46. Barlumi Di Rivoluzione

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L'inesorabile notte di Princìpia passò, come sempre; tuttavia, quella notte, fra tutte le notti, era stata quella che preludeva l'ascesa della sesta Dea Elementale; colei cui le leggende parlano da un secolo; colei che era destinata a spodestare l'oro dal trono.

La mattina seguente nella Capitale Dorata ci fu un risveglio assai brusco: le Campane della Catastrofe rintoccavano di nuovo come predetto dall'Occhio Celestiale. 

I lamenti e i pianti che prelusero lo scontro tra Rèoro e Nubius si ridestarono tra le blasonate strade e piazze della città la quale tutta è d'oro.

Piogge di sangue dalle orecchie di tutte le Creature della città iniziarono ad essere versate; biechi lamenti s'udivano nelle case che venivano ritinte di rosso scarlatto.

C'era chi vomitava sangue; chi espirava sangue; chi lo defecava o lo orinava.

Non c'era orifizio che venisse lasciato immacolato dalla sostanza vermiglia, che fuoriusciva violentemente; pareva ambisse a ribellarsi, come la sua nuova Dea, e pareva avesse la sua stessa poca pietà, se non di meno, essendo un'entità priva d'intelligenza e freni inibitori. 

Laghi artificiali di sangue si crearono all'interno delle mura auree della Capitale, contornati dagli struggenti strilli di tutti i suoi popolani. Stavolta il dolore causato dalle campane era assai grave, forse perché sapevano quanto grande fosse la minaccia che incombeva di lì a poco su tutto il regno. 

L'estremo dolore portò qualcuno addirittura a suicidarsi e raggiungere le stelle, verso Saqirlat, il quale non molto tempo prima aveva detto alla sua solerte che il dolore faceva rinascere. Adesso, invece, tra le dorate strade succedeva tutto il contrario: chi si strappava i capelli, chi non avendo avuto la fortuna di trovare una lama nelle vicinanze provava a sbattere la testa su qualche muro dorato per finirsi, chi aveva le orbite degli occhi che quasi fuoriuscivano per quanto fossero pregne di sangue pronto a eruttare. 

La catastrofe che le campane tanto ambivano a preannunciare era avvenuta.

All'interno del Goldiero Rèoro non poteva fare altro che rimanere stante dinanzi la finestra aperta della sua regale camera, che era l'unico posto del suo castello rimasto ad essere colorato di giallo oro, a guardare la sua erubescente città che fino a ieri lo ammaliava e lo incantava con la sontuosità dei suoi rifulgenti materiali.

Freddamente, il Dio dell'Oro, comunque continuava ad adempiere alla sua routine. Con gli occhi più fiammeggianti di rabbia del solito scese i lussureggianti gradini adiacenti alla sua regale camera, la quale era ubicata sulla più alta e spaziosa guglia del castello. 

Discendevano a chiocciola e quella mattina erano decorate qua e la da qualche schizzo di sangue, causato da qualche suo nobile o castellano. 

"Maledetta vecchiaccia" diceva fra se e se il Re. "Stai a vedere che mi toccava seguirla!"

Giunse dinanzi il grande arco fatto su misura per la sua stazza prospiciente alla sala del trono; mai fu più logorato nel vedere ciò che lo aspettava oltre la dorata arcata. 

Tutti i suoi servi, che erano già svegli per pulire e ordinare il castello, erano a carponi a vomitare sangue, i suoi consiglieri erano accasciati doloranti agli imponenti archi della sala e a forza d'andar di lena a vomitare sangue, avevano ritinto il maestoso tappeto ceruleo che partiva dalla regale entrata del castello e arrivava fino ai piedi del trono.

Ancora più adirato, Rèoro con lo sguardo chino s'andò a sedere sul suo grande trono venato di lucentissimo oro. Assunse la classica posizione di chi sapeva che di lì a breve ci si sarebbe dovuti battere per la salvezza e per il potere: giunse i polpastrelli delle sue grosse dita gli uni contro gli altri e inarcando la schiena li portò sull'elmo, precisamente nel mezzo dei suoi occhi spiritici.

Le Cronache Scarlatte - Il CavaliereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora