Capitolo sette.

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Pov Fra.

Ho dentro una strana sensazione.

Mi sento leggera, ma debole.

Magra, ma debole.

Felice di ritrovarmi sul divano, al caldo... ma debole.

Non ho nemmeno le forze che servono per rialzarmi e tornare in camera, non ci riesco, sono stanca.

Vedo il moro sedersi sulla poltrona e reggersi la testa fra le mani, appena il dottore esce di casa, dopo aver chiaramente fatto infinite raccomandazioni.

Sono solo i miei sospiri pesanti a interrompere il silenzio, finché non si alza e tira fuori dal frigorifero una bottiglia colpa di spremuta d'arancia, per poi versarla in un bicchiere e porgermela. Provo a stringere il pezzo di vetro, ma sono troppo debole anche per questo. Mi sento incapace di fare qualsiasi cosa... anche sbattere le palpebre potrebbe risultarmi un'azione particolarmente difficile.

Lui nota la mia debolezza, dal momento che non riesco proprio a stringere il bicchiere e la mano mi trema, quindi decide di mettermi un cuscino dietro la testa e avvicina il bicchiere alle mie labbra.

Osservo il liquido arancione, esitante, anche quello può portarmi calorie e zuccheri... e, di conseguenza, farmi ingrassare.

« Niente scuse, adesso bevi. » ordina il moro, che aspetta ancora con il vetro appoggiato alle mie labbra un mio senso di approvazione, tipo dovrei schiuderle per mandare giù la spremuta.

Gli mando un'occhiataccia assassina, ma un po' di liquido non mi farà prendere così tanti kg, in oltre mi sento troppo debole per continuare a protestare. Lascio le labbra aprirsi, mentre il moro mi versa un po' di liquido arancione in bocca. Il sapore dolce del succo d'arancia mi arriva in gola, scaldandomi anche di quel minimo il corpo, e immediatamente mi sento leggermente meglio.

Mi pervade un senso di sollievo dopo un solo sorso.

Malik mi sorride dolcemente, ma la interpreto più come una dimostrazione di pietà e fine della guerra... se adesso non lo ammazzo, è solo perché mi sento troppo stanca. Ma quando starò meglio ci saranno debiti salati da pagare, per lui.

Dopo circa quattro interi minuti mando giù l'intero bicchiere di spremuta, il mio viso sembrerebbe aver ripreso un colore più normale e sto definitamente meglio, riesco perfino a stringere il bicchiere di mio e mandare giù qualche altra goccia arancione.

Malik osserva soddisfatto il bicchiere di vetro vuoto. Da una parte dovrei ringraziarlo, perché, beh, se non fosse stato per lui probabilmente sarei ancora chiusa in bagno... dall'altra, non posso ringraziare una persona che mi ha riempita senza motivo di lividi abbastanza scuri.

A tal proposito, sposto lo sguardo sulle mia braccia, fra ancora aperti tagli e cicatrici trovo ancora delle macchie sul viola, questo mi fa tornare dentro un indescrivibile disprezzo.

Dopo minuti interi di riflessione, decido di prendere qualcosa di dolce da mangiare. La dieta la farò un'altra volta, adesso devo stare bene e fargliela pagare, costi quel che costi. Non nego che ho ancora una leggera paura dentro, mi spaventa terribilmente il suo sguardo ambrato, ma penso sia necessaria una vendetta; a questo punto.

Mi alzo e rovisto nella dispensa, finché non tiro fuori una barretta di cioccolato. Esito inizialmente, ma poi mi decido ad addentarla. Fiera della sensazione che mi invade e della scossa che mi arriva appena i denti affondano nel dolce scuro, annuisco e mando giù la mia cioccolata. Noto Malik sulla soglia della porta, che mi guarda compiaciuto.

« Ti sei decisa a mangiare qualcosa, vedo. Finalmente. » sospira, per poi avvicinarsi, ma retrocedo prima che possa fare qualche altro passo falso.

È istintiva l'azione dell'allontanarmi, appena incrocio i suoi occhi non posso evitare di farmi invadere dal terrore. Deglutisco, cercando di mettermi in testa che non può farmi del male, non adesso che sono così debole. O forse sì, dal momento che il cioccolato mi ha ridato abbastanza energia e adesso sto davvero meglio.

Mi accorgo solo quando la schiena sbatte contro la parete del fatto che mi sono allontana di molto dalla sua figura, che dopo aver notato il terrore balenarmi sul viso ha sollevato lo sguardo e preso dal frigorifero un'altra spremuta.

