Overthink

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Pensare troppo. La mia condanna.

Sono sempre lì i pensieri, pronti a inseguirmi anche quando cerco di rilassarmi.
Ogni cosa, ogni singola decisione finisce sotto un microscopio nella mia testa. Non riesco a lasciar perdere qualcosa: ripenso a quello che ho detto stamattina, a come ho guardato qualcuno, a cosa ho fatto di sbagliato ieri.

E poi comincio a chiedermi: e se avessi fatto tutto diversamente? Mi sento soffocare da questi "se". Mi sento intrappolata. Continuo da anni a fare scelte sbagliate, anche quando so che non mi porteranno da nessuna parte. Ed ogni volta mi chiedo cosa sarebbe successo se non avessi fatto quella determinata azione.

È come se fossi bloccata in questo ciclo senza fine, sempre a rovinare le cose che una volta amavo. E temevo anche di rovinare la mia passione. Ogni volta che penso di potermi riprendere, faccio un passo indietro.  E poi il terrore di non piacere agli altri. Il prepararsi mentalmente discorsi su discorsi prima di parlare con qualcuno per paura della prima persona. Anche se ho sempre preferito partecipare a conversazioni senza dire nulla di utile, solo per esserci, solo per non sentirmi completamente fuori posto... ma non cambia mai nulla.

Mi trovo sempre in mezzo a persone che non conoscono nulla di me, con amici che non sono veri amici, in posti che non mi fanno sentire meglio. Mi uccide lentamente, ma non riesco a smettere. È più facile così. È come se stessi scappando da qualcosa, ma ogni volta che provo a uscire, finisco per spingere via chi mi conosce davvero, chi potrebbe aiutarmi. Ho paura. Paura di essere vulnerabile, paura di farmi vedere per come sono veramente. Forse è più semplice rimanere delusa da me stessa che rischiare di deludere gli altri.

Ma non posso continuare così per sempre, vero?

Well, sometimes I feel like I don't wanna be where I am

But it's me who's been making the bed

I'm so tired of bein' the girl that I am

La mia mano iniziò a scrivere sul mio diario le prime frasi che mi passavano per la testa e riuscii a fare una mezza stesura di un ipotetico inedito, bruttina ma fatta.

Chiusi il diario sospirando e decisi che era l'ora di rientrare «Eccoti» mi disse preoccupata Alessia «Tutto bene?» chiesi io confusa «Si è che mi sono alzata e non ti ho trovata da nessuna parte»

«Stavo finendo di scrivere un pezzo nuovo» ammisi facendole spalancare gli occhi «Davvero? Me lo fai sentire?» chiese eccitata, io scossi la testa divertita e prima di aspettare una risposta scappai in camera.

Mi sedetti sul letto e cercai di non lasciare che i miei occhi si chiudessero visto che mancava poco al suono della mia sveglia «Non hai ancora dormito?» chiese preoccupato Ilan entrando e prendendo posto al mio fianco.

«Non sono riuscita» confessai appoggiandomi alla sua spalla «Ma devi, ne va della tua salute»

«Non ha dormito?» chiese Nicolò entrando anche lui «Siete i miei papà ora?» chiesi alzando un sopracciglio divertita ma restando appoggiata al mio amico.

«Scema» mi rispose il riccio ed io gli feci una linguaccia «Comunque Anna ci vuole entrambi in sala, quindi alzati su» mi disse facendomi scattare, probabilmente era una cosa importante. Salutai Ilan e mi incamminai.

Una volta tornata dalle lezioni impegnative mi sentii sfinita e non vedevo l'ora di sdraiarmi, ma la mia fantasia si frantumò nel momento in cui vidi il mio nome di fianco al turno di cucinare.

Rotea gli occhi e dopo aver posato le mie cose in camera ritornai in cucina pronta a far esplodere i fornelli.
La cucina non è mai stata il mio forte, chiunque mi conosca appena mi vede vicino a un qualsiasi aggeggio da cucina si allerta e mi allontana. Diciamo che tutte quelle volte che ho cucinato è finita male. Il mio massimo è una cotoletta.

«Raga' mi sa che stasera non si mangerà» annunciò Vybes prendendomi in giro, mi girai verso di lui con una pentola in mando cercando di intimorirlo.

«Guarda che sono un'ottima chef e oltretutto sei in turno con me quindi vedi di muoverti» dissi tendendogli la padella, visto che non avevo intenzione di accendere il fuoco.

Gabriel negli ultimi giorni si era rivelato di ottima compagnia, nonostante io sia una persona che non si lega ad altre. Non perché io non voglia, è che ogni volta che ci ho provato, sono rimasta delusa.

Ho sempre avuto la sensazione che la gente intorno a me fosse lì solo per convenienza o per noia, mai per me. Le amicizie che ho avuto, quelle che credevo importanti, si sono rivelate superficiali. Le amiche che ritenevo vere, si sono rivelate non esserlo. E nessuno di loro ha mai cercato davvero di capirmi, di vedere oltre il sorriso di circostanza che portavo.

Così col tempo mi sono abituata a stare da sola. a bastarmi. E mi sembrava più facile, perché non devo aspettarmi niente, non devo preoccuparmi di essere tradita o esclusa. Ultimamente, però, c'è una parte di me che si fa sentire più spesso, quella che ho sempre cercato di ignorare, quella che ha bisogno di qualcuno. Non di chiunque. Di qualcuno di vero, che non mi veda come un'opzione di passaggio.

È tutta la vita che faccio finta che non mi importasse, che la solitudine fosse una mia scelta. Ma la verità è che mi è sempre mancato avere qualcuno al mio fianco.

E qui dentro penso, e spero, di star trovando queste persone. Come Ilan, Alessia, Nicolò e Vybes che sono quelli con cui per ora parlo di più e ci passo il mio tempo.

Dopo cena mi rifugiai nel retro con il mio solito caffè cercando di godermi qualche minuti di silenzio. Sento dei passi, e, quando alzo lo sguardo, vedo Nicolò che si avvicina con le mani in tasca.

«Ti ho cercata ovunque» dice con uno sguardo stanco «Posso unirmi?» annuisco e feci spazio accanto a me sul divanetto.

«Piaciuta la mia pasta?» dissi ironicamente cercando di intraprendere un discorso «Intendi la pasta di Vybes?» ribatte scherzando ed insinuando che non avessi fatto niente.

«Guarda che ho dato una mano eh» rise e rimaniamo seduti lì, in silenzio per qualche minuto. È strano quanto possa essere rilassante stare insieme senza parlare, senza bisogno di riempire il vuoto. Poi, senza guardarmi, Nicolò disse «È bello avere qualcuno con cui condividere questi momenti»

Io mi girai verso di lui rivolgendogli un flessibile sorriso «Si, lo è» a quel punto mi portò un braccio sulle spalle avvicinandomi a se e mi ritrovai con la testa appoggiata alla sua spalla, sperando che la leggere luce del porticato non diede a vedere il mio rossore.

Era un gesto semplice, ma non in quel momento. Non avevamo mai avuto quel tipo di contatto, mai. Eppure, in quel momento, sembrava così naturale. Il suo braccio intorno a me non era forzato, ma protettivo, quasi come se fosse sempre stato lì, aspettando solo quel preciso istante per farsi avanti.

Rimasi immobile per qualche secondo, cercando di capire se stavo sognando o se fosse tutto vero. Mi sembrava di trattenere il fiato, come se un movimento brusco potesse rompere quell'incantesimo. Sono quel genere di persona che odio il contatto fisico ma che allo stesso tempo ama, e che quindi concedo solo in casi rari. Eppure, man mano che il tempo passava, mi accorsi che non volevo muovermi. Anzi, volevo restare li.

«È strano, vero?» mormorai, rompendo il silenzio, quasi ridendo per la mia stessa goffaggine «Cosa?» chiese lui, con quella voce profonda che sentivo vibrare leggermente nel suo petto.
«Questo» dissi, indicandoci con un piccolo gesto della mano «Pensavo al fatto che è una delle poche volte in cui siamo effettivamente vicini»
Lui rise, un sorriso che potevo percepire anche senza vederlo del tutto «Se solo mi permettessi di avvicinarmi sempre» disse semplicemente.

𝐒𝐎𝐔𝐋𝐒 | Nicolò FilippucciDove le storie prendono vita. Scoprilo ora