Capitolo 28

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Canzone (capitolo 28):
Banners - Ghosts

Rimango immobile a fissare la finestra aperta, che dà via libera all'aria fredda per invadere la mia camera.

Non so cosa sia successo, cosa stava per succedere, non mi spiego il mio comportamento di Dylan.

E mi spaventa ancora di più il mio e i pensieri che mi riempivano la testa in quei secondi troppo brevi, troppo veloci per permettermi di rendermi conto di qualcosa.

So cosa volevo, anche se faccio fatica ad ammetterlo.

Così preferisco ignorare quel momento, per quanto possa risultare difficile, indipententemente da ciò che farà Dylan.

Non so neanche con precisione cosa fosse stato quel momento.

Cosa aveva intenzione di fare?

I miei burrascosi pensieri vengono interrotti dalle braccia di mio padre che si avvolgono intorno a me.

Dopo un sussulto, mi giro e ricambio l'abbraccio vittima di un'eccessiva confusione, ma compensata, per un momento, dalla felicità di avere finalmente mio padre a casa, di giorno, con me.

"Sono qui" mi dice accarezzandomi i capelli.

Sorrido con il viso appoggiato sulla sua spalla.

Dopo esserci sciolti da quell'abbraccio, esordisco subito rimuovendo, o almeno tentando di rimuovere, quanto successo qualche istante prima.

"Allora che facciamo?" chiedo quasi saltellando sul posto in preda all'eccitazione.

Una fragorosa risata da parte di mio padre segue le mie parole.

"Beh, tutto quello che vuoi tesoro" dice scuotendo la testa divertito.

"Andiamo alla casa al lago" mormoro io.

Dopo una breve esitazione da parte sua dice abbozzando un sorriso "Perchè proprio la casa sul lago?"

"È una delle poche volte che siamo insieme e abbiamo l'occasione di fare qualcosa. Non voglio mai più provare le sensazioni che ho provato stando chiusa in quella stanza d'ospedale dall'odore nauseante di morte. E voglio cercare di non trascorrere più le nottate come ho fatto da dodici anni, quindi un inizio è di tornare alla casa al lago per ricordare un'ultima volta, con te. Voglio mettere in un angolo del mio cuore questa storia, sempre nel mio cuore, me la porterò dietro per sempre, ma voglio lasciarla in un angolo per un po'.
Non voglio privarmi di quello che ho per pensare a quello che non ho più" dico tutto d'un fiato con gli occhi velati di qualche lacrima.

Mio padre resta a guardarmi, scrutandomi, con un dolce sorriso in viso e con gli stessi occhi che ho io in quel momento: non ci accumunano solo quegli occhi verdi - azzurri misti al marroncino chiaro, che non sono dipinti da un colore particolare per essere definiti, che non sono definibili. Quel triste velo di lacrime è presente anche nei suoi occhi.

Ricordandoci che tutti e due abbiamo sofferto.

"Sono proprio fiero della mia bambina" mormora sorridendo.

E quanto abbiamo appena detto ci ricorda che forse, si è fatto avanti il momento per cambiare strada, magari, questa volta, con qualche ostacolo in meno, non per forza un vicolo cieco come è stato fin'ora.

"E cominceremo da questo: basta trasferimenti, basta ricerche di scorciatoie" mormoro a papà di fianco a me, mentre scrutiamo il paesaggio che ci ritroviamo davanti mentre il sole comincia a tramontare.

Si volta verso di me e annuisce.

Siamo rimasti qui alla casa sul lago tutto il giorno, ricordando, trovando ancora qualche oggetto abbandonato da anni, parlando di qualsiasi cosa.

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