la fortuna di avere una memoria fotografica molto sviluppata e il mio lavoro non aveva fatto altro che allenarla per renderla ancora più aguzza.

Risultato della mia analisi? Incerto.
Poteva essere una vittima così quanto un sociopatico.
Oppure un semplice aristocratico educato fin da piccolo a rifuggire le emozioni, in linea con l'ideale di mascolinità tossica.

Un bussare educato alla porta mi fece sussultare.
Una delle lame che nascondevo sotto i vestiti comparve nella mia mano prima ancora che avessi realizzato l'intenzione.
—Sì? — urlai, sperando si udisse dall'altro lato.

Quelle porte non erano come le nostre. Si chiudevano con una sofisticata serratura biometrica (ecco perché non avevo trovato una toppa da scassinare nella camera di Larimar). Non che la cosa mi desse sicurezza. Non avevo idea di chi fosse autorizzato ad accedere. Sicuramente, Larimar poteva.

E non avevo ancora escluso che non fosse un sociopatico.

Il bussare si ripeté. Tre battiti secchi.
Nascondendomi la lama dietro la schiena, andai ad aprire la porta di una fessura.
Larimar attendeva appoggiato con eleganza al muro sull'altro lato del corridoio, un piede sull'altro in una posa che appariva rilassata. Una posa poco coerente con quel che stavo imparando a conoscere di lui. Come se si sforzasse di apparire placido e imperturbato.
Il muscolo che si contraeva vicino all'occhio, tuttavia, raccontava un'altra storia.

—Dobbiamo parlare— sentenziò, sciogliendo le gambe incrociate e avanzando di diversi passi verso di me.
Di certo si aspettava lo facessi entrare. Invece non mi mossi dall'ingresso.
—Ah sì? — finsi sorpresa.
Rapida dilatazione delle narici, tic all'occhio, irrigidimento della postura.
L'imperturbabilità forzata stava scivolando via velocemente.

—Domando perdono per le mie maniere sgarbate. Non avrei dovuto abbandonarti nel mezzo della cena—
Spalancai la bocca, sorpresa. —Oh. Questo non me l'aspettavo. Tu che chiedi scusa? Wow! —
—Non serve essere così irrispettosa, Amneris—
Era la prima volta che gli sentivo pronunciare il mio nome e un brivido scivolò lungo la mia schiena a quel suono. C'era qualcosa nell'udire il mio nome espresso con quel gelido distacco che mi accendeva dentro.
Dovevo trovare un uomo, o quantomeno un vibratore, per quanto il contatto umano non potesse essere sostituito da...

—Possiamo dialogare nel salottino, se ritieni che la tua camera sia inadeguata—
Era una domanda? Perché non solo fu espressa come un'affermazione, ma sembrò aver deciso lui per entrambi quando si girò e proseguì verso una stanza a qualche passo dalla mia.
Fantastico. Cosa mi impediva di chiudere la porta, infilarmi sotto le coperte con un cuscino sulla testa e fingere di ignorare la sua esistenza?

Non avevo ancora ottenuto i risultati delle mie analisi, ricordò una vocina nel mio cervello.
Aye, quella era una giustificazione. Una razionale. Una che decisi di prendere come motivazione, anche se sapevo che ci fosse un'altra risposta molto meno apprezzabile.

Progetto Triskelion ∴ Il RisveglioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora