Capitolo 1

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Catherine era in piedi davanti a me. Indossava un vestito aderente nero senza spalline che le arrivava a metà coscia. Anche se avevamo la stessa età, era molto più alta di me. I suoi stivaletti d'oro bassi senza tacchi—che comunque non le sarebbero serviti—brillavano come il sole sotto la luce della lampada e dovetti distogliere lo sguardo per non rimanere accecata. Aveva i capelli che, liscissimi, le ricadevano delicatamente sulle spalle nude. Di solito la sua testa era una massa di riccioli castani che teneva sempre raccolta in una coda. Li odiava perché diceva che la facevano sembrare disordinata, ma a me piacevano. La rendevano molto originale e poi io adoravo i ricci, anche se dovevo accontentarmi di avere i capelli mossi. È proprio vero quello che si dice: chi ha i capelli ricci, li vuole lisci e chi li ha lisci, li vuole ricci.

Notai che si era tinta le punte di un rosa acceso che risaltava troppo sul suo colore naturale, come schizzi disordinati esageratamente evidenti su una tavola bianca. Quelli non mi piacevano.

«Non puoi passare la vita qui dentro!» mi aveva detto mettendo le mani sui fianchi.

L'espressione di disapprovazione sul suo volto le faceva corrugare la fronte. Teneva le labbra rosse come il sangue strettissime, ridotte ad un filo. I suoi occhi color nocciola, contornati dall'eye-liner argento, mi scrutavano dall'alto in basso.

«Beh Cath, direi che lo sto facendo» le risposi, non distogliendo lo sguardo dal mio libro.

Ero accucciata sulla poltrona della biblioteca di casa mia e stavo leggendo Anna Karenina, un librone di più di mille pagine con intrighi amorosi peggio di una telenovela argentina.

«Cavolo, oggi compi sedici anni! Non ci credo che starai tutta la sera a leggere. Vieni fuori con me. Ci divertiremo» disse gesticolando e rilassando un po' il viso.

«Ma io mi sto divertendo» ribattei con tono provocante, non guardandola ancora.

Sentii formarsi sulle labbra un sorriso di sfida, ma lei sembrò non accorgersene

«Non vedo l'ora che nasca il figlio di Levin, chissà come lo chiameranno...»

Cath sbuffò.

«La vita vera è là fuori, non dentro quei cavolo di libri.»

«Allora la vita vera fa schifo!» gridai chiudendo con forza il volume ed alzandomi in piedi.

Lo pensavo sul serio. Cosa c'era di bello in un mondo falso fatto solo di apparenze? Cosa c'era di bello nell'andare alle feste solo per trovare un ragazzo? Un mondo dove dovevi essere alta, magra e bionda per essere presa in considerazione. Un mondo che si era preso i miei genitori.

Erano passati ormai due anni dalla loro morte, ma a volte ci pensavo ancora. Ricordavo limpidamente il giorno in cui il mio mondo era stato sconvolto con quelle poche parole:

«Lydia, i tuoi genitori sono morti.»

"No, non può essere." fu il mio primo pensiero, "Deve essere uno scherzo", ma poi i ricordi cominciarono a riaffiorare. La macchina, i miei genitori arrabbiati con me perchè, nonostante mi avessero esplicitamente vietato di andare alla festa di Cath, io ci ero andata lo stesso, il loro continuo litigio per decidere di chi era la colpa, io che urlavo soltanto per fare sentire la mia voce. E poi quella maledetta macchina e quel maledetto ragazzo ubriaco che mio padre non era riuscito ad evitare.

Quel giorno mi sentii vulnerabile come un rametto che aveva perso tutte le foglie e che chiunque avrebbe potuto spezzare. Nulla era riuscito a colmare il vuoto lasciato dai miei genitori, fino a quando non scoprii i libri. Nessuno capisce, in questo mondo fatto di internet e social network, come i libri possano essere ottimi amici e come delle semplici scritte possano diventare nella nostra immaginazione personaggi che sono migliori delle persone reali.

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