II

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Oggi è sabato e, non avendo scuola, sono ancora nel mio comodo lettino, approfittando della colazione portata da Daniel.

Oggi è anche il mio compleanno.

Non ho mai amato questo giorno; quando ero piccola, in orfanotrofio, nessuno mi faceva mai gli auguri, e ora per me è quasi un giorno come gli altri.

Ma vedrai, Eleanor, non dimenticherai mai questo giorno.

Ieri, tra l'altro, ho ricevuto quella lettera così strana; è chiaramente uno scherzo, anche se una sensazione inquietante ha preso forma nel mio stomaco. Per non destare sospetti, ho riposto tutto e messo la posta fuori dal cancello mentre uscivo, ieri sera, così da non sollevare alcun interrogativo. Una volta tornata a casa, l'ho consegnata io stessa a mia madre.

Mi sembra strano, però, che da anni mi consegnino la stessa identica lettera e, soprattutto, che me la tengano nascosta.

«Signorina, sua madre voleva avvisarla che i suoi genitori sono usciti per delle commissioni.» La porta si apre, rivelando Daniel.
«Ok,» rispondo semplicemente.
Nota il suo sguardo "esitante" mentre rimane sul ciglio della porta.

Non deve dirmi solo questo; lo leggo nella sua mente.

«Daniel?»
«Sí, signorina?»
«Cosa mi stai nascondendo?»

Lo vedo esitare più volte.
«C'è una persona che desidera vederla.»
«E perché non me l'hai detto subito?» inizio a innervosirmi.
«È una persona un po'... particolare.»

Non capendo, ordino a Daniel di far aspettare «il nostro ospite» qualche minuto, poiché devo ancora cambiarmi. Corro a fare una doccia e mi vesto con dei jeans a zampa blu scuro, un maglione rosso scuro della mia amata Ralph Lauren e le Air Force bianche.

Scendo rapidamente le scale e non posso credere ai miei occhi.

Nella mia cucina c'è un uomo enorme e imponente, alto più di tre metri sicuramente, con una folta criniera di capelli scuri e arruffati, occhi neri e lucidi, vestito con un pesante pastrano dotato di un gran numero di tasche.

Rimango quasi impietrita di fronte a quella vista; non sembra reale. Anche lui sembra stupito di vedermi. Nessuno apre bocca, finché non prende parola lui.

«Eleanor Grindelwald, giusto?» È molto goffo, devo ammettere. Con un cenno della testa annuisco.
«Oh, molto bene, piacere, Rubeus Hagrid, custode delle chiavi e dei luoghi della scuola di magia e stregoneria di Hogwarts.»

Non riesco a emettere alcun suono.
Quindi quelle lettere erano vere? C'era scritto di rispondere e se mi facesse del male? Ma cosa c'entro io con una scuola di magia? E da quando esistono le scuole di magia? Mille domande si affollano nella mia mente.

«Probabilmente sei confusa; ti spiegherò tutto durante il tragitto.»
«Quale tragitto?» domando, allibita.
E in meno di un secondo, mi afferra per il braccio e non so come ci ritroviamo in un luogo mai visto prima. È una specie di pub inglese, buio e dismesso.

«Dove cazzo mi hai portata? Sei pazzo?» urlo, sconcertata. Alcuni si girano verso di noi, con sguardi incuriositi, per poi mettersi a bisbigliare qualcosa di strano.

«Abbassa la voce, non vorrai disturbare gli altri maghi.»
«Maghi? Sul serio?»
«Sediamoci a bere qualcosa e ti racconterò tutto.»

Lo ascolto e mi siedo, tanto non posso fare altrimenti.

«Vedi, cara Eleanor, Hogwarts è considerata una delle migliori istituzioni nel mondo dei maghi. I bambini dotati di abilità magiche vengono iscritti alla scuola per nascita e la loro accettazione viene confermata dalla posta del gufo all'età di undici anni. Anche a te è stata inviata cinque anni fa, ma i tuoi genitori affidatari te lo hanno sempre tenuto nascosto.»

