3. Demetrio (rev)

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Esco dal negozio e mi guardo intorno. Il vento si è calmato, ora l'aria è secca e immobile e il silenzio è assoluto. Anche tendendo l'orecchio sento solo i rumori che provengono dalla mia testa, un debole fischio, il pulsare del mio cuore. C'è un vago odore di polvere nell'aria. Anche più in giù i negozi sono tutti chiusi, le serrande abbassate. Mi incammino verso il ponte, verso il centro della città.

Avessi il cellulare carico potrei sentire Bug, oppure il Grigio o... be', la lista è finita. Sono praticamente le uniche persone che frequento. Uscire a sparare cavolate con un paio di birre in corpo è il nostro sfogo dopo quattordici ore filate al computer. Ogni tanto il Grigio propone di andare in locali dove 'si fanno conoscenze' ma io non sono proprio il tipo. Non è simpatico sentirsi chiedere dalla ragazza di turno se il gatto ti ha mangiato la lingua. Ma non riesco a ricordare, non mi pare proprio di essere uscito con i ragazzi, ieri sera. Magari Bug sarà in ufficio. Lui praticamente ci vive. Saprà qualcosa, lui sa sempre tutto prima degli altri, o almeno se la tira di sapere. In qualche modo devo scoprire cosa è successo. Questa cosa della città deserta è troppo strana.

Arrivo al ponte. Nel fiume c'è una chiatta piegata su un lato e mezza sommersa. E' verde con colori mimetici. Un mezzo militare?

Dall'altra parte del ponte inizia il centro cittadino. Ancora negozi chiusi, locali chiusi. Neanche un cane in giro. Entro in piazza Repubblica, anche il palazzo del comune è chiuso. Le pesanti porte di legno con i bassorilievi sono sbarrate. Dalle finestre non si vede un singolo movimento. La piazza sembra il set abbandonato di un film western.

Giro nella strada a sinistra, poi ancora a sinistra. L'ufficio è chiuso come tutto il resto, le tende della vetrina sono tirate, ma ho le chiavi.

Apro la porta ed entro nella reception. La luce che filtra attraverso le tende conferisce a tutti gli oggetti un aspetto verdognolo, un po' squallido e polveroso, ma tutto sembra normale, come tutti i giorni. Al banco è tutto in ordine.

Passo dietro, nel nostro 'spazio creativo'. Le postazioni sono come le ho lasciate ieri sera. Sulle lavagne ci sono gli schizzi del Grigio per la grafica del portale che ci hanno commissionato. La postazione di Bug è la solita esplosione di Post-It farciti di geroglifici: le suoi 'shortcut' e i suoi 'workaround'. Lui è il cervellone del gruppo.

Vado alla mia scrivania. Seduto sulla mia sedia allungo le mani verso il mouse e la tastiera. Chiudo gli occhi e il contatto mi regala una momentanea sensazione di normalità. Ripasso mentalmente la struttura del portale e sento l'ansia che piano piano mi abbandona. Il mio mondo, in cui posso controllare le cose, in cui non mi devo preoccupare di dire o fare la cosa giusta.

Apro gli occhi e allungo il dito verso il pulsante di accensione del computer... niente. Il castello virtuale in cui mi sono rifugiato viene giù come fosse fatto di ghiaccio maledettamente fragile e sottile. Nulla, non c'è elettricità. Anche la lampada è morta. Non c'è proprio nulla di normale o di confortante in tutto questo.

Sono solo, devo pensare a sopravvivere. I servizi essenziali! Corro in bagno e apro il rubinetto dell'acqua. Fantastico, scorre normalmente. Nella cucinetta sul retro, apro il gas. Bene, il gas c'è? Un attimo... la pressione sta scendendo e il flusso si affievolisce e poi smette. Il telefono, perché ho pensato solo ora al telefono? E' essenziale. Ma muto.

Il sole è alto e inizio ad avere fame. Nella cucinetta raccatto dei grissini e li sgranocchio guardando fuori dalla finestra.

