Comunicazione di servizio: Penultimo capitolo della storia, abbastanza lungo e ricco di colpi di scena. Siete pregate di munirvi di cola e popcorn.
"Ma ti vedo con lui, ballare lentamente
mi sta facendo a pezzi, perchè non ti accorgi
che ogni volta che lo baci io soffro
Oh, vorrei essere io."
One Direction - I WishEro consapevole del fatto che le parole di Stash fossero del tutto veritiere.
Sapevo che ogni accusa fattami era reale.
Conoscevo i miei errori e non facevo che rimuginarne sopra, dalla notte in cui avevo concesso ad Andrea d'invadere la mia intimità.
Non mi giustificavo, ma ero certamente sconvolta. Volevo espellere dalla mia vita una certa persona, ma nonostante tutto quella notte lo avevo sognato e non avevo fatto altro che sentirmi in pena, ritenendo di aver commesso uno sbaglio imperdonabile.
Avevo ripreso a rinchiudermi in me stessa, a scrivere. Non che avessi smesso in precedenza, ma stavolta ero io a dover porgere delle scuse. Lo avrei fatto, non appena sarei riuscita a sbollire la confusione, la rabbia e la confusione, ma per il momento evitavo chiunque che,conoscendomi, pur soffrendo, non mi creavano alcuna pressione, perché prima o poi, quando sarei stata pronta, avrei fatto ritorno. Avevo spesso di quei momenti: concedermi alla solitudine era l'unico metodo da me conosciuto ed di gran efficacia, quando perdevo di vistale priorità della mia esistenza o quando comprendevo di aver sorpassato il limite. Quella volta era accaduto.
Andrea era da considerarsi un capitolo a parte.
Stavo impiegando ogni mia forza nell'invano tentativo di ricercare le parole più adatte, attendendo il momento migliore per riferirgliele e mettere fine ad un dispiacere che causavo ad entrambi. Nel frattempo, però, le sue telefonate, i suoi messaggi, i regali o le sorprese che mi destinava, restavano intatti e, ne avevo la certezza, sarebbero restati in quello stato per sempre.---------------
Sobbalzai.
Quel sogno mi perseguitava persino quando mi appisolavo durante l'ora di scrittura creativa. Ma non fu l'aggressività che sprigionava a svegliarmi. Dovevo dire grazie al vibrare del mio cellulare nella tasca anteriore dei pantaloni.
Non lo aprii, annoiata. Pensai fosse Gabriele che in quell'ultimo periodo aveva spesso attacchi di affettuosità e che, di conseguenza, prendeva a scrivermi stupidate, per il semplice gusto di darmi del filo da torcere. Credevo avvertisse la mia mancanza, come del resto ne provavo io nei suoi confronti.
Neppure quando tornai in camera, a fine giornata, da sola, dopo aver subito l'ennesimo sornione da parte di Virginia riguardo le continue telefonate di Andrea alla rete fissa della camera, mi decisi a rivolgere un'occhiata a quel messaggio.
Lo feci solo quando, nuovamente, vibrò. Ma stavolta credei si trattasse di Andrea che chiedeva ancora di me. Una smorfia si posò sul mio viso: chissà come stava, chissà se soffriva come me o riusciva a sorridere di tanto in tanto.
Quando poi, sospirando, aprii quel messaggio, tutto mi aspettai, tranne quel che lessi:
'Venerdì è giorno di visite e pensavo che se tu volessi venire, io ti aspetterò. Ma solo tu, non dirlo agli altri.'
Trattenni il respiro.
Dopo quasi due mesi si era fatto vivo ed io, dopo quasi due mesi, sentivo ancora il cuore scalpitare pensando a lui, al suo sorriso come alla sua voce.
Dovevo vederlo.
In quel momento più che mai.
Non risposi al messaggio, non c'era necessità di dargli conferme. Sarei andata quel venerdì, ossia il giorno successivo. Se era lui a chiedermelo, lo avrei fatto.
Osservai ancora il messaggio, rileggendolo ancora, prestando attenzione persino alle virgole o ai punti da lui inseriti, fin quando non mi soffermai sull'ultima parola scritta in quel messaggio. Era firmato 'Mattia'.------------------
Scostai dietro le spalle i capelli fin troppo lunghi.
La stagione era calda, non esitai quindi ad indossare una camicia color verde militare dalle maniche risvoltate che s'intonava con le scarpe del medesimo colore. Afferrai la borsa, il cardigan ed uscii scaltra dalla stanza, e dal dormitorio gremito di gente.
Il venerdì, da sempre, quel posto si affollava in modo esasperante. Lo sapevo io, lo sapeva Mattia. Ipotizzai fosse proprio per lo stesso motivo che mi aveva invitata a fargli visita in quel giorno della settimana. Entrambi vivevamo nella convinzione che sarei passata inosservata, per evitare che venissero a crearsi fraintendimenti.
Avevo lasciato un post-it attaccato alla parete del letto, scrivendo con una grafia oscena che sarei uscita per delle compere particolari ed in seguito mi sarei fermata in centro con alcuni compagni del corso di musica. Frottole.
Il venerdì nessuno si tratteneva a scuola, fatta eccezione per il gruppo che frequentavo e pochi altri studenti. In genere il dormitorio restava abitato solo quando nel weekend erano previsti grandi party nello stesso college oppure nelle vicinanze.
La fermata dell'autobus era più frequentata del solito. C'era gente che, in gruppo e accompagnato da valige o bagagli, attendeva corriere che la conducesse fuori città. Ecco cosa scaturiva la primavera.
Il mio trasporto non tardò ad arrivare. Mi dirigevo con precisione in una cittadina poco distante da Roma e che, da come tutti la descrivevano nel vano tentativo di tranquillizzarmi riguardo la spericolata vita di Mattia, sembrava essere davvero un bel posto.
Quarantacinque minuti e giunsi a destinazione. Il bus fermava proprio davanti la clinica, facendomi fremere maggiormente dalla voglia di scendere da quell'enorme cosa rossa a due piani.
Varcai dapprima il cancelletto, insieme ad altrettante persone che presunsi essere genitori, parenti ed amici di altri ricoverati, poi l'ingresso che era aperto per le visite. Ad aspettarci c'era una donna di età avanzata, che possedeva un dolce sorriso. Ci fu chi domandò per le visite e lei spiegò che dirigendosi verso una sala in particolare era possibile accogliere tutti i pazienti o almeno tutti coloro che, per mezzo delle cure,possedevano un autocontrollo tale da permettere loro stare in compagnia, mentre per i casi più gravi era giusto rivolgersi ai medici presenti nella sala stessa.
Ci venne aperta un'immensa porta in legno chiaro e, al contempo, tutti l'attraversammo. Mi guardai intorno, notando il senso di famigliarità ed ospitalità che quel posto trasmetteva e sorrisi all'idea che Mattia potesse trovarsi bene tra quelle mura.
Quando poi calai lo sguardo sui soggetti che, gustando tranquillamente un banchetto allestito per l'occasione, abbracciavano i loro cari con ardore, non posso dire che il suo fu il primo sguardo che incontrai, ma ammetto che fu l'unico che mi rapii sin dal primo istante.
STAI LEGGENDO
Scommettiamo. Ti piace giocare?
Romansacopertina: @xEdenB - “ Se lo credi, scommettiamo. Ti piace giocare? “ – sul mio volto si stampò un enorme punto interrogativo che lo indusse a sorridere ancora. M’imbestialiva il fatto che lui fosse così calmo, così pacato e non si scomponesse mai...