Capitolo 6

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Quattro anni prima

Ho cercato di domare la massa informe dei miei capelli creando delle onde morbide sulle lunghezze, speravo onestamente in un risultato migliore ma essendo già in ritardo dovrò accontentarmi.
L'aereo è atterrato a Brickell con un'ora di ritardo, il tempo di prepararmi alla cena dei miei dove presenterò ufficialmente Jack come il mio fidanzato, si è ridotto notevolmente.
Mi muovo freneticamente per la stanza sotto lo sguardo curioso del mio uomo, già pronto e impeccabile. Ha insistito molto per prenotare una camera al Four Seasons per il weekend, non voleva rinunciare alla nostra intimità ne condividermi con nessuno.

«Dovrei essere io quello nervoso tra i due, sembri una trottola impazzita»
«Non sono nervosa al pensiero di presentarti ai miei, anzi di quello sono emozionata e contenta. Mi preoccupa solo arrivare in ritardo, mio padre è un tipo che tiene alla puntualità, è un fissato»
«ci passerà sopra, non vi vedete da parecchio tempo e non credo voglia sprecare questa occasione per arrabbiarsi con te»
«sai una cosa? Hai ragione» dico avvicinandomi a lui
«sempre» risponde attirandomi tra le sue braccia e stampandomi un umido bacio sulle labbra
«avrei da obiettare sulla tua saccenteria ma siamo già in ritardo quindi ne riparleremo dopo cena Mr Sullivan» lo punzecchio
«non vedo l'ora Mrs Payne»

Jack era il tipico maniaco del controllo. Oltre l'hotel aveva noleggiato un auto per i nostri spostamenti in città, alla guida era concentratissimo e raramente distoglieva l'attenzione dalla strada per osservarmi.
A bordo della veloce bmw raggiungemmo l'appartamento dei miei, fremevo dalla voglia di vederli e riabbracciarli

«piccola Mandy» strilló mia madre nel vedermi varcare la soglia della porta. Diventai paonazza nel sentire quell'appellativo ma ero consapevole di essere per mia madre sempre la sua piccola e dolce bambina
«mamma» le andai incontro per abbracciarla
«ti prego contieniti, non ti sarai dimenticata di Jack» le sussurrai all'orecchio
«oh certo tesoro, perdonami è che sono così felice di vederti» accentuò sull'ultima parte della frase lasciandosi sentire dagli altri « mi sei mancata anche tu mamma»
«non fai le presentazioni?» domandò mio padre
«mamma, papà lui è Jack Sallivan» asserisco circondandogli la vita con un braccio
«il fidanzato di Amanda» aggiunse lui con un ghigno divertito in viso
«è un piacere conoscerti Jack, siamo contenti di averti qui» sentì dire a mia madre.
"Amanda tesoro, fai pure accomodare Jack al suo posto, così inizio a servirvi la cena che è già in caldo"
"certo mamma" e le sorrisi nell'apprezzare il suo elegante rimprovero per il ritardo.

La cena trascorse piacevolmente, mia madre si era come sempre superata nella preparazione di piatti buoni al gusto e armoniosi e puliti alla vista.
Con due uomini imprenditori seduti allo stesso tavolo, fu inevitabile non sfociare  nell'argomento lavoro.
Jack raccontò ai miei genitori del suo impiego nella Helton Holdings, mentre mio padre elogiò la RedWines dando un accenno di qualche nuovo appetibile affare alle porte.
Scorsi subito in Jack un'attenzione totale per quella piega del discorso, quando io e mia madre provammo più volte a portare argomenti più rilassanti in tavola, lui sistematicamente riportava l'attenzione sulla nostra azienda, dandomi l'impressione di chi sapesse molto più di quello che voleva  far credere.

«Signorina, siamo arrivati!»
Persa com'ero nei miei pensieri, quasi non mi resi conto del taxi che si era fermato davanti l'ufficio, un imponente scultura di vetro e acciaio dalle linee semplici, eleganti e mascoline. Non sfuggiva all'attenzione del mondo che a capo di questo fortunato impero delle telecomunicazioni ci fosse un maschio alfa come John Helton.
Questa mattina ero uscita di casa intenzionata a prendere come d'abitudine la metropolitana, ma un messaggio ricevuto da Wes quando per fortuna mi trovavo ancora nell'atrio del palazzo, mi aveva consentito di tornare nel mio appartamento per sostituire i miei pantaloni di lino e le ballerine, con una gonna a tubino nera e le mie adorate Jimmy Choo.
La convocazione urgente di questa mattina nell'ufficio di Jhon non mi preoccupava più di tanto. Per via dell'amicizia fraterna con mio padre ho potuto conoscere quest'uomo anche senza la sua ventiquattr'ore e i suoi bilanci, semplicemente come persona, per cui se al principio ero anche io intimidita dai suoi modi di fare, adesso erano atteggiamenti abitudinari che non mi sconvolgevano più di tanto, in più nell'ultimo periodo con il fermento delle nuove acquisizioni in corso da parte della nostra società e con il vociferare dell'arrivo di un nuovo socio al fianco del grande capo, eravamo tutti ormai abituati a sopportare le sue sfuriate e i suoi repentini sbalzi di umore.
Wes mi sembrava risentirne più di tutti, tutto il materiale sottoposto all'attenzione di John veniva liquidato velocemente se c'era una telefonata o altro da fare, gli isterici con cui dovevo combattere ogni giorno quindi erano rapidamente diventati due .

«tenga il resto, buona giornata»
Salutai il tassista e mi avviai a passo calmo nel mio ufficio. Trovai Wes seduto alla mia scrivania « ti stavo aspettando Amanda» e dal suo tono percepì l'impazienza e l'agitazione
« Eccomi! Vuoi che ti porti un caffè macchiato con poco zucchero come al solito?» domandai
«no, per affrontare la mattinata mi occorre piuttosto una tisana o quelle robe al ginseng. Dicono siano buone ed efficaci» notai che stava nervosamente armeggiando con le matite nel portapenne della mia scrivania
«dicono siano efficaci è vero, ma non altrettanto buone, in ogni caso mi serve qualcosa per salvare le mie matite» sorrisi
«odio scusami tanto Amanda, non mi ero neppure reso conto di farle a pezzetti»
«posso rubare sempre le tue quando non ci sei, vado a prenderti l'intruglio miracoloso» ricambió il sorriso
«fai in fretta, ti aspetto alla mia scrivania».

Grazie a Dio i distributori nell'area relax venivano riforniti spesso e di ogni sorta di bevande e snack. Trovai la tisana al ginseng rosso e facendo attenzione a non rovesciarmela addosso, mi affrettai a portarla a Wes.
Ogni volta che passavo per quell'aria dell'edificio e per i corridoi, non potevo far a meno di pensare a Jack. Nei tre anni dopo la nostra rottura, ho memoria di poche settimane, nel caso migliore quasi vicina al mese, in cui non fossi prepotentemente assalita da pensieri che riguardassero lui, e questo mi disturbava.
Mia mamma aveva insistito che andassi ad alcune sedute del dottor Morrison, uno psicanalista molto conosciuto a Miami e dintorni, ma avevo subito declinato la sua proposta, non credevo di aver bisogno di offrire la mia mente ad uno strizza cervelli che potesse usarla per raggirare le mie stesse idee ed i mie pensieri. All'inizio mia madre ne fu contrariata, ma dopo settimane di insistenze si rassegnò.
Adesso invece pensavo che se mi fossi affidata ad uno veramente bravo, forse in questo momento avrei la testa sgombra ed il fantasma del mio ex sarebbe volato via per sempre.

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