Canzoni (capitolo 57):
Vancouver Sleep Clinic - Aftermath
Former Vandal - I was so sure
Little May - HideI primi raggi del sole si fanno spazio nella stanza, creando un gioco di ombre ovunque.
Increspo gli occhi strofinandomeli: non credevo sarei riuscita ad addormentarmi.
Non credevo molte cose penso nella mia testa con amarezza.
Mi guardo intorno, sedendomi sul letto mettendo da parte le coperte.
A quanto pare Dylan se ne è andato, non saprei dire se questa notte o stamattina all'alba o qualche minuto fa.
Trovo però un biglietto lasciato sul comodino, ricordandomi la prima volta in cui mi ha lasciato un pezzo di carta scarabocchiato di fianco al mio letto: ricordo che stavo male, ed era raro per me. Ricordo che Dylan mi aveva raggiunta a casa facendomi compagnia. Ricordo il nostro rompere le distanze e le mille sensazioni.
Ricordo anche la conversazione con Mike la mattina stessa: sembrava quasi spensierato, interessato a me come un semplice amico, anche se non sapevo cosa avrebbe potuto trovarci in una come me.
E ricordo quella sera, all'ultima cosa che ho visto, due luci abbaglianti venirmi incontro ad una velocità spaventosa. Poi il buio.Strizzo gli occhi, scuotendo la testa. Non voglio pensarci, non ora.
Dovevo accompagnare a scuola Bethany. Ci vediamo a scuola,
ti amo.Dyl
Accenno un sorriso alla lettura di queste righe, mi stiracchio un po' allungando le braccia e le gambe sul letto, dopodichè decido finalmente di alzarmi per prepararmi per andare a scuola.
Mi avvio verso le scale a piedi nudi solo dopo avere indossato una semplice ma calda felpa blu per tenermi riscaldata.
È strano: non ho mai sentito freddo ai piedi, credo sia l'unica parte del corpo a non esserne sensibile.
Forse ho fatto talmente tanta strada a causa dei traferimenti, da aver perso la sensibilità, metaforicamente parlando.Faccio una smorfia, curiosa e perplessa dei miei stessi pensieri di prima mattina, mentre faccio per raggiungere la cucina, quando noto nel silenzio rotto solo dai miei passi, una figura sul divano del salotto.
Corrugo la fronte, avvicinandomi.
È mio padre.
È seduto scomposto sul divano, con lo sguardo perso verso un punto indefinito davanti a lui, i capelli scompigliati che ricadono sulla fronte, una bottiglia vuota impugnata saldamente con la mano destra.
Allarmata, corro verso di lui.
"Papà? Papà, che cosa è successo?" lo scuoto appena, cercando i suoi occhi con i miei, ma senza un reale risultato.
"Dovevo darti ascolto, dovevo... io... dovevo darti... ascolto" mormora, lo sguardo ancora perso.
Prendo tra le mani il suo viso
"Di cosa stai parlando?""Dovevo... portarti... allo zoo, quella mattina... dovevo..." deglutisce a fatica "Dovevo portarti allo zoo, e invece ti ho portata via di casa"
"Papà di cosa stai parlando?" ripeto preoccupata, mentre tento di strappargli dalla mano la bottiglia, senza successo.
"Quella mattina... mi chiedesti di andare allo zoo... tua madre era partita da poco... io non ce la facevo più... era tutto troppo soffocante... così... ti ho portata via... per la prima volta... ti ho portata via con me" inizia a singhiozzare.
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The first story not unwanted
Ficção GeralQuarto anno alle superiori. Quarta casa e quarto liceo da quando le ho iniziate. Papà dice che ci abitueremo, o meglio, che io mi abituerò in fretta. Più che altro mi sono abituata a trasferirmi e ad essere identificata da tutti come "la ragazza nuo...