Questa è la situazione, dunque: siamo rimasti in pochi in città. Oltre al ragazzino ci sarà pure qualcun altro in giro. Tutti gli altri se ne sono andati e io non so il perché. Ma ci sarà una spiegazione logica. Non è una bomba atomica e non è un gas velenoso, altrimenti sarei schiattato. Quindi non siamo in guerra. Di solito evacuano le città quando devono disinnescare grosse bombe inesplose, ma è solo per precauzione, non c'è un vero pericolo. Avranno fatto evacuare tutti e qualcuno è sfuggito. Qualcuno come me, che vive solo e ha il sonno pesante. Non c'è problema, devo solo procurarmi un po' di cibo e raggiungere gli altri, ovunque siano finiti. Ma non posso rimanere qui a perdere tempo. Devo darmi da fare.

Esco di nuovo in strada, lascio la porta socchiusa, credo che chiudere a chiave non sia essenziale in questa situazione. Ritorno verso casa in cerca del ragazzino.

Attraversato il ponte vedo in lontananza Rudy che sta scendendo verso di me. Gli faccio un cenno e lui risponde. Proseguiamo e ci incontriamo.

"Allora, hai completato la tua collezione di dischi?"

"Mi sono stufato, e poi il piatto non funzionava. Non c'è corrente, sai?"

"Me ne sono accorto. Mi hai detto che sei in giro da ieri. Cosa hai mangiato? Dove hai dormito?"

"Ricominci con gli interrogatori, zio? Ho preso un po' di cose in giro, poi ho dormito in una casa."

"Sei entrato sempre nello stesso modo?"

Sorride beffardo.

"Giá, il sasso magico... Sai una cosa strana? Nelle case e nei negozi che ho girato non c'era nulla di fresco. I formaggi pieni di muffa, la frutta e la verdura, secca o marcita. Mi sono arrangiato con scatolette e prodotti confezionati."

"Cosa? Portami subito in uno dei negozi che hai scassinato."

Indica con il pollice la strada alla sue spalle. Trenta metri dopo c'è una panetteria con la serranda chiusa. Rudy si infila nel vicolo a lato, salta su un un cassonetto della spazzatura, con un altro piccolo balzo si siede sul davanzale di una finestrella e in due secondi scompare all'interno.

Lo seguo con minore agilità e atterro nell'oscuro retrobottega in mezzo ai soliti frammenti di vetro. Vado nella parte adibita a negozio, passo davanti a Rudy e allungo la mano nel banco frigo. Afferro una bottiglia di latte, mi porto verso la vetrina, la data di scadenza... 22 settembre 2015.

Apro la bottiglia, annuso... Rancido!

Mi guardo intorno. Nei contenitori dietro al banco non c'è pane, sugli scaffali a lato del negozio ci sono vari prodotti confezionati. Alcuni buchi nelle file di merendine rivelano il passaggio di Rudy.

Gli mostro la bottiglia.

"Rudy, io non so che giorno è oggi, tu lo sai? Io mi sono addormentato il diciotto settembre, se oggi è il diciannove questo latte dovrebbe scadere fra tre giorni, invece è già andato a male. Deve essergli successo qualcosa."

"Boh, sarà che il frigo è spento. Per me potrebbe essere il venti... credo. Ma perché ti frega?"

"Perché voglio capire cosa è successo. E se fosse un microrganismo, tipo un'arma biologica a cui io e te siamo immuni?"

"Io non ho visto cadaveri in giro. La gente non è morta, se ne è solo andata."

"Senti, noi dobbiamo andarcene da qui, dobbiamo trovare una macchina, trovare qualcuno. Dobbiamo capire che giorno è oggi, che fine hanno fatto tutti. Non possiamo stare qui senza far niente, dobbiamo sapere, dobbiamo dare un senso a questa situazione demenziale."

"Okay, calmati un po', zio, è tutto a posto. Intanto non c'è nessun noi. E poi la cosa mi pare semplice: la gente se ne è andata e ti ha dimenticato qui. Fine della storia."

"Benedetto ragazzo, a te può star bene di essere stato abbandonato da tutti e di fare lo sciacallo in giro per la città, ma a me no!"

Vedo il suo viso farsi scuro, forse ho fatto una gaffe. No, ho decisamente fatto una gaffe. Sarà un orfano o sarà stato abbandonato dai genitori e io... che delicatezza! Il solito genio delle relazioni umane.

"Cioè... scusami ragazzino. Senti, non possiamo rimanere qui. Potrebbe essere pericoloso, per quello che ne sappiamo. Dobbiamo trovare gli altri e unirci a loro. Forza, muoviamoci!"


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