«Tu sei una strega, come tuo padre e tua madre, ma non li hai mai conosciuti, sbaglio?»
«Non sbagli,» rispondo, accennando un piccolo e triste sorriso.
«E come ci arrivo a Hogwarts? Non ho i materiali scolastici.»

«Per il materiale scolastico ti accompagnerò personalmente a Diagon Alley. Invece, per Hogwarts dovrai prendere il treno alla stazione di King's Cross al binario nove e tre quarti.»
Lo interrompo subito: «Un momento, nove e tre quarti hai detto? Ma non esiste!»

Lui mi guarda divertito e poi dice: «Ci sono tante cose che non sai.»

Parliamo ancora per un po' di Hogwarts e sono ancora sbalordita da quanto tutto ciò mi sia rimasto nascosto per anni e anni.

Dopo aver pagato, andiamo nel retro del locale. Hagrid tira fuori la sua bacchetta e, agitandola tre volte, le mattonelle del muro iniziano a spostarsi. Davanti a me si presenta una via affollata di gente, con edifici dalle forme mai viste prima. Nel vicolo ci sono un assortimento di ristoranti, negozi e molto altro, alcuni dei quali hanno tavoli davanti all'ingresso con colorati ombrelloni. E poi c'era questa banca che mi colpì molto, si chiamava Gringott.

Hagrid mi accompagna a comprare tutto: il calderone, le divise, le provette e persino un piccolo gattino nero con occhi blu cobalto che ho deciso di chiamare Buzz.

Mancava solo la bacchetta. Hagrid mi indica la struttura poco più avanti. Il negozio è angusto e trasandato. Un'insegna a lettere d'oro scortecciate sopra la porta dice: «Olivander: fabbrica di bacchette di qualità superiore dal 382 a.C.» Nella vetrina polverosa, su un cuscino color porpora stinto, è esposta una sola bacchetta. Un lieve scampanellio, proveniente da anfratti non meglio identificati del negozio, accoglie il nostro ingresso. È un luogo minuscolo, vuoto, tranne che per una sedia malferma.

Dopo poco arriva il proprietario del negozio, che si presenta come Garrick Olivander, e mi spiega che è la bacchetta a scegliere il mago. Provo quindi a centinaia di bacchette, ma ho causato solo danni al negozio. Fino a che, non arriva lei, la bacchetta in legno di vite con nucleo di cuore di drago.

Il negoziante mi spiega inoltre che le bacchette di vite sono tra le meno comuni ed è affascinante notare come i loro proprietari siano quasi sempre streghe e maghi che perseguono uno scopo più alto, con un intuito fuori dal comune che stupisce chi crede di saperla più lunga.

Dopo aver pagato, io, Hagrid e il mio carrello continuiamo il nostro percorso fino ad arrivare alla stazione dei treni. Purtroppo, Hagrid deve andare a consegnare una lettera ai miei genitori, quindi mi accompagna fino a un muro.

«Ok, Aurora, pronta al viaggio? Il binario si trova esattamente oltre il muro.»
Ho sentito bene? Oltre il muro?
«Ma oltre il muro...» Hagrid mi interrompe.
«Devi correre e attraversare il muro; vedrai, non è difficile.»

Decido di fidarmi, mi posiziono con il mio carrello di fronte al muro e, dopo aver salutato Hagrid, prendo un bel respiro e corro letteralmente contro il muro, chiudendo gli occhi per la paura. Ma non sbatto.

Apro lentamente gli occhi. Una locomotiva a vapore scarlatta è ferma lungo un binario. Un cartello alla testa del treno dice: «Espresso per Hogwarts, ore 11.»

Quello era il mio treno.

Mi affretto a salire e noto che tutti i vagoni sono vuoti. D'altronde, se l'anno scolastico inizia il 1º settembre e oggi è il 12 ottobre, è abbastanza plausibile.

Il treno parte quasi subito e trascorro il tragitto a leggere i libri di testo e a provare incantesimi su incantesimi con un cioccolatino a forma di rana appena comprato dal carrello dei dolci.

Dopo circa due ore, ormai esausta dalla giornata che deve ancora concludersi, caddi tra le braccia di Morfeo.

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