Lost

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La mattina seguente, appena sveglia, raccolsi le mie cose e uscii dalla villa lasciando a Serafine un biglietto dove avvisavo di essermene andata. La bufera di quella notte aveva tinto le strade di bianco, lasciando nell'aria un odore pungente di terra mista a pioggia congelata. mi strinsi nel piumino e mi avviai verso casa. Nella mia tasta rimbombava ancora il dolore che avevo provato la sera prima seguito dal sollievo che il tocco di Devil mi aveva trasmesso.

Riconobbi immediatamente la vecchia e malandata macchina della mamma appena fuori dal nostro giardinetto. Percorsi il portico facendo attenzione a non scivolare sui gradini congelati. Tirai fuori dalla tasca dei jeans le chiavi di casa e feci scattare la serratura. Feci per aprire la porta ma quella non ne voleva sapere di spalancarsi. Ci misi tutta la forza che avevo, fino a che non sentii un lieve bruciore farsi spazio nelle mie braccia. Finalmente la porta si scansò di poco permettendo alla mia esile figura di entrare non senza troppa fatica. Appena dentro notai che la porta era stata bloccata da un mobile di legno rovesciato sul pavimento. Corrugai la fronte e tornai a guardarmi intorno. Il mio cuore esitò per un attimo a continuare il suo ciclo di battiti. Mi portai una mano davanti alla bocca come per tenere dentro l'urlo che tutta me stessa voleva buttare fuori. Come il mobile all'ingresso, tutti quelli che ospitava il nostro piccolo salotto erano stati ridotti in semplici frantumi sparsi sul pavimento graffiato. I soprammobili di porcellana che Caroline collezionava da anni erano in frantumi tra i mucchi di legno. Il tavolino danti al caminetto era ridotto in taglienti frammenti di vetro.

La cucina era nello stesso stato. Il lavabo era stato completamente distrutto e una pozza d'acqua si allargava sotto i miei piedi. Sentivo le lacrime bruciare agli angoli degli occhi, il fiato spezzato che avevo in gola.

<M-mamma...?>

Mormorai. Presi una boccata d'aria e tentai di nuovo alzando con difficoltà il tono di voce.

<Mamma? Papà?>

Nessuna riposta. La sorpresa e la confusione lasciarono spazio alla pura. Salii di corsa le scale. Il piano superiore non era messo meglio di quello inferiore. Mobilio distrutto sparso ovunque, ammennicoli di ogni tipo in frantumi. Ricordi custoditi in insignificanti oggetti andati persi. Ripresi il controllo di me stessa e mi misi a urlare il nome dei miei genitori. Perquisii ogni stanza della casa ma di loro non c'era alcuna traccia. Andai nello studio di mio padre e notai che i contatti e le varie scartoffie che popolavano la sua scrivania erano zuppe del caffè contenuto nella sua tazza ormai distrutta. Presi il cellulare dalla tasca e digitai il numero di Caroline. Spento. Feci lo stesso con il numero di Paul ma anche questo non dava segnale. Ormai le lacrime avevano invaso le mie guance. A molta gente il pianto offusca la mente e non consente di pensare lucidamente. Nel mio caso, invece, il pianto aiutava a mettere le cose in ordine. Chiamai la centrale di polizia e finalmente ottenni una risposta.

<Centro di polizia della contea, con chi parlo?>

La voce robotica dall'altra parte del telefono era femminile. Feci un respiro profondo e mi presi un secondo per mettere in ordine delle parole capaci di far intendere alla poliziotta la situazione.

<S-salve... Vorrei denunciare una scomparsa. Car- i miei genitori. Loro sono scomparsi... La prego mi aiuti.>

Mi passai una mano tra i capelli disordinati premendo poi il palmo sulla fronte incandescente, come se questo gesto potesse bloccare la confusione che si era creata lì dentro.

<Stia calma signorina, sono qui per aiutarla. Mi può dire i nomi dei suoi genitori?>

<Caroline e Paul Sherwood.>

Scandii ogni lettera per far arrivare il messaggio forte e chiaro. Passarono degli istanti di silenzio in cui pensai che fosse caduta la linea. Scostai il telefono dall'orecchio e vidi che la chiamata continuava ad essere attiva. Riposizionai il cellulare sull'orecchio destro.

The Moonlight ChroniclesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora