In my eyes

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In pochi secondi ci ritrovammo a correre verso l'uscita del centro commerciale, il cuore che pulsava forte in petto ed il fiato pesante per l'andatura veloce e costante dei nostri passi e per l'adrenalina che si annidava in noi.
I ragazzi ci avrebbero aspettate nel bosco, lo stesso punto in cui avevo subito l'agguato da parte di Laranik. Persa nei pensieri neanche mi accorsi che eravamo già nella lussuosa macchina di Serafine e che lei stava girando la chiave per partire all'inseguimento di qualcosa di sconosciuto, spaventoso e capace di farci dormire sonni tranquilli solo se a conoscenza della sua condizione di vita.

dopo una decina di minuti a cento chilometri orari sulle scoscese colline di Moonlight, finalmente arrivammo all'inizio del bosco dove trovammo parcheggio accanto al pik-up di Raphael. Tutto intorno era tranquillo. Le folte chiome degli alberi dai colori autunnali erano leggermente mosse dal vento e l'erba era appiccicosa e sporca di fango raggrinzito. Scesi dalla carrozzeria di tutta furia e, senza neanche badare a Serafine, iniziai a correre verso il fitto verde della boscaglia. I piedi affondavano della melma asciutta ma ancora instabile e la sensazione di impazienza e terrore che da giorni mi tormentava lo stomaco non mi faceva percepire il vento ancora gelido che mi frustava le braccia nude.
Guardai un attimo dietro di me, senza fermarmi. Serafine mi seguiva velocemente, schivando agilmente le chiazze di melma che attraversavano il prato. Si era tolta i tacchi e, con i capelli dorati lasciati sciolti e disordinati in balia del vento e con i piedi e le gambe sporche di terriccio umido, sembrava una selvaggia del film Il Pianeta delle Scimmie, ovviamente restava splendida e ribelle.
Tornai a puntare lo sguardo sull'entrata del bosco. Eravamo arrivate dinanzi all'antro di fogliame che faceva da portale a quel tetro mondo incantato.
Senza pensarci due volte, feci un passo avanti e, seguita da Serafine, mi addentrai nel bosco. Anche nell'oscurità la mia corsa continuava e non sarei stata di certo io a fermarla. Infatti ci pensò Serafine. Si era bloccata con fare guardingo e girava in modo frenetico la testa.
<Serafine...> Ripresi una boccata d'aria rendendomi conto che da quando era iniziata la corsa non avevo mai preso fiato <Che stai facen->
Un sonoro "ssh" le uscì della bocca, facendomi segno di stare zitta. Io ubbidii e continuai a fissarla in modo irrequieto.
Ad un tratto scosse la testa, come se si fosse risvegliata da uno stato di trans. Diede un ultima occhiata alla boscaglia che ci circondava e poi tornò a me.
<Sono nella casa abbandonata. Sento le sue urla.>
Le rivolsi uno sguardo interrogativo ma non feci in tempo a dibattere che lei mi afferrò la mano per poi ricominciare a correre.
Dopo qualche minuto di sgambettate confuse in mezzo al sottobosco, ci ritrovammo davanti ad un mausoleo abbandonato. Anzi, tutto l'edificio era praticamente in rovine.
Non si capiva dove si trovasse la porta d'ingresso visto che metà dell'intera facciata principale era distrutta in milioni di macerie sparse di qui e di lì.
Non so perché, ma in quel luogo mi veniva da parlare sottovoce, sussurrando. Come se mi trovassi in un cimitero al cospetto di milioni di anime.
<Cos'è questo posto...?>
Chiesi sotto voce.
<Era una vecchia casa che il Consiglio dei vampiri usava come centro di ritrovo e discussione. Una specie di sede del parlamento vampiresco. Dopo il crollo del vecchio Consiglio da parte di una famiglia che non tollerava il loro modo di comandare, le casa venne bruciata con dentro più di settanta membri del consiglio... Adesso questo posto è vietato per noi, è come se fosse un vostro cimitero. Nessuno viene più qui da anni.>
Ascoltai la spiegazione di Serafine con attenzione. Avrei voluto farle delle domande a riguardo. Ad esempio quale fosse il nome della famiglia che fece crollare la dinastia del consiglio o perché quel posto per i vampiri era motivo di timore, ma la mia voce confusa fu interrotta ancora prima di iniziare. Un urlo dimesso ed assordante fece capolino fuori dalle poche fragili mura della casa. Io e Serafine sapevamo a chi appartenesse quel grido.
Senza scambiarci cenni, ci precipitammo nell'edificio e iniziammo a correre in direzione della fonte della voce.
Salimmo i gradini marciti della grande casa e ad ogni passo una nuvoletta di polvere si alzava per poi ricadere a terra leggiadra, come il vento di inizio estate. Le poche pareti rimaste erano adornate da dipinti impolverati, ritratti per lo più, che forse un tempo apparivano maestosi ed eleganti a chi li osservava ma che adesso, in quel macabro complesso, erano solo immagini inquietanti e rovinate dal tempo e dalla cenere.
Sentimmo un altro urlo, più forte del primo. Eravamo vicine.
Finimmo di salire tutti gli scalini cigolanti e in tutta furia ci dirigemmo nella sala da dove arrivavano le urla. Questa era delimitata da una porta socchiusa da qui usciva il leggero tremore luccicante di un lampadario. Io e Serafine ci scambiammo uno sguardo di intesa ed insieme aprimmo, il più lentamente possibile, la porta.
Quando fu del tutto spalancata per lasciare ai nostri occhi il permesso di guardare al suo interno, rimasi esterrefatta dalla scena ed un senso di nausea e giramento mi percosse tutto il corpo.
La sala era gigantesca. Al soffitto era affisso un imponente lampadario di cristallo formato da tante piccole candele. Il pavimento era ammuffito, come il resto della casa, anche se pareva avere un'aria più dignitosa. Le pareti erano completamente spoglie tranne una, a cui era poggiato un enorme dipinto contenuto in una cornice dorata. Rappresentava un uomo molto giovane, carnagione chiara e capelli scuri, dello stesso colore dei miei. Gli zigomