Chapter 18.1 - ⭒A hole new world⭒

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Mi rifiuto di sentire un'altra volta le tue mani sul mio corpo.

Borbottai un insulto mentre mi rigiravo nelle morbide lenzuola, con la pancia indignata che gorgheggiava per la mancanza di cibo.
Quella sera non ero scesa a mangiare per non rischiare di incappare in lui e creare nuovi lividi su quell'attraente volto spigoloso.
Forse sarei dovuta andare a cercarlo e chiarire alcune cose, come il fatto che potevo anche vivere sotto il suo tetto, ma non doveva permettersi di insultarmi in quel modo, tanto più che eravamo in due avvolti in quel bacio e scaricare su di me tutta la responsabilità non era per niente corretto.

Queste cicatrici sono ripugnanti.
Nae, meglio rinchiudersi in stanza perché, se l'avessi rivisto con il sangue che mi ribolliva in quel modo, gli avrei sicuramente fatto vedere io cos'era un errore.
Senza più le rotule, allora sì, avrebbe potuto dire che ciò che aveva detto e il modo in cui mi aveva trattata erano stati un errore.

Non quel bacio, che mi aveva ridotta in uno stato di eccitazione tale che neanche cercare di scaricarla con calci e pugni era servito.

Se l'avessi visto, in effetti, prima l'avrei baciato, poi gli avrei rifatto i connotati.

La mattina dopo, vestendomi davanti all'imponente specchio nella cabina armadio, mi accorsi di come il mio volto rispecchiasse la notte passata in bianco, a rigirarmi nel letto in compagnia della frustrazione sessuale, delle fitte alla pancia e dell'irritazione che le sue parole mi avevano lasciato.
Ancora più risentita con lui per essere la causa del mio aspetto schifoso, decisi di non essere affatto pronta a rivederlo. Non sarei stata in grado di intrattenere una conversazione civile neanche se ne fosse valsa la mia vita.

Così, uscii a prendere un po' d'aria: a detta di nonna Siobhan il miglior rimedio per occhiaie e pelle ingrigita.

Fui fortunata: fuori il sole splendeva, riflettendosi sul prato curato alla perfezione, i fiorellini, i cespugli e gli alberelli.

Sbuffai, infastidita da tutto ciò. Quando dentro di te infuriava una tempesta, avresti voluto che anche il mondo esterno mostrasse un po' di coerenza.

Cosa mi attraesse di quel ragazzo era un mistero.
Non aveva la bellezza di un dio greco, nonostante i capelli da Achille mi portassero al paragone.
Né, tornando al nostro Achille, le fattezze estetiche di Brad Pitt.

Quegli zigomi erano troppo pronunciati, come due lame pronte a strisciare fuori dalla sua pelle bianca. Di un bianco abbronzato, con quel tocco ambrato che spesso assume chi ha l'incarnato di porcellana. Ma io preferivo i latini: carnagione che sembra caramello liquido, un gustoso peccato da leccare, non come l'insipido miele, sano e delicato.

Larimar... Aveva dei begli occhi, quello sì. Limpidi e intensi tanto da mettere a disagio. Scaltri e calcolatori da apparire freddi, ma di quel profondo blu che sembrava trascinarti nei suoi abissi oceanici.

Aye, forse un po' di fascino l'aveva, anche se non la bellezza canonica che solitamente mi attirava. A parte gli occhi, era tutto angoli acuti e spigoli, gelo e durezza, nulla di delicato o gradevole, con quelle labbra sottili e crudeli, così morbide, bramose eppure esitanti...

Stop! Quella strada era pericolosa.
Dovevo dirottare i miei pensieri su altro.

Tipo, perché mi ero sentita ferita dalle sue parole? Perché mi importava così tanto della sua opinione? Il suo disprezzo mi era strisciate sottopelle. L'amarezza mi scorreva nelle vene, avvelenando a tal punto il mio corpo che non avevo ancora toccato cibo.

Larimar era insignificante. Un puntino nel futuro che mi si prospettava davanti. Aye, mi stava aiutando, ma solo su richiesta di Cadmio. Era verso il suo amico che mi dovevo sentire in obbligo.

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