10. Beta (rev)

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Dilato le narici e inspiro l'aria intorno a me. Odore di miei simili, non sono più solo.

Fame. Quella è una compagna costante, che non mi lascia mai.

Mi alzo. Una caverna.

Un maschio anziano si avvicina, il pelo grigio e le corna nodose ben sviluppate. Procede incerto, zoppica un po' con le zampe posteriori. Emette un basso ringhio gutturale e io abbasso la testa in segno di sottomissione.

Ci raggiunge una femmina adulta. Annusa il maschio di sfuggita fra le zampe, mi si avvicina e fa scivolare il suo muso sotto al mio per farmi capire che posso rialzarmi.

Null'altro deve essere comunicato. Abbiamo stabilito la gerarchia. Andiamo a caccia.

Il maschio si gira e scompare in discesa verso l'apertura della grotta, noi dietro. Fuori dalla caverna con un balzo superiamo dei cespugli e iniziamo a correre.

Gli artigli mordono la terra, l'aria fresca muove la mia pelliccia e fischia fra le mie corna appena accennate.

Mi sento forte, vivo e... terribilmente affamato!

Il vecchio si ferma di colpo, noi ci arrestiamo vicino a lui, in attesa di indicazioni. Si solleva sulle zampe posteriori e annusa l'aria. Punta verso una collina alberata.

Si rimette a correre, supera i fossati, gli steccati e si infila fra gli alberi. L'istinto ci guida nel superare gli ostacoli, nell'evitare tronchi e rocce. La femmina è dietro a lui, sulla destra, io a sinistra poco più indietro.

Il vecchio si blocca di nuovo, le zampe anteriori divaricate e gli artigli sguainati. Il fiuto gli dice qualcosa. Ringhia basso e minaccioso verso un albero. La femmina si porta sull'altro lato, io in mezzo.

La femmina scatta e afferra fra le fauci una cosa grigia e pelosa. Si gira verso di noi con la lepre fra i denti, sta bevendo il suo poco sangue con la gioia negli occhi.

Si toglie dalle fauci la carcassa ormai esangue, con gli artigli la fa a pezzi e li getta verso di noi. Io mi avvento famelico sui quarti posteriori che mi sono toccati e li ingoio senza nemmeno masticare. Il vecchio fissa il suo pezzo, lo annusa, poi se ne allontana. Un altro boccone di carne per me, io non mi faccio pregare. Lui invece vuole il primo morso, vuole il sangue.

E' solo un misero spuntino, noi cerchiamo ben altro per sfamarci. Gli animali, quelli grossi, quelli con tanto sangue che ci si può bere in due o in tre fino a placare la sete.

Il naso della femmina le dice che c'è un'altra preda più avanti. Mugola verso di noi e parte in corsa sfrenata. Io e il vecchio fatichiamo a starle dietro. Ora lo sento anche io. Dall'odore sembra un camoscio. Buono, non il più buono, ma può sfamarci tutti.

Le nostre prede preferite mancano da giorni. Peccato, prima ce n'erano tantissime e non bisognava neanche fare fatica a prenderle: le coglievi nel sonno, le portavi fuori bevendo il sangue dal loro collo ancora caldo e poi condividevi il resto con i compagni di branco. Ce n'erano così tante che potevi morderle giusto per assaggiare e poi lasciarle là. Anche i branchi erano più numerosi, ogni notte arrivavano altri nuovi compagni.

Il mio primo branco, pochi giorni fa. Eravamo così tanti che quando correvamo tutti insieme facevamo tremare la terra. Facevamo a gara per chi mordicchiava più prede, sprecavamo, eravamo spinti da un'energia prodigiosa.

Poi è cambiato tutto: sono arrivate le prede con le luci che bruciano e i rumori che ti uccidono e hanno cominciato a sterminarci. I più forti, i più famelici sono caduti per primi, poi è stata una strage. Io sono riuscito a scappare. Sono rimasto da solo per giorni, cibandomi di topi, gatti, lepri. Tutto quello che sono riuscito ad azzannare senza espormi troppo. Ora ho di nuovo un alfa da seguire, qualcuno che mi possa insegnare a cacciare la preda. Non è che un minuscolo branco, ma sono felice.

Ecco, l'odore si è fatto più forte, siamo vicini. Questa volta il vecchio non si farà fregare. Ha accelerato, superato la femmina dandole una spallata e si sta avventando sul camoscio in fuga. Noi siamo più veloci, nessuno può sfuggire. Il vecchio spicca un balzo con la bocca spalancata e centra il collo del camoscio rotolando a terra con lui, in un abbraccio mortale. Il vecchio sa come fare: rimane avvinghiato al collo dell'animale fino a che questo non smette di scalciare e poi ancora fino a che l'ultimo sussulto di vita non l'ha abbandonato.

Io e la femmina ci avviciniamo e affondiamo le zanne nelle cosce del camoscio, lì dove ci sono ancora le vene pulsanti e succhiamo il sangue ancora caldo. Con pochi e frenetici colpi di artigli squartiamo l'animale ed esponiamo le sue interiora. La femmina ficca il muso nell'addome e lo ritira lordo di sangue con un'espressione estatica, masticando brandelli del fegato. Io le lecco il sangue dalla faccia ma lei mi spintona via, irritata. Il vecchio ha aperto in due il torace con un sinistro rumore di ossa rotte e si sta dedicando a cuore e polmoni. Io torno alla mia coscia e cerco di ingoiare più carne che posso.

Quando finiamo di mangiare resta lo scheletro pulito e qualche brandello di pelle. Ci fermiamo a godere sella sensazione di pienezza e a leccarci vicendevolmente per succhiare anche l'ultima goccia di sangue rimasta. La fame ci dà un attimo di tregua, ma presto tornerà a farci visita, imperiosa.

La notte non è finita, stiamo meglio ma non siamo ancora sazi. La caccia continua.


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