C'mon, there's a world outside

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Quel giorno a Derek era apparso come tutti gli altri. Aveva perso il conto di tutte quelle giornate uguali le une alle altre, in cui era mantenuto in vita solo da affari meccanici che neanche desiderava. Aveva perso il conto dei giorni della settimana, dei mesi, persino dei numeri. Non sapeva che giorno fosse, di quale mese, di quale anno. Dubitava che fosse passato così tanto tempo, ma prendeva in considerazione qualsiasi ipotesi, dato che il tempo lì scorreva in maniera quasi sovrannaturale. Spesso era lento, sembrava quasi fermo, proprio quanto il malato desiderava che andasse veloce. Quando invece passava le giornate a riflettere su qualche rompicapo a cui non trovava soluzione, il tempo passava veloce ed era già ora di dormire, era già tempo di tornare al mondo degli incubi in cui arrivava ogni notte. Era un po' come la favola di Alice nel paese delle Meraviglie, solo che di meraviglioso, il mondo di Derek non aveva niente.
E così era cominciata una giornata come tutte le altre, per lui, seguendo il filo dei suoi pensieri, ma questo percorso lo portò a notare il cambiamento nella stanza. Non fisicamente, perché non era apparsa nessuna finestra, non erano state ridipinte le pareti di un colore più chiaro, nè la porta era cambiata. Anche i due infermieri parevano essersi accorti che qualcosa era cambiato, qualcosa nell'aria era diverso dal solito. Ben presto l'istinto spinse il ragazzo a guardarsi intorno, ma nemmeno in quel modo si rese conto di quanto fosse successo. Poi, come un colpo di fulmine a cel sereno, successe tutto in un attimo. Le cose che cambiano la vita delle persone succedono velocemente, e altrettanto velocemente possono essere cambiate dal corso degli eventi. Così, quel giorno, Derek si rese conto che la puzza di morte si era dileguata. Come una foschia, quella nebbia che copre il sole alle prime ore dell'alba, talmente densa da poterla quasi separare come lo zucchero filato, si era dissipato nell'aria l'odore di imminente decadimento che il malato continuava ad emanare giorno dopo giorno. Era ancora pallido e smunto, gli occhi che un tempo erano stati brillanti, spenti e infossati, la pelle, sempre bronzea e curata, era tirata e i capelli, solitamente neri e lucidi, sempre numerosi, erano quasi radi e spenti, le ossa ingessate e i muscoli deboli, incapaci di muoversi, ma riuscì a rendersi conto che avrebbe avuto una speranza di riprendersi e continuare a vivere la vita che avrebbe sempre desiderato fare, viaggiare, fare nuove esperienze e non morire in un'ospedale. Glielo doveva, lo doveva a lei.
Quel giorno, improvvisamente, alzando la testa, vide Stiles in piedi davanti alla spalliera del letto, come l'ultima volta.
Lo salutò con la mano, e il malato lo guardò un'altra volta in quei bellissimi occhi marroni, prima di sorridergli stancamente, per la prima volta da quando era in quell'ospedale. L'infermiere sorrise a sua volta, un sorriso dolce e pieno di calore, come il sole, mentre Derek era la neve, e si stava sciogliendo a quel suo sorriso. "Andiamo Derek, lo so che puoi farcela ad uscire da qui. C'è un mondo fuori, ed aspetta solo te!"
Gli sussurrò il piccolo in un orecchio.
Quelle parole colpirono nel profondo il ragazzo, che quel giorno decise che si sarebbe ripreso, quelle parole lo aiutarono a capire che avrebbe voluto passare la vita alla luce del sole, alla luce di quel suo sole che era diventato Stiles.
Ormai si prendeva cura di lui, il ragazzo. Anche se la muscolatura e la corporatura del malato erano più possenti di quella del piccolo, l'infermiere non cessava di stare con lui, di passare tutte le mattine davanti al suo letto, tentando di far conversazione, talvolta sorridendogli. Parlava del più e del meno, incitandolo a rispondergli a sua volta. Qualche volta ci riusciva, ogni tanto il moro rispondeva, con un mugolio o qualche parola, e allora il più piccolo se ne andava soddisfatto con quel mezzo sorriso sul viso, che Derek trovava mozzafiato. Gli piaceva perchè, all'interno di quella stanza, all'interno di quell'edificio e forse all'interno di quella città, solamente lui era in grado di farglielo spuntare in quel modo. E gli piaceva il tempo che passava insieme al ragazzo più giovane. Ne faceva tesoro, di ogni attimo e di ogni parola rivolta a lui. Delle volte l'infermiere si sedeva sul letto e iniziava degli sproloqui lunghissimi sulla sua vita, e il malato era felice di ascoltarlo e guardarlo con ammirazione, perchè Stiles era esattamente ciò che avrebbe voluto essere.
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Amatemi, tanto tanto.
Mi scuso per eventuali errori,
l'ho scritto nel bel mezzo di una visita guidata!!
Per questo capitolo spero ce la facciate a farmi felice con
cinque voti e tre commenti.
Per favore ne sarei davvero felicee!
Quindi cliccate quella stellina ☆ (VOTATE) e quella vignetta (COMMENTATE), e fatemi contenta!
Gin ♡♡

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