Capitolo 3.

75 25 3
                                    

Il giorno era passato in fretta e io e Juliet avevamo appena finito di preparare le borse, quando il citofono di casa mia suonò.

<<Chi è?>> domandai, alzando la cornetta.

<<Daisy, sono la madre di Juliet>> rispose una voce ormai familiare dall'altra parte.

<<Si, scende subito – annunciai - Juliet, è arrivata tua mamma, ti aspetta fuori...grazie per essere venuta oggi.>>

<<Figurati tesoro - rispose lei, correndomi incontro per salutarmi prima di tornare a casa - ci vediamo domani mattina, ricorda di portare tutto e riposati>> disse, stringendomi a sé. Ricambiai l'abbraccio. Mi faceva sempre bene abbracciare quella dolce e semplice ragazza.

<<Va bene, a domani>>

Dopo averla accompagnata fino al cancello del giardino di casa, tornai nella mia stanza. Passati un paio di minuti sentii mia mamma chiamarmi dal piano di sotto. Era pronta la cena. Scesi in cucina, che si trovava al piano terra, mentre le camere erano al piano superiore. Condividevo la mia stanza con mio fratello maggiore, i miei genitori occupavano la camera accanto, e poi c'era un piccolo bagno. Arrivata in cucina, mi sedetti al tavolo e iniziai a scostare il cibo nel mio piatto, portando ogni tanto la forchetta alla bocca, mangiando alcuni pezzi di carne.

<<Mangia per bene>> mi riprese mia mamma.

<<Si...ma non ho molta fame>> sussurrai, sapendo già cosa sarebbe successo tra pochi secondi e quale sarebbe stata la sua reazione.

<<Dici la stessa cosa ogni sera! –alzò la voce – la pasta non la vuoi, la carne neanche, ma cosa ti devo preparare! Faccio la spesa, cerco di comprare tutto ciò che può piacerti e tu non hai fame! Peggio di un neonato sei, ti faccio la pappa la prossima volta!>> tuonò tornando ai fornelli.

<<Non è vero>> replicai debolmente. Sapevo che aveva ragione.

<<Stai zitta è meglio, mangia e muoviti>> sbottò lei.

Cercai di mangiare il più possibile, poi, senza farmi vedere, ne misi un po' nel piatto di mio fratello, che ancora non era tornato da palestra, e sgattaiolai in silenzio al piano di sopra. Mi succedeva spesso, quando ero nervosa, triste o a disagio, di non avere fame. Per me il cibo non era qualcosa di indispensabile, e a volte, le tempeste che avevo dentro mi riempivano così tanto da chiudermi lo stomaco. In quel momento, infatti, mi sentivo stanca dopo la lunga giornata appena trascorsa e inoltre avevo i nervi a fior di pelle per l'indomani.

Decisi di andare a dormire, del resto erano già le dieci e mi sarei dovuta svegliare davvero troppo presto. Dopo aver messo il mio morbido pigiama arancione, spensi la luce, ma subito mi ricordai di loro. I miei Ragazzi, come ero solita chiamare i Black Dreams, sarebbero venuti con me anche in questi tre giorni. Mi alzai dal letto e presi dal comò in mezzo alla stanza, un bracciale bianco di gomma con scritto "Zack" in lettere maiuscole traforate.

Quel moro era il ragazzo che mi aveva colpita di più fin dall'inizio, un po' più degli altri mi aveva catturata. Forse erano stati i suoi occhi profondi, la sua incredibile voce, il modo in cui faceva le linguacce alle fans, per poi sorridergli e fargli un occhiolino. Forse era successo e basta, l'importante era proprio questo. Era successo. Non mi interessava il motivo. Io lo amavo veramente tanto, a volte forse troppo, ma ero sicura che anche lui, dall'altra parte del mondo, mi amasse e sapesse della mia esistenza. Non capivo bene perché riponevo fiducia in questa cosa improbabile, ma era una delle poche certezze che mi erano rimaste in questi anni. E io ci credevo.

Con quel bracciale in mano, andai nella stanza d'entrata, dove mia mamma aveva posato le borse. Aprii una tasca laterale e appoggiai al suo interno il piccolo oggetto. Sorrisi pensando a quel moro, mentre risalivo le scale e tornavo a distendermi sul mio comodo letto. Chiusi gli occhi, nel tentativo di addormentarmi; cosa improbabile, ma ci provai.

SOLI INSIEMEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora