Capitolo due.

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(Se volete leggere anche le altre mie fan fiction, potete trovarmi su efp, sono xPragmatism!)

Un'altra giornata mi si pone davanti.

La sveglia squilla, il rumore mi fa sobbalzare e capisco che è ora di iniziare la tortura.

La luce penetra nella stanza, facendosi spazio e scintillando sotto il mio sguardo.

I miei piedi toccano il pavimento, freddo. Infilo le ciabatte e mi dirigo in cucina. Sto per fare colazione, versandomi del latte in un bicchiere, ma guardo la bottiglia contenente il liquido bianco ed esce dalle mia labbra una smorfia di disgusto. Non posso mettere su altri kg, ripongo il contenitore nel frigorifero ed infilo i vestiti scelti la sera prima.

A questo punto lancio una fugace occhiata alla borsa, controllo che al suo interno ci sia il fedele pezzo di vetro ma decido di non fare altri tagli, non ancora, dal momento che oggi a scuola soffrirò il triplo.

Sto per uscire, ma la voce di mia madre mi blocca.

« Fra, hai ancora un quarto d'ora di tempo. Possiamo parlare? » chiede, sorridendomi debolmente. Annuisco e prendo posto accanto a lei, sul divano in pelle scura.

« Vedi, io e tuo padre siamo sempre così assenti... ma non è colpa nostra, il lavoro ci prende troppo tempo. » sospira, lanciandomi una veloce occhiata.

« Sì, ma non preoccuparti, va tutto bene. » mento.

« Invece mi preoccupo! » alza la voce, prendendo le mie mani fra le sue. Io mi ritraggo dal contatto, alzando lo sguardo al cielo. « Ho notato che non consumi per niente cibo, sono rare le volte in cui le dosi si dimezzano... e sei sempre più magra. » deglutisce, squadrandomi. Sposto gli occhi dall'altra parte della stanza, in cerca di una scusa, ma la sua voce mi precede.

« Per questo, abbiamo trovato una soluzione. » annuisce.

« Quale? » chiedo.

« L'altra volta sono arrivati due nuovi medici, all'ospedale. Sono stranieri, pakistani, ma ottime persone... e hanno un figlio, ha più o meno la tua età. » spiega.

« Beh, quindi? » corrugo la fronte.

« Quindi, anche lui rimarrà solo la maggior parte del suo tempo libero... e non hanno ancora una casa. Abbiamo trattato e deciso che potrebbero venire qui a stare da noi, tanto siamo sempre assenti: la casa è vostra, ed io starò più sicura. »

« Mamma, mi prendi in giro? » chiedo, spalancando la bocca. No, non voglio un ragazzo in casa. Sono impiccioni, rompiscatole, sporchi... e mi controllerebbe come vuole appunto mia madre, questo vorrebbe dire pericolo.

« Niente ma, e ora puoi andare a scuola. » sorride, come se niente fosse.

Dopo averla supplicata per cinque interi minuti di ripensarci, prendo il pullman e mi rinchiudo fra quattro mura che tanto odio. Lei ha deciso, non posso fare altro che sperare in un ragazzo per bene e poco presente in casa.

Le prime tre ore trascorrono veloci, ma arriva la ricreazione... purtroppo.

Inizio a tremare in modo incontrollabile, mentre lasciano le mie labbra continui sospiri e gemiti, appena qualcuno mi sfiora per sbaglio o si avvicina. Mi guardo intorno con gli occhi ridotti a due fessure, cercando di non farmi notare.

La ricreazione finisce.

Sospiro, adesso posso tornare in aula: chimica alla quarta ora. Perfetto.

Deglutisco e mi incammino verso la classe, ma una spalla mi viene afferrata con violenza prima che possa entrare.

Sono obbligata a voltarmi dal lato del bullo di turno. La schiena sbatte con violenza agli armadietti, mentre delle urla soffocate dal dolore mi lasciano le labbra.

So già cosa sta per succedere, ma cerco di non mostrarmi debole.

Vengo trascinata, senza possibilità di oppormi, con scatti veloci nel bagno maschile. Lì, uno strattone del polso mi fa urlare e cadere a terra. Sbatto con la tempia ad uno dei numerosi water, iniziando a singhiozzare. Solo in quel momento apro gli occhi, notando solo qualche dettaglio del bastardo di turno.

Alto, capelli neri. Dopo l'ennesimo pugno nello stomaco, mi rendo conto della pelle olivastra del ragazzo, lo stesso colore di quello del giorno prima.

Continuano a colpirmi l'addome numerosi colpi, uno più forte dell'altro, mentre sbatto più volte la testa che oscilla dal pavimento alla parete.

La tempia colpisce di nuovo il pavimento, con più forza del solito. Stanco di rialzarmi ogni tre secondi, partono i calci. Ed il punto è che non capisco il motivo della tortura che devo sopportare.

Deglutisco, con quel poco di forza che ho.

Il cuore batte fortissimo, ho paura di vederlo scoppiare da un momento all'altro. Non riesco a respirare, gli occhi sono chiusi e la vista è sfocata per le lacrime... ma, cosa più peggiore, un dolore terribile è sparso per tutto il corpo, pieno di ferite e lividi vari.

« Che ho fatto? » sussurro, con una voce bassissima. Avrei accettato una punizione, dopo aver fatto un torto ad uno dei bulletti di turno... ma questo no.

A parte l'involontario scontro del giorno precedente, sono del tutto innocente. Non ho fatto niente! Mi accorgo solo dopo, però, che non devo nemmeno rivolgergli la parola se non voglio peggiorare la situazione.

Delle risate si fanno spazio nella stanza, e non sono solo le sue. Sobbalzo, per poi notare che è circondato da vari ragazzi... la maggior parte li riconosco, ho avuto l'onore di essere pestata anche da loro, negli anni scolastici.

Non capisco, ma continuo a piangere, finché il bagno non viene svuotato da tutti, escluso lui, che continua ad osservarmi con evidente disprezzo. Ho sempre ricevuto botte non poco violente, ma questa è stata la tortura peggiore di tutte.

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