XI

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«Non lo so...» riuscii a mormorare, la voce tremante. «Sento solo che sto perdendo il controllo. Non capisco che cazzo stia succedendo.»

Lui annuì, e per un momento ci fu silenzio, ma non era un silenzio opprimente. Era come se cercasse di trovare le parole giuste. «non sei sola in questa merda. Hai sempre persone intorno, anche se a volte non sembrano capire un cazzo.»

Un sorriso amaro si dipinse sulle mie labbra. «Non so se sono pronta a parlarne...» feci, e il mio sguardo si abbassò, mentre pensavo a quell'uomo dal sogno. Un misto di paura e confusione mi attanagliava.

«Non devi dirlo a me, ma a te stessa. Se non riesci a respirare, non possiamo fare niente. E fidati, non è una cosa da poco.» La sua mano si avvicinò alla mia, e per un attimo, sentii una sensazione strana, qualcosa che andava oltre le parole.

«Non voglio far preoccupare nessuno...» dissi, ma il mio tono era incerto.

«Ma chi cazzo se ne fotte? Se c'è qualcosa che ti turba, ne dobbiamo parlare. Non è debolezza, è vita. E io ci sono,» concluse, il suo sguardo penetrante.

«Non voglio che tu ti senta obbligato a essere qui,» dissi, anche se dentro di me speravo che non se ne andasse. «Non ti ho chiesto di farmi da spalla.»

«E chi lo ha detto che lo sto facendo per te? Lo faccio per me stesso. E per il fatto che mi frega di te, Ellie. Ecco la verità.»

«Cosa intendi dire?» gli chiesi, confusa, ma Mattheo non si tirò indietro. Mi fissò per qualche secondo, come se stesse cercando di capire se valesse la pena dirlo.

«Che non sei come le altre, Ellie.» La sua voce era diretta, senza mezzi termini. «C'hai qualcosa dentro, qualcosa che cerchi di nascondere, ma si vede. Non sei la ragazza che fa la vittima, però stai sempre lì a portarti addosso un peso che ti distrugge. E ci ho pensato parecchio, perché... non lo so neanche io, mi viene da darti una mano pure se non te la meriti sempre.»

Sgranai gli occhi, non me lo aspettavo.

«Meritarmela? Che cazzo stai dicendo?» borbottai, cercando di difendermi.

Mattheo sbuffò, quasi spazientito, ma più con sé stesso che con me. «Senti, non sto qui a dire stronzate. Sei un casino, lo sai. Ma, cazzo, sei anche tosta. Pure quando pensi di essere a pezzi, non ti arrendi mai davvero. Te la prendi con te stessa, sì, ma alla fine... sopravvivi. Te ne freghi di tutto il resto e vai avanti.»

«Non mi conosci davvero,» dissi a bassa voce, abbassando lo sguardo. Mi sentivo scoperta, vulnerabile.

«Forse no,» rispose lui, «ma vedo quello che fai. Ti guardo da lontano e mi incasini la testa. Non so neanche perché m'interessa, ma è così. Sei lì, sempre pronta a mordere, ma dentro c'è qualcos'altro, qualcosa che nessuno vede, forse neanche tu.»

Mi mordicchiai il labbro, confusa. «Non so manco io se sono forte come dici.»

«Non è questione di forza. È che sei viva, cazzo. Te lo vedi in faccia che hai sofferto, eppure sei ancora qui. Molti avrebbero già mollato.»

Restai in silenzio, senza sapere cosa dire. Mi sentivo esposta. Le sue parole erano così brutali, dirette, ma... vere. E mi colpivano dove faceva più male.

«Mattheo, non so neanche perché mi stai dicendo tutte 'ste cose.»

«Perché te le meriti,» rispose secco. «Ti nascondi sempre dietro a quel cazzo di muro che ti sei costruita, come se fossi l'unica che deve lottare. Ma non sei sola. Lo so che non ti piace sentirti debole, ma non è debolezza farsi aiutare, ok?»

Abbassai lo sguardo, cercando di evitare il suo. Il nodo nella mia gola si faceva sempre più stretto. «Non mi serve aiuto. Ce la faccio da sola.»

«Che due coglioni, Ellie,» sbottò lui, senza mezzi termini. «Ce la fai da sola, sì, ok, ma per quanto? Guardati. Sei a pezzi. Nessuno ti dice che devi mollare, ma a volte bisogna avere il coraggio di dire che c'hai bisogno di una mano. Non sei meno forte per questo. E, fanculo, se vuoi parlare, io ci sono.»

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