Capitolo otto.

751 15 0
                                    

15 settembre, ore 05.30.

L'orizzonte assume un colore strano. È l'effetto del sole che sta lentamente sorgendo, facendo comparire sul cielo scuro un tono più chiaro. Forma l'arancione, il viola, il lilla e il rosa... tutti colori che, quando si guarda il sole che sorge, in pochi riescono a identificare e nessuno ci pensa più di tanto.

La gente si sofferma troppo poco sui dettagli, crea pregiudizi senza conoscere come realmente stanno le cose.

I miei occhi lucidi finiscono sul polso che ho nuovamente lesionato, il sangue che sgorga e scende giù dai tagli mi provoca un continuo tremolio delle arti superiori. Mentre l'aria fredda mi arriva dritta in volto, facendomi percorrere la schiena da un brivido.

Mi asciugo le lacrime, per poi avvolgere le bende del giorno prima, ancora pulite e possibili da usare, intorno al polso sanguinante.

Ho fatto un altro incubo, l'ennesimo. L'unica volta che riesco a fare sogni concreti è d'estate, quando so che non corro il rischio di andare a scuola... certo, rimane la paranoia delle maniche corte e le braccia tempestate da cicatrici, ma quelle possono essere coperte... con qualche bugia.

D'inverno, invece, sono sempre notti paradossali. L'inizio della scuola mi porta a stare malissimo, più precisamente uno schifo. Mi sento inutile, stupida, debole e incapace di difendermi; e forse è perché realmente lo sono.

Mando via i pensieri, la psicologa che mia madre mi obbligò a frequentare mi aveva spiegato che c'era qualcosa che mi turbava più di tutto, uno scopo da raggiungere troppo in alto per essere afferrato.

Nel mio caso era ed è tutt'ora l'autolesionismo: ho provato a smettere, ma dopo qualche giorno mi tornava facile chiedermi “Perché devo smettere se mi fa stare bene?”... e quindi, mollavo. Lasciavo gli sforzi al passato e ricominciavo a tagliarmi squarci profondi, rovinando le mie braccia e i miei polsi.

Mi sollevo e raggiungo la cucina. Sono tentata dal fare colazione, ma decido di evitare. Sono ancora le 05.30, quindi mi sembra inutile aspettare il risveglio di Malik, mancano parecchie ore.

Opto per i compiti che, a causa della mia salute ieri, non sono riuscita a iniziare. Sono le 6.30 quando finisco, e il moro esce assonnato dalla sua stanza. Mi saluta con un cenno della mano, ma i miei occhi saettano appena i suoi muscoli si muovono sulle equazioni terminate.

Lo vedo entrare nel bagno, per poi uscire dopo circa cinque minuti. Infine si dirige nella sua stanza, ed esce poco dopo con dei vestiti al posto del pigiama. Si spazzola i capelli e afferra un bicchiere, per poi versarsi del latte e sorseggiarlo, squadrandomi. Ho appena messo i libri al loro posto, nel mio zaino, ma la sensazione del suo sguardo dritta su di me mi mette in soggezione.

Cos'è? Sta squadrando i miei fianchi enormi? La mia pancia? Le cosce? Cosa lo rende così curioso di vedere il fisico che così tanto odio?

« Hai fatto colazione? » chiede, interrompendo il silenzio che vaga per la cucina. Annuisco, per poi portarmi lo zaino sulla spalla destra.

« Sicura? » insiste, sospirando e posando il suo bicchiere nel lavandino, per poi afferrare anche il suo zaino da sopra la sedia.

« Ti ho detto di sì. » sbotto, aprendo la porta e uscendo di casa. Apre la macchina e mi siedo sul sedile, appena mette in moto però il solito nodo allo stomaco cattura la mia attenzione.

No, purtroppo non è fame, è paura. È il terrore che ho per quello che anche oggi mi succederà a scuola, il pensiero del sangue sui lividi già presenti sul mio corpo, la paura di ogni colpo che mi fa mozzare il fiato, le parole delle cheerleader buone solo a sfotterti.

Fearless.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora