I'll miss you

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Dopo due giorni di riabilitazione, Derek era pronto a lasciare l'ospedale. Aveva tonificato il suo corpo e fatto in modo che gli arti, rimasti fermi su di un letto per troppo tempo, riprendessero a funzionare. Era increbile come in poco tempo era riuscito a ricordarsi come si camminava e ad avere la forza sufficente per farlo. L'infermiere aveva assistito alle sue sedute, e aveva riso quando Derek era caduto la prima volta, la seconda e anche la terza. Nonostante si vergognasse, la sua presenza in quella stanza piena di sconosciuti lo mettteva di ottimo umore. Ma nessun tipo di terapia lo avrebbe mai preparato a lasciare Stiles, e questo lo sapeva bene. Davanti al gabbiotto d'ingresso, con la sua ormai vecchia giacca di pelle addosso, quei jeans che non indossava da così tanto tempo da sembrargli estranei e una maglietta nera attillata, che un tempo aveva lo scopo di risaltare il suo fisico ma che adesso lo rendeva solamente più magro di quanto già non fossen stava aspettando il ragazzo per salutarlo, facendo girellare le chiavi della sua camaro, che nel frattempo era stata fatta riparare dai suoi genitori, sul dito indice. Il ronzio meccanico delle luci al led bianche permeava la stanza, unito ad un leggero chiacchierio di sottofondo, generato dalle persone in attesa di essere chiamate per fare la propria visita o ricoverate. Il bianco era il colore dominante, tutto in quella stanza era compreso tra il bianco e il grigio. Derek si chiese come aveva fatto a non impazzire tra quelle mura per quattro mesi. Ora che sapeva quanto tempo era passato - ricontrollando i vecchi messaggi e le vecchie telefonate lo aveva scoperto - gli sembrava così poco. Credeva di aver trascorso un'intera vita all'interno di quelle sale, mentre invece erano passati solamente quattro miseri mesi. Infondo c'era gente che realmente aveva trascorso la parte finale della sua vita rinchiusa tra quelle mura, e il ragazzo non riusciva a capire come avesse fatto a non impazzire, guardando sempre lo stesso panorama, aprendo gli occhi sempre con gli stessi colori davanti, svegliandosi sapendo che non sarebbe potuta uscire da quel posto, e che probabilmente non avrebbe rivisto mai i suoi cari o la luce del sole, non avrebbe più udito il cinguettio degli uccelli, lo strusciare delle foglie con il vento, lo scrosciare della pioggia o lo scorrere di un fiume, se non attraverso un vetro. Si concesse un piccolo sorriso, al pensiero che presto avrebbe rivisto suo zio e sua sorella; sua madre e suo padre erano ancora a Sydney, e non sarebbero tornati entro gennaio. Non adorava suo zio, anzi, a dirla tutta non lo sopportava, per via del suo comportamento adolescenziale, ma gli mancava persino lui.
"C-ciao, D-derek" una voce tremolante lo risvegliò dai suoi pensieri, la riconobbe immediatamente e si voltò. In piedi di fronte a lui c'era la persona che lo aveva aiutato ad uscire da lì, che lo aveva sostenuto e che gli aveva salvato la vita, più volte e in modi diversi. All'improvviso, tutto si fece silenzioso e il ragazzo sentì solamente il suo cuore battere forte, il suo corpo tremare e il suo respiro spezzarsi, mentre le lacrime bruciavano e spingevano per uscire.
"S-Stiles" riuscì a balbettare a sua volta Derek, che si avvicinò di qualche passo al più piccolo, provando una voglia immensa di stringerlo fra le braccia e sussurrare al suo orecchio che sarebbe andato tutto bene. Una piccola parte del suo cervello notò che anche gli occhi del ragazzo erano lucidi dall'emozione, perchè era improbabile che avesse appena tagliato una cipolla. Strinse i pugni per impedire alle mani di continuare a tremare, e posizionò le braccia lungo i fianchi, respirando lentamente e cercando di calmarsi, quando il piccolo gli si fiondò addosso, contornando il suo collo con le braccia. Derek si maledisse per provare il desiderio di abbandonarsi completamente a lui, sepellire la testa nell'incavo del suo collo e piangere finchè ne aveva la forza. Una volta nella vita però, ascoltò cosa il suo cuore gli suggeriva di fare, posizionò le sue mani sui fianchi del più piccolo, ricambiando l'abbraccio, e pronunciò le parole che voleva dire da quando aveva saputo che avrebbe lasciato l'ospedale.
"Mi mancherai, piccolo infermiere" sorrise di sbieco quando sentì il petto del ragazzo essere scosso da una leggera risata, e pensò che quello era il suono più bello dell'universo.
"Anche tu, Derek Hale" sentire il suo cognome pronunciato da lui suonò strano, non aveva idea che il ragazzo conoscesse anch'esso, ma ne era meravigliato poichè non l'aveva mai utilizzato durante i loro lunghi discorsi.
Avrebbe volto non staccarsi mai da quell'abbraccio, non separsi mai da lui, non lasciare che le braccia dell'amico smettessero di stringere il suo collo in quell'esatto punto, non voleva che il suo profumo inebriante smettesse di inondare le sue narici dandogli la sensazione di essere a casa. Qualche settimana prima non avrebbe mai pensato nemmeno di rivedere la luce del sole, mentre adesso ecco che stava per uscire e respirare aria vera, non ciò che i condotti dell'ospedale immettevano nell'edificio. Strinse un'ultima volta il ragazzo a sè, mentre sentiva una leggera pressione nella tasca destra, ma non ci fece caso. Al piccolo infermiere scese una lacrima, che il più grande asciugò con il pollice ruvido delicatamente, sulla pelle liscia e vellutata del ragazzo. La sensazione di contrasto della pelle calda contro la sua, fredda, gli diede una piccola scossa, e lo costrinse a intereompere il contatto. Gli diede un'ultima pacca sulla spalla e cercò di sorridergli, prima di varcare le porte dell'ospedale, verso un futuro nel quale credeva che non avrebbe mai più rivisto Stiles, ma non sapeva ciò che stava per accadere.

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Grazie, G.

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