La manda giù dopo vari sorsi, mentre il mio corpo rimane pietrificato e attaccato alla parete, non riesco a muovermi. È come se qualcuno o qualcosa mi avesse appiccicato della colla sotto le scarpe. Il cuore ha un ritmo regolare, spesso rallenta i battiti, altre volte li aumenta notevolmente, facendomi venire delle fitte improvvise e delle scariche elettriche... è questa la reazione che devo provare ogni qualvolta mi si avvicina?

« Ti faccio così tanta paura? » chiede, dopo parecchi minuti di silenzio. La sua voce non è la solita beffarda, ambiziosa o ambigua... è... più dolce, se così possiamo definirla. Ma non posso sciogliermi: non adesso, non davanti a un simile bastardo.

« Che dici? » sospiro, facendomi uscire le parole dalle labbra. Non voglio provocargli sensi di colpa, né altro... solo allontanarlo. Deve smettere di parlarmi, di ordinarmi qualcosa o più banalmente di guardarmi. Anche quello mi dà fastidio, se fatto da una persona simile.

Sollevo lo sguardo, il suo viso non è curvato in nessun sorriso bastardo, è normale. Ammesso che possa essere usato l'aggettivo 'normale' su di lui. Dubito di questo, ma lo è. Forse la sua espressione varie più verso qualcosa di dispiaciuto, triste o dolce... ma sarà la mia mente a farsi così tanti problemi. La verità rimane una, a me cosa importa di un simile idiota?

Niente.

Gli rivolgo la parola solo perché abita con me. Lo guardo solo perché ho il terrore possa farmi qualcosa e prendermi di sprovvista. Vado a scuola con lui perché mamma mi ha imposto questa condizione. Mi faccio trascinare fuori dal bagno, quando stavo giocando su una corda che aveva la salvezza dal suo lato e la morte dall'altro, solo perché non ero completamente cosciente delle mie azioni.

Se avessi potuto, forse mi sarei ribellata alla sua presa.

Il suo solo tocco mi mette in soggezione, mi spaventa. Non importa se, per caso, mi sfiora... anche la più dolce e debole carezza mi fa sussultare.

« Scusa. » mormora. Non ho il tempo di alzare nemmeno gli occhi, perché la sua figura si avvicina a me con passo veloce. Deglutisco, schiudendo le labbra e cercando di controllare le palpebre, che potrebbero spalancarsi e farmi fare una figura ancora peggiore.

Solleva la mano fino all'altezza del mio viso. Chiudo di scatto gli occhi, pronta a ricevere un colpo inaspettato. L'unica sua azione però è il poggiare dolcemente le dita sulla mia fronte, per spostarmi alcuni capelli dall'altro lato. Li riapro lentamente. Noto che è molto più alto di me, questo mi fa sentire ancora più debole e indifesa accanto a lui.

« Come posso farmi perdonare? » chiede, ma è quasi una supplica. No, non lo perdonerei per niente al mondo. Non merita il perdono di nessuno, non deve supplicare nessuno! È un bastardo, solo una persona priva di sentimenti e che gioca a suo piacimento con il lato del suo ego bipolare, alternando momenti di pura violenza ad altri dove potrebbe sembrare innocente e pentito.

« Io non voglio perdonarti, Malik. » rispondo, saettando con gli occhi fino al pavimento sotto i nostri corpi pesanti per la tensione. Quella vicinanza mi uccide, sentire il suo respiro è una tortura che mi fa battere il cuore troppo veloce. Sobbalzo quando la sua mano incrocia le dita alle mie, premendo contro il palmo. Il calore della sua pelle mi fa arrossire, è strano avere un simile contatto con la persona che odi, e che ti ha picchiata senza un motivo, davanti ai suoi amici, tanto per sfotterti.

Sto per sciogliere quel minuscolo contatto e segno di vicinanza che ci unisce, ma quando le mie dita scivolano via dalle sue si affretta a ristringermi la mano. Scuoto la testa debolmente, sollevando lo sguardo e incontrando quegli occhi castani che tanto mi spaventano.

Che cosa vuole, realmente?

Giocare con i sentimenti di una normalissima ragazza? Dopo averle lesionato il corpo vuole forse ucciderla dentro? No, non voglio stare al suo gioco. Non posso stare al suo gioco.

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