When you're gone

1.6K 87 10
                                    

Il bagliore l'aveva colto così alla sprovvista che Killian non aveva avuto neanche il tempo di rendersene conto.
Stava parlando con Emma e poi una luce accecante li aveva travolti.
Aveva sentito come un fuoco addosso.
La stringeva tra le braccia, questo lo ricordava bene, poi più nulla.

Pian piano che la mente rischiarava i ricordi e il corpo riprendeva le sue normali funzioni, il pirata si rese conto di essere steso a terra, su qualcosa di umido e appiccicoso.

Provò a guardarsi intorno ma aveva la vista troppo annebbiata per poter distinguere qualsiasi cosa. Non riusciva neppure a capire se avesse davvero riaperto gli occhi o se quelle strane ombre fossero un residuo del lampo luminoso che l'aveva quasi accecato.
Tastando con le braccia il terreno attorno a sè, un cattivo pensiero, come un presentimento, gli balenò nella mente.

La sensazione di essere solo.

Raccolse tutte le energie per mettersi a sedere, cercando di mettere a fuoco l'ambiente.
Si trovava in un bosco, seduto su uno spesso strato di terra ed erba bagnata, le ombre che aveva visto fluttuare non erano altro che le cime degli alberi mosse dalla gelida brezza notturna.

Non avvertiva il freddo, le lunghe notti da pirata, passate a dormire un po' ovunque, esposto a intemperie di ogni tipo, avevano plasmato la sua pelle e il suo corpo, rendendolo capace di sopportare qualsiasi cosa.

Al contrario, ciò che gli fece salire i brividi fu la consapevolezza di averci visto giusto: non c'era nessuno oltre lui in quel luogo.

"Swan!"

Il suono gli uscì dalla bocca come un rantolo strozzato.
Aveva la gola secca e parlare gli faceva male, ma non gli importava

"Swan!"

Si rimise in piedi con non poca difficoltà.

"Emma!! Riesci a sentirmi?!"

Iniziò a camminare senza una meta precisa.

"Sei qui?!"

Dovunque fosse finito, era più che certo di non trovarsi più nella Foresta Incantata, ne tantomeno nella Terra dei Principi.

Quello era il mondo moderno, il mondo di Storybrooke, e la strada asfaltata che raggiunse poco dopo ne era la dimostrazione.

"Dove diavolo sono finito...?"

C'era qualcosa di sbagliato. Qualcosa di magico doveva essere accaduto e chissà come e chissà perché, l'aveva riportato in quella dimensione.

"Swan. Dove sei?"

Sussurrò quasi a se stesso.

La strada era deserta. Non c'era traccia di quegli strani aggeggi che chiamavano automobili.

Doveva essere una zona poco trafficata o, cosa molto più probabile, a quell'ora di notte non circolava più nessuno.
Killian decise di seguire quella via, che doveva pur condurre da qualche parte.
Cercò di fare mente locale. 

Quando lui ed Emma erano finiti nel portale del tempo di Zelena, le aveva detto di tranquillizzarsi, che erano svegli e avrebbero trovato un modo costruttivo per tornare a casa.

Era il momento di seguire i suoi stessi consigli, per tornare nella sua casa, cioè in qualunque luogo fosse la donna che amava.
Anche se in un mondo sconosciuto e senza magia, senza alcun Signore Oscuro disposto ad aiutarlo, senza la certezza che Emma fosse accanto a lui e stesse bene, tutto si faceva più complicato.
Ma niente panico.

Doveva cercare un punto di riferimento. Forse se avesse capito in che parte del mondo era capitato, avrebbe potuto raggiungere Storybrooke e ritrovare Emma, ovunque fosse finita.

Quel pensiero gli gelò il sangue nelle vene.
Se lui era stato scaraventato lì, senza alcun apparente motivo,  dov'era finita lei?
Era a un passo da lui o in un'altra dimensione? Nella parte opposta di quell'universo o di un altro sconosciuto reame?

E se le fosse capitato qualcosa? Se fosse ferita? O peggio.

Cercò scrollando il capo di allontanare quei cattivi pensieri.
No, Emma stava bene.
Era forte, coraggiosa e aveva saputo affrontare da sola anche le più ardue situazioni.
Se la sarebbe cavata, come sempre, finchè lui non fosse riuscito a trovarla.
Perché l'avrebbe trovata, ad ogni costo.

Sorrise con amarezza.

Quando tutto sembrava volgere al meglio, il destino gli aveva giocato un altro brutto tiro, ma lui non avrebbe ceduto.
Mai.
Non era disposto a perderla per nessun motivo.
Non di nuovo.
Le varie circostanze, da quando si erano conosciuti, li avevano tenuti lontani, separati e quando finalmente avevano entrambi accettato i propri sentimenti e deciso di puntare tutto sul loro rapporto, ecco di nuovo qualcosa pronto a dividerli.
Pareva che la loro stessa esistenza fosse manovrata da un'essenza superiore che si divertiva a giocare con loro, come burattini, costretti a lottare all'infinito per ottenere un breve e intenso attimo di felicità.

Doveva lottare? Nessun problema, dalla sua nascita non aveva fatto altro.

E come suo fratello gli aveva insegnato, un uomo che non è disposto a lottare per raggiungere i propri obiettivi, merita tutto ciò che di negativo la vita gli para dinanzi.
Questo pensiero parve rassicurarlo leggermente.

Aveva camminato a lungo, e a passi svelti.

Si rese conto di essersi lasciato alle spalle il fitto bosco quando iniziò a scorgere alcune luci in lontananza.
Doveva essere una città.
Allungò ulteriormente il passo, sorridendo.
Se si trattava di New York, avrebbe saputo come tornare a Storybrooke senza difficoltà, come già aveva fatto in passato.
Ma si sbagliava di grosso.
New York non poteva essere più lontana.
Se ne accorse quando raggiunse il confine.

Sulla destra spiccava un cartellone di indicazione verdastro che non aveva mai visto prima, con la scritta gialla sbiadita dalla continua esposizione ai raggi solari, ma perfettamente leggibile.

"Benvenuti a Starling City"

La memoria del cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora