Capitolo dieci.

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16 settembre, ore 01.30.

Pov Fra.

Sento gli occhi estremamente pesanti, ma provo a usare tutta la forza che ho dentro per aprirli lentamente. Il mio sguardo viene rapito dal bianco candido del soffitto, mentre sento uno strano bruciore alle braccia. È con una lentezza assurda che realizzo di trovarmi in un letto... che però non è mio. E quella non è la mia stanza.

Mi sento stanchissima, ho sonno ma troppa paura per dormire. Sono già morta?

Dove sono?

Deglutisco, con la poca forza che ho, per poi spostare con assoluta cautela la testa dal lato del braccio dolorante, scoperto. È pieno di tagli e cicatrici messi in mostra apertamente, questo mi fa sobbalzare.

Gli occhi scorrono poi sugli aghi conficcati più volte, che trafiggono le vene e mi trascinano dentro vari liquidi, non ho idea di cosa siano. Forse sto solo lottando fra la vita e la morte, e questo è un sogno.

Eppure ho un vuoto dentro, non so se è una sensazione provocata dalla psiche o dalle botte che ho preso, ma qualsiasi cosa sia, è orribile.

Sollevo debolmente il braccio privo di aghi, quello sinistro, e con fatica levo gli esseri appuntiti dalle mie braccia, mi fanno troppo male e creano sempre più sonnolenza, o forse è una mia impressione.

Deglutisco, per poi tirarmi su e rendermi conto del luogo che mi circonda, un ospedale. Mi guardo intorno, ancora confusa, non riesco a capire nulla. Tuttavia mi affretto a nascondere le braccia sotto le coperte, visto che la maglia che indosso lascia le braccia scoperte.

Pov Zayn.

Sono seduto su una sedia, proprio accanto alla porta dove l'hanno trascinata, da ormai moltissime ore. Louis è rimasto esattamente al suo posto, poi ha deciso di andare a fare una doccia.

C'è un continuo via e vai dalla stanza, nessuno si decide ad aprire bocca sulla questione. Ho paura sia qualcosa di serio, in oltre nell'aria c'è troppo mistero. La tensione potrebbe essere tagliata con un coltello. Per quello che ho sentito le botte che ha ricevuto sono il problema minore, continuano a parlare a bassa voce, si scambiano occhiate incomprensibili a occhi estranei, farfugliano roba, trascrivono tutto su dei fogli e continuano il loro tour di via e vai dalla camera.

Sono ormai due ore, però, che nessuno entra nella stanza, lei dovrebbe essere completamente sola.

È istintivo il pensare di entrare nella stanza, è sola, e voglio solo vedere come sta. Nient'altro. Mi tenta il desiderio di aprire la porta e curiosare dentro con lo sguardo, ma ho paura di effetti negativi incomprensibili.

Mi avrebbero fatto entrare, se tutto fosse stato normale. Eppure continuano a stare in silenzio, avrò pur sempre il diritto di sapere, no?

No, a quanto pare. La mia preoccupazione vale meno di zero.

La mia irascibilità in questo momento è come una molla, pronta a scattare da un momento all'altro.

Non dovrei, lo so benissimo, ma abbasso lentamente la maniglia e apro la porta di poco. La stanza è scura, abbastanza buia. Percorro le pareti con lo sguardo, finché non trovo il letto e lei, che cerca di mettersi in piedi, traballante. Corrugo la fronte, per poi fermarla.

« Lasciami. » sbuffa nervosamente appena le sfioro il braccio, per poi spostarsi dalla mia presa.

« Non puoi alzarti. » sospiro, passandomi una mano sui capelli.

« Sto bene. » sbotta, annoiata. Tuttavia, dall'aria assonnata e dal fatto che appena ha provato a mettersi in piedi ed è quasi scivolata a terra, non posso crederle.

« Si nota. » commento, alzando gli occhi al soffitto. Non so proprio che fare, chiamare un medico, rimetterla a letto o trascinarla via da lì? Mi sembra ancora più vuota dopo le ore passate lì dentro, penso le abbiano dato dei sonniferi, o qualcosa di simile... forse calmanti, o ancora, morfina. Non ne ho idea, ho sempre odiato la medicina. Decido di chiamare sua madre, a questo punto penso sarebbe l'unica persona pronta ad aiutarla seriamente. La rimetto a letto contro la sua volontà, e mi affretto a raggiungere la madre, rinchiusa nel suo ufficio, con un'aria esageratamente depressa.

« Si è svegliata. » dico tutto d'un fiato. Lei mi degna di uno sguardo, si solleva di scatto e torna a passo veloce nella stanza della figlia. La seguo, ma mi fermo dietro la porta. Suppongo abbia bisogno di scambiarci quattro chiacchiere, e non sarei per niente d'aiuto.

Pov Fra.

Il mio corpo sta iniziando a prendere più sensibilità, ora sento la testa scoppiarmi e provo bruciore da ogni parte. Mi sollevo la t-shirt, per poi notare vari lividi concentrati sullo stomaco. Mi trattengo la testa con le mani, non riesco a pensare. Non ci capisco più nulla. Ho un tale casino in testa che l'ultima cosa che voglio è rivedere il moro... ma non sembra pensarla al mio stesso modo.

Voglio andarmene da qui dentro, mettendomi tutti quegli aghi, oltre ad avermi resa completamente idiota, avranno anche visto i tagli... e questa è la cosa che più mi preoccupa.

La porta si spalanca di nuovo, debolmente sollevo lo sguardo, per poi incontrare gli occhi verdi di mia madre. Deglutisco, lei è uno dei medici dell'ospedale, ho paura possa aver visto qualcosa... e infatti, i miei sospetti vengono confermati appena i suoi occhi saettano, senza troppi problemi, sui polsi.

Mi afferra un braccio, per poi scorrere le dita sulle innumerevoli cicatrici e i tagli ancora aperti. Gemo appena ne sfiora uno particolarmente profondo e recente, ricevendomi una sua occhiata delusa.

Non riesco nemmeno a pensare agli effetti negativi di tutto, ho il cervello completamente in confusione. O forse non ce l'ho nemmeno più, ma non credo sia possibile.

« Perché? » chiede. Vedo i suoi occhi lucidi, umidi. E mi sento la causa della sua apparente tristezza, non ha il solito sorriso stampato sul volto... questo mi aiuta solo a sentirmi colpevole. È sempre mia la colpa, sono la causa di tutto... sempre.

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