Capitolo 8.

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Capitolo 8.


La mattina dopo io e Brian siamo sulla sua auto. Siamo rimasti fuori casa fino all'alba. Mi sono assaporata l'intera nottata, immersa nella neve ed il gelo.
Fortunatamente sono iniziate le vacanze e la mattina non devo avere quell'incessante timore di incontrare nei corridoi Candi. Insomma, mi sento spensierata.

Arrivati di fronte casa di Brian, in periferia, scendiamo dall'auto. Alzo in testa il cappuccio della felpa e lui fa lo stesso sfregando i palmi delle mani.
Saliamo le scale di un condominio ed arrivati al quinto piano, Brian sobbalza osservando la fessura devastata e la porta spalancata. Impreca ad alta voce e mette piede dentro. Non c'è nulla al proprio posto: sedie a terra, tavolo rovesciato, cassetti aperti, vestiti ed oggetti in giro. Si mette le mani fra i capelli e scalcia contro un mobile del salotto, per poi sbattere la testa contro il muro ed entrambi i pugni chiusi contemporaneamente.
Gli accarezzo il capo e lo osservo. Il suo respiro è irregolare, vorrebbe spaccare tutto, lo immagino già da me, ma io non sono nella posizione giusta per giudicarlo o anche semplicemente fiatare.

Si distanzia e cerca di rimettere in ordine, per poi avvicinarsi verso un mobiletto, dal quale esce fuori un portagioie. Lo apre delicatamente ed infine lo getta in aria. A parte qualche foto, è vuoto. Probabilmente ci teneva dietro ciò che ha guadagnato fino ad oggi.

«Posso fare qualcosa?» Balbetto.
Si abbassa lento e riprende le foto da terra, mentre passa una mano sulla fronte. Mi avvicino e mi calo al suo fianco. E' una vecchia foto. Probabilmente sarà la sua famiglia.
«Avevo guadagnato tutto per loro, perché volevo essere una persona migliore di quello che sono stato quando vivevo da loro...e adesso...» si blocca, «... è andato tutto a puttane!» Sbraita ringhiando.
Sussulto e respiro profondamente. «Ci deve essere un modo per risolvere questo...» mormoro con voce rauca.
«Hanno preso metà di quello che dovevo dargli...mancano 5 mila dollari....» parla sincero, «ed io devo ancora lavorare parecchio per averli» socchiude le palpebre scuotendo il capo.
Spalanco la bocca, «troveremo un modo, te lo prometto.»
Lui si volta scattante. «IO troverò un modo» sottolinea rigido. «Tu non farai assolutamente nulla» mi avverte con tono minaccioso.
Ruoto gli occhi e mi rimetto in piedi osservandolo dall'alto. «Non è un reato aiutarti.» Sbotto.
Si para di fronte il mio volto, con la foto ancora fra le dita di una mano. Mi osserva e non parla subito.
«Non ho intenzione di coinvolgerti in questa storia.» Assottiglia lo sguardo dritto contro il mio.
Sospiro. «Ma perché!» Alzo le braccia interrogativa.
«Perché devi starne fuori» continua con lo stesso tono.
Incrocio le braccia al petto ed accenno una smorfia con le labbra. «Fai come cazzo ti pare» mi allontano uscendo dalla casa.
Lui rimane dentro per venti minuti, poi quando rientro lo guardo sistemare la sua camera. Non è giusto. Non riesco a starmene con le mani in mano, mentre si rovina la vita. Devo agire, devo fare qualcosa. Sento l'esigenza di aiutarlo.
So che da un momento all'altro quella gente gli farà del male e non sarà bello. E questo lo sa anche lui. Perché è talmente stupido da non lasciare che io l'aiuti? Potrei chiedere ai miei genitori. Alla fine lo adorano già, non sarà un problema per loro.
Improvvisamente sento il cellulare vibrare dalla tasca del giubbotto. Lo sfilo ed osservo un messaggio di Candi.

Ho bisogno di parlare con te...

Prendo un lungo respiro e dopo aver esitato qualche minuto, rispondo.

Ok. Dove e quando.

La sua risposta non si fa attendere.

Stasera, ci vediamo al Green.

Ripongo l'iPhone in tasca e mi avvicino nuovamente a lui.
Senza fiatare sistemo il materasso e le lenzuola. Lui mi osserva interrotto per qualche istante, poi abbozza un mezzo sorriso dolce e continua sistemare i vestiti nei cassettoni.
Non parlo per la bellezza di mezz'ora e lui fa lo stesso.

Bisbetica viziataDove le storie prendono vita. Scoprilo ora