Capitolo 19

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Capitolo 19.


POV DYLAN

Mi guardo intorno ed osservo Brian sgattaiolare fuori come un ladro. Grace non è con lui.
Mi reco negli spogliatoi, dove l'avevo precedentemente lasciata, come un coglione.
«Ehi sei qui?» Esito.
Nessuno risponde. Giro su me stesso e mi accorgo di una fioca luce che proviene dalla fine della stanza. Corro, arrivando di fronte all'uscita secondaria. Fuori sta letteralmente diluviando. Assottiglio lo sguardo e mi accorgo di Grace che avanza svelta verso il parcheggio, sotto la pioggia, scalza.
Ringhio e non preoccupante del temporale, mi affretto a raggiungerla. Ed eccomi tutto inzuppato.

«Grace» la chiamo squillante. Si immobilizza e si volta. Strizza gli occhi e boccheggia.
«Cosa fai? Prenderai una bronchite.» Dico gesticolando.
Passo un braccio intorno al suo collo, accoccolandola sul mio petto. «Vieni» mormoro dirigendomi verso la mia auto.
Apro la portiera e l'aiuto cautamente a farla sedere. Poi faccio lo stesso anch'io.
«Vuoi parlarne?» Domando.
Mi fissa. Dai capelli mi ricadono delle goccioline, che scendono lente lungo la fronte e sulle guance. Ansimo, sospiro e sfrego le mani per il terribile freddo che avverto sulla pelle.
Lei sta tremando, si morde le labbra e respira affannatamente.
«Aspetta» sussurro. Mi sporgo dietro ed acchiappo una coperta che tengo sempre sul sedile posteriore. L'allargo e gliela stendo addosso. «Va meglio?» Balbetto, cercando di bloccare il fastidioso tremolio del mio labbro inferiore.
Bagno le labbra con la lingua e la osservo.
«Perché l'hai fatto?» Si rannicchia sul sedile, avvicinando al petto le ginocchia.
Distolgo lo sguardo da lei e deglutisco rumorosamente. «Perché ne avevi bisogno» decreto.
«Nessuno ha mai fatto qualcosa per me» stringe le spalle.
Le sorrido innocentemente. «Ha funzionato almeno?»
«E' servito forse per dirgli che nella mia vita non ho bisogno di lui e di nessun altro.» Sussurra con voce rauca. Guarda poi fuori dal finestrino. «Ho rovinato il vestito» scoppia a ridere.
Ghigno divertito, «se vuoi nel cofano ho due cambi che mi porto quando vado all'allenamento» poggio il braccio sullo sterzo, portando la testa su di esso.
«E la coperta come la spieghi?» Mi fissa con malizia.
Rido. «Può sempre servire... mi è capitato di dormire in auto...» spiego sorvolando l'argomento, ma lei mi fissa incuriosita e vorrebbe sapere di più. «Quando mia madre viveva con il suo compagno a casa e li sentivo litigare, non sopportavo l'idea di doverlo avere fra i piedi, così uscivo e trascorrevo la notte in auto, con gli U2 alla radio.» Abbasso il capo.
«E adesso come va a casa?» Chiede indiscreta.
Alzo la testa per incrociare i suoi occhi, «bene, fortunatamente ha capito che quel tipo era un gran cazzone» annuisco.
Posa una mano sulla mia coscia, accarezzandola. Mi guarda e non fiata.
«Comunque se mi prestassi il tuo cambio...» dice fissandomi di sottecchi.
Sogghigno ed esco fuori nuovamente. Veloce prendo dal cofano il mio borsone e rientro in auto. Mi sono nuovamente inzuppato, ma vabbè.
Sfilo dalla borsa un pantalone di tuta ed una felpa con lo stemma della scuola.
Lei ride e scuote il capo. «Come faccio? Non posso spogliarmi qui» sbotta ironica.
Mi tappo gli occhi con entrambe le mani, «passa dietro e sistemati... giuro che non sbircio» sogghigno.
«Ehi ti tengo d'occhio» dice aggressiva.
Non osservo nulla, anche se ammetto di aver voglia di farlo. Rimango così per una manciata di minuti. Sbuffo e poggio la testa sullo sterzo.
«Non guardare» mi ordina.
«Tranquilla, l'unica cosa che potrà succedere sarà una febbre di cavallo ed uno svenimento improvviso» dico infreddolito. A quel punto mi sento lanciato addosso qualcosa di caldo. Sussulto e mi volto scattante.
Lei sta infilando la felpa e sbraita, «Dylan!» Esclama imbronciata ed impacciata.
«Ma che diavolo!» Dico ridendo. «Mi hai lanciato la coperta addosso» commento sarcastico.
Lei incrocia le braccia al petto e mi guarda. «Avevi freddo!» Si giustifica.
Distende poi le gambe sul sedile posteriore e socchiude le palpebre.
«Oh fai pure» bofonchio.
Improvvisamente sento vibrare il telefono dalla tasca. Lo sfilo ed osservo il nome di mia sorella sul display.
Scorro per rispondere e metto in vivavoce.
«Ehi Beth» dico.
«Ecco sono qui Pippi Calzelunghe così mi chiamo credo proprio che una come me non c'è stata maaaai!» Canta stonata. Grace spalanca gli occhi e si tappa la bocca per non ridere. Io sono già pronto per uscire a riprenderla.
«Beth dove sei?» Domando con tono aggressivo.
«Ogni volta che devo far qualcosa combino guai, ma alla fine poi... vedo che son tutti amici miei» continua ridendo come una matta.
Porto le mani ai capelli umidi e sbuffo. «Guarda, hai scelto la canzone adatta» cerco di trattenere un riso, mentre Grace non regge più e si sorregge la pancia dalle risate.
La fulmino con gli occhi, ma non riesce neanche a spiaccicare una parola.
«Respira» le consiglio.
Ha una risata contagiosa Grace. Si potrebbe sentire anche a distanza di chilometri e la potrei riconoscere ovunque.
«Scimmia» la derido.
E' inutile, non la smette.
«Beth? Beth dove sei?» Domando nuovamente.
«Tutto il giorno sto con una scimmietta e un cavallo bianco» stona alla grande.
«Grazie per avermi dato del cavallo bianco, Grace è la scimmia» rido scansandomi dal calcio che sto per ricevere da quest'ultima.
«Pippi è sotto un albero e si è fatta la pipì addosso» finalmente la smette di cantare.
Aggrotto la fronte e fisso Grace accigliato. «Sarà qui intorno» guardo fuori ed apro la portiera uscendo.
«Vengo con te?» Sbraita Grace ansimando ancora per le risate.
Non le rispondo. Corro avanti ed indietro osservando ogni angolo del parcheggio. Fin quando mi imbatto in una sagoma seduta a terra, sul prato, sotto un albero. Ha la bottiglia di tequila vuota affianco. Guarda il cielo e sorride come un ebete.
Le vado incontro.
«Beth! Santo Dio!» La prendo in braccio, mentre lei parlotta.
«Sai che tu e Grace sareste carini insieme?» Mi scompiglia i capelli nuovamente bagnati.
Sbuffo e non rispondo.
«E' scritto nelle stelle» fantastica, mentre io cammino verso la mia auto. «Forse ti innamorerai» aggiunge. «Sai sarei felice... sempre triste, sempre con il broncio a casa... sempre preoccupato per mamma» quello che dice mi arriva dritto al cuore. Cerco di rimanere impassibile, anche se mi viene difficile. «Qualcuno ti vorrà bene caro fratellone... non rimarrai solo per sempre» annuisce e getta il capo all'indietro.
Quando siamo di fronte la macchina, Grace apre la portiera dietro. Siedo delicatamente Beth, mentre l'altra la copre con il plaid. Mi risiedo avanti, poggio il capo sul sedile afflitto.
«Oh Grace» sospira mia sorella. «Non ti innamorare mai di nessuno» dice.
Osservo Grace dallo specchietto di fronte a me. Lei si volta e mi guarda. Socchiude le palpebre e si avvicina a Beth. Le accarezza la fronte.
«Passerà Beth» sussurra dolcemente.
Vedo sempre la mia famiglia soffrire. Prima mia madre per mio padre, ora lei.
Ero piccolo, ma ricordo benissimo la sofferenza che provò quando rimase sola in quella casa con me e mia sorella. E poi la disperazione quando quell'uomo la maltrattava, con calci, pugni, schiaffi... e quante volte avrei voluto fermarlo, denunciarlo, cacciarlo fuori dalle nostre vite per sempre, prima che fosse troppo tardi. Provavo in tutti i modi a far capire a mia madre cosa significasse per noi avere tra i piedi un elemento del genere, ma lei niente. Quell'uomo l'aiutava con i soldi, l'aiutava a comprarci da mangiare e la sera la costringeva a comportarsi come meglio voleva lui. La notte non dormivo mai. Beth veniva nel mio letto e si rannicchiava contro il mio petto, quando sentiva mia madre opporsi a quel mostro.

Bisbetica viziataDove le storie prendono vita. Scoprilo ora