Capitolo undici.

678 16 1
                                    

16 settembre, ore 02.00.

Pov Fra.

« Perché? » chiede. Vedo i suoi occhi lucidi, umidi. E mi sento la causa della sua apparente tristezza, non ha il solito sorriso stampato sul volto... questo mi aiuta solo a sentirmi colpevole. È sempre mia la colpa, sono la causa di tutto... sempre.

« Il mondo fa schifo, mamma. » affermo a bassa voce, con lo sguardo puntato nei suoi occhi verdi. I miei, azzurri, al suo contrario pizzicano. Ci vuole un po', ma delle lacrime mi scivolano giù per le guance.

Mi sono tenuta dentro troppe cose, e ora è il momento di mandarle via con le lacrime... ma nemmeno piangere mi fa stare bene.

Lei mi abbraccia, stringendomi con parecchia forza. Non dico nulla, rimango avvolta dalle braccia di mia madre. È un contatto così strano; sarei finita prima in ospedale se avessi saputo che c'avrei guadagnato un abbraccio. Mi dà un bacio sulla testa, per poi allentare la stretta e farmi stendere sul letto. Mi rimbocca le coperte, facendomi sentire una bambina, per poi uscire dalla stanza.

È quando la porta sbatte che inizia a singhiozzare, i suoi rumori però si uniscono alle consolazioni del moro, che dovrebbe ancora essere dietro la porta. Spero solo che non gli dirà nulla, in quel caso sarò completamente fregata.

18 settembre, ore 11.00.

Dopo due strazianti giorni di visite, controlli, analisi e robe varie, posso uscire da queste quattro e odiose mura. Sospiro e salgo nell'auto di mio padre, che non osa aprire bocca durante il viaggio. O almeno non dice nulla, all'inizio.

Poi, quel silenzio si interrompe da un suo sonoro sbuffo.

« Qual è il problema? » chiede, evidentemente annoiato dalla situazione. Non penso gli vada giù l'idea di avere una figlia autolesionista.

« Nessuno. » sbuffo, appoggiando la testa al finestrino.

« E per nessun motivo ti tagli? » colpita e affondata.

« Mh. » dico solo, mordendomi il labbro inferiore e guardando fuori dal finestrino. Il paesaggio è sfocato dalla velocità dell'auto, tuttavia è facile distinguere le varie forme.

Il discorso, per mia fortuna, termina lì. Ora mi tocca tornare a casa, e lì fare i conti con il moro... e con la morte.

Deglutisco e appoggio la tremolante mano sulla maniglia. Devo abbassarla, aprire la porta, entrare, chiuderla alle mie spalle e andare nella mia camera.

Niente di troppo complicato.

Eppure, sapere che lì dentro c'è il moro e che mia madre potrebbe avergli detto qualcosa mi terrorizza. Ho una paura bestiale di sentire la sua opinione. Mi darà della psicopatica, della depressa, dell'esibizionista? Cosa?

Prendo più aria possibile e entro, con estrema calma mi dirigo verso la mia camera.

Arrivata alla porta in legno, che ha dentro la mia salvezza, inizio a sentirmi finalmente bene. Il moro non mi ha vista entrare, quindi per oggi eviterò le domande.

O almeno fino a pranzo, visto che probabilmente mi farà mangiare forzatamente qualcosa e chiaramente dovrò aprire bocca.

Sbuffo, per poi aprire lentamente la porta della mia camera. Prima di entrare però do un'occhiata al corridoio, via libera.

Mi sdraio sul letto e inizio a fissare il soffitto. Mi mancava la morbidezza del mio cuscino, il profumo della mia stanza e i miei libri.

Mi tiro su, per poi avvicinarmi alla cattedra. Noto il mio album da disegno, lancio una veloce occhiata ai disegni, finché il mio sguardo finisce su quello che ho iniziato qualche giorno fa, durante la ricreazione. Afferro una matita e continuo con il mio lavoro, sono semplicemente due mani. Una di queste ha in mano un pezzo di vetro che inizio a disegnare proprio adesso, l'altra sanguina.

Una volta finito il pezzo di vetro passo con la sanguigna sulle ferite, dopo coloro il vetro con un azzurro chiarissimo e termino con le mani, di un banalissimo rosa.

Sto per aggiungere il bianco e il nero fra una cosa e l'altra, tanto per dare un tocco più realistico al disegno, finché qualcuno bussa facendomi sobbalzare.

Spalanco gli occhi e poso il disegno nel mio album, frettolosamente raggiungo la porta. Esito prima di aprirla, perché so che ci troverò una persona sicuramente indesiderata. Ma mi costringo ad aprirgli.

E, infatti, indovinate chi è?

Non sbagliate se avete pensato al mio odioso coinquilino.

Sento una fitta prendermi lo stomaco appena lo vedo, la sua altezza mi fa quasi ombra e ha la mascella contratta. No, insomma, mia madre non gli avrà detto nulla. Giusto?

« Ti senti bene, ora? » chiede, appoggiandosi allo stipite della porta. Un sospiro di sollievo lascia le mie labbra, si era creata in poco tempo un'atmosfera odiosa e piena di mistero. Sapevo che qualunque sua parola mi avrebbe messa al tappeto, invece non ha detto nulla sui tagli. Per ora, penso vada bene.

« Sì. » annuisco, abbassando lo sguardo.

« Dovresti ringraziare Louis, allora. » questa volta è lui che sospira.

« Mh? » corrugo la fronte, portandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Non capisco.

« è lui che... beh, ti ha trovata. E portata in ospedale. » dice, scandendo la parola lui in modo assurdo.

« Sì, lo ringrazierò domani... grazie per, beh, avermi avvisata. » la voce non mi tradisce, non trema come al solito in sua presenza. E questo mi rallegra, ma cerco di non far trasparire nessuna strana emozione.

« Non c'è bisogno... dovrebbe venire qui, sta sera. » annuisce, passandosi una mano distrattamente fra i capelli. È in quel momento che mi rendo conto che non ha poi un'aria così cattiva, anzi, è parecchio carino. La maggior parte del bulli sono appunto dei fighi da far paura, e l'aspetto contribuisce al loro carattere ambizioso. Esageratamente ambizioso.

« Perché? » chiedo, sospirando. Non amo avere né estranei né amici a casa... insomma, la voglio vuota. Soprattutto se il diretto interessato è della mia stessa scuola, la gente lì è sempre uguale.

Il mondo è pieno di incoerenza.

La gente ripete sempre che siamo tutti uguali, che abbiamo gli stessi diritti e compagnia... allo stesso tempo si giustificano dicendo che siamodiversi. Servirebbe a tutti un po' di coerenza.

« E' nel tuo stesso corso di storia, deve darti i compiti... e passarmi gli esercizi di matematica. » sta mentendo, si sente dal suo tono di voce incerto e dal fatto che è diventato improvvisamente nervoso. È strano vederlo così.

« Come vuoi. » sospiro, per poi alzare gli occhi al soffitto. « Ora ho sonno, ti dispiace? » lo liquido, la verità è che non mi va proprio di parlargli.

« Beh, buonanotte. » curva le labbra in un mezzo sorriso, per poi darmi le spalle e tornare nella sua camera.

Fearless.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora