Capitolo 20

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«Domani concorderemo i termini. Tuo padre domani stesso verrà chiamato dall'avvocato per essere avvisato. Sono convinta che entro dopodomani sapremo già quando potremo iniziare la separazione.»
«Finalmente. Così dovrà solo prendere la sua roba ed andare via.» Aggiunse zia Margaret.
«Marg, per favore, non fare certi commenti qui.» Sussurrò zio Franz.
«Figurati, zio. È pura verità.» Risposi.
«Non prendertela così tanto. I tuoi genitori ti vogliono bene lo stesso, anche se non stanno più insieme.»
«Ma certo, Madison. Non devi neanche pensare per un attimo che non sia così.» Aggiunse mia madre.
«Esatto, mi sono espressa male io, Mad, ma non volevo assolutamente insinuare che tuo padre non ti voglia bene.» Continuò mia zia.
«Zia, davvero, stai tranquilla. Non c'è bisogno assolutamente che tu dia spiegazioni, ci mancherebbe.»
«Okay, sono contenta tu abbia capito. Per quanto riguarda domani. Noi vorremmo uscire a fare un giro, voi cosa avete da fare?» Domandò mia zia.
«Domani io ho scuola, termino alle tre del pomeriggio.» Risposi.
«Io sono libera.» Aggiunse mia madre.
«Povera Madison, rimarrà solo lei qui.» Iniziò a ridere mio cugino.
«Stupido.» Sussurrai.

In effetti l'idea di dover essere l'unica a sgobbare sui libri non mi piaceva affatto, ma dovevo e non avevo altra scelta.

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Andammo tutti a dormire abbastanza presto, soprattutto io, che il mattino dopo avrei dovuto svegliarmi presto.

Dormii fino alle sette della mattina, poi ovviamente la mia sveglia iniziò a squillare e mi alzai.

Come ogni mattina andai in bagno, feci tutto ciò che ero solita fare ed infine andai a preparami.

I miei zii e Patrick dormivano ancora, mentre mia madre era sveglia e come al solito al piano di sotto.

«Ciao mamma!» Dissi salutandola calorosamente.
«Ciao, Mad. Mi dispiace che tu oggi non possa stare con noi, magari prima che loro partano potrai prenderti un giorno di vacanza e trascorrerlo insieme a noi o ai tuo zii e tuo cugino.»
«Va bene, mamma. Adesso mi sbrigo perché altrimenti farò tardi.»
«D'accordo. Io salgo su, in bagno, perché devo fare dei servizi e nel frattempo preparare la colazione anche per loro. A stasera, ti voglio bene.»
«Anche io, a stasera.»
La
Uscii poco dopo da casa e mi avviai abbastanza in fretta verso la scuola. Non avevo nessuna voglia, non sapendo di avere dei parenti a casa e poter stare a casa con loro.

Salutai immediatamente la mia migliore amica non appena la vidi, intravidi perfino Jack che era sempre insieme a dei suoi amici o alla sua fidanzata.

«Hai trascorso un buon pomeriggio, ieri?» Mi chiese Maya.
«Oh, certo. Patrick è sempre così simpatico, gli voglio davvero bene nonostante non lo veda spesso.»
«Sono molto felice, in questo periodo ti farà bene. L'importante è stare con chi ci vuole bene, il resto non conta.»
«È proprio così.»

Rimanemmo fuori scuola per qualche minuto; Il tempo che Maya salutasse dei suoi vecchi amici e prendessimo l'ultima boccata d'aria prima del tintinnio della campanella.

Odiavo dover lasciare l'aria mattutina per intrufolarmi in quella enorme scuola piena di studenti, fatti, sfatti o semplicemente stupidi.

Erano pochi quelli che simpatizzavo, anche perché non li conoscevo molto e quelli che non mi erano nuovi, sembravano con la testa a posto.

Presi i libri dall'armadietto e mi avviai insieme a Maya verso la nostra classe. Non c'era quasi nessuno e si respirava ancora un'aria quiete.

Presi il quaderno di Matematica e lo appoggiai sul banco, infine mi procurai la mia solita penna color blu e l'evidenziatore che usavo solitamente per sottolineare nozioni e regole fondamentali.

Ero concentrata nel rivedere le regole fino a quando non iniziarono ad entrare tutti quanti ed una folla di gente, iniziò a muovere incondizionatamente sedie e banchi dandomi particolarmente fastidio.

«Ecco la baraonda.» Sussurrai.
«Tutti aspettano di entrare cinque o dieci minuti dopo, così, per evitare di essere puntati dai professori.»
«Che cosa stupida.» Aggiunsi.
«Lo è.»

«Buongiorno ragazzi. Oggi avrei intenzione di interrogare due persone. C'è qualcuno propenso ad offrirsi o chiamo io i primi due nomi che ho davanti?» Domandò retoricamente.

Ovviamente il silenzio più totale, nessuno voleva fare il primo passo ed io, sebbene avessi studiato, non avevo alcuna voglia di immortalarmi in una mitica e forse anche impegnativa, interrogazione di matematica.

«Robinson e White, voi due.»

Per un attimo il mio cervello si bloccò. Non solo dovevo supportare un'interrogazione, dovevo anche supportarla insieme a Jack.

Mi alzai immediatamente e mi avviai verso la lavagna, dietro di me c'era anche lui, che se ne stava un po' sulle sue senza battere ciglio.

Ci assegnò ad entrambi due espressioni. La prima era semplice, la seconda, invece, era già più complicata.

Notai che Jack avesse quasi terminato e non capii come facesse. La matematica era sempre stata un mio blocco, ma ero sempre stata molto caparbia e non mi ero mai arresa.

Notai che mi stesse osservando; Inizialmente feci finta di niente, ma poi mi accorsi che mi stesse facendo segno.

Lessi il suo labiale e notai si trattasse di un segno sbagliato, così lo corressi subito e mi fu molto più facile svolgere l'esercizio.

«Perfetto, avete svolto molto bene le due espressioni. White, 7. Robison, 7 e mezzo.»

Sorrisi al professore e tornai a posto, ma non prima di aver ringraziato Jack, il quale a sua volta, fece una specie di sorriso.

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Subito dopo la lezione di Matematica, ci aspettava quella di Filosofia, adoravo quella materia ed ero sicura di conoscere tutto dei filosofi studiati.

«Oggi interroghiamo Sanders e Robinson.»

Jack venne interrogato un'altra volta, ma non si scomodò affatto. Tutto sommato era un ragazzo attento e non rischiava, almeno a prima vista, una sospensione o una bocciatura.

L'Interrogazione stava andando abbastanza bene ad entrambi, fino a quando la professoressa non iniziò a chiedere a Jack qualcosa di più "difficile."

«Chi dice che "L'essere è e non può non essere e il non essere non è e non può essere"?»

Notai nello sguardo una profonda confusione o meglio una dimenticanza, così, facendo il labiale più leggibile possibile, gli sussurrai un nome. Parmenide.

Mi fissò intensamente, quasi come se avesse capito alla perfezione cosa gli volessi dire, così, girandosi verso la professoressa, gli riferì ciò che gli avessi detto.

«Esattamente. Puoi andare a posto, bravo.»

Mi passò vicino e questa volta fui io a leggere il suo labiale. "Grazie."

Era il minimo che potessi fare. Lui era stato così gentile con me nell'ora di matematica, non potevo non ricambiare. Sarebbe stata una cosa perfida ed egoista. Ed io non ero nessuna di queste due cose.

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