Chapter 8 - ⭒Nineteen ninety-eight⭒

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Passai tutta la giornata ispezionando il piano in cui mi trovavo. Otto camere da letto, corridoi interminabili, un numero indefinito di aree da soggiorno e altro ancora. Insomma, per fortuna avevo anni di esperienza nell'imprimere a memoria le planimetrie dei vari edifici prima di un'operazione, o senza una mappa non mi sarei spinta oltre la mia camera, per paura di vagare e vagare per secoli in quel labirinto... E chissà, magari incappare nel minotauro, alias padre di Larimar.

Mi ero già fatta qualche rappresentazione mentale dell'uomo. Alcune più fantasiose di altre, lo ammetto. Per riassumere: non qualcuno che avrei voluto incontrare, nonostante la mia curiosità spingesse per colmare la lacuna.

Secondo l'elaborato orologio nel corridoio era pomeriggio inoltrato. La mia pancia, però, sembrava tarata su un'altra ora e urlava per la fame. Con l'acquolina in bocca e un brontolio di sottofondo dalle viscere, decisi di avventurarmi ai piani inferiori. La cucina non fu difficile da ritrovare. Nel percorso, però, incappai in una ragazza. In effetti, mi era sembrato strano non incontrare ancora nessun dipendente.
Mi guardai attorno in cerca di un nascondiglio, ma non servì. La ragazza sembrava più interessata al contenuto della scatola tra le sue braccia che a me, quindi ci sorpassammo scambiando un semplice sorriso di circostanza nell'incrociarci prima di andare ognuna per la sua strada.

La cucina era deserta, proprio come quella mattina. Iniziai ad aprire cassetti vari, sperando di trovare una dispensa o un frigorifero. Con la testa infilata all'interno di uno dei mobili, udii un borbottio arrivare dall'esterno. Poi un tonfo. Poi un altro borbottio seguito da un mormorare più formale. Mi raddrizzai subito, con lo sguardo che sondava l'intero ambiente alla ricerca di un luogo dove infilarmi per non farmi vedere. Stavo per spalancare un'anta grande quanto me, sperando fosse abbastanza sgombra da consentirmi di rannicchiarmi in un angolo, quando qualcosa, nel tono della persona che sentivo mormorare, richiamò la mia attenzione. Conoscevo quella cadenza austera e gelida.

Larimar.

Abbandonando ogni tentativo di fuga, mi girai verso le doppie porte che davano sul giardino (aye, cucina enorme, tre ingressi diversi) e restai in attesa del suo arrivo.
Meno di un secondo dopo eccolo spuntare, purtroppo perfettamente rivestito. Accanto a lui c'era una signora di quasi il triplo della sua età, con la fronte corrucciata e sbuffante di fatica. Ridussi gli occhi a una fessura, accorgendomi del carico che la donna stava portando tra le braccia. Un sacco talmente pesante che sembrava sfidare la forza di gravità!

Prima ancora di realizzare che mi stavo muovendo, la sollevai di quel peso improponibile, lanciando uno sguardo di rimprovero verso il maleducato ragazzo che le stava a fianco.
—Mi scusi signora, mi sembrava le stesse scivolando. Dove vuole che lo appoggi? —
La scusa mi uscì spontanea. Avevo passato la maggior parte della mia infanzia in compagnia di nonna Siobhan, una donna parecchio testarda e orgogliosa che non avrebbe mai permesso a nessuno di farsi carico dei suoi problemi, figuriamoci di un sacco di patate o una borsa che sembrava contenere macigni.

—Oh, ti ringrazio. Beh, se non è troppo disturbo, vieni. Ti apro la dispensa...—
La seguii verso l'armadio in cui stavo valutando di infilarmi poco prima. La dispensa. Ovviamente, doveva essere formato hotel!

La signora aveva dei modi di fare burberi che mi ricordarono con un senso di nostalgia la nonna. Mi spolverò mani e indumenti, borbottando qualcosa che, dato il forte accento, faticavo a comprendere. Sembrava avercela con qualcosa di rosso, accusato di aver poco rispetto per gli illustri padroni di casa. Sempre persa in quei pensieri, una volta che ebbe finito di sistemarmi tornò all'interno della dispensa.

—Un gesto gentile—

Mi girai per lanciare al principino un'occhiata in cagnesco.
Lui non ce le aveva le mani?
Prima che potessi aprire bocca, tuttavia, la signora tornò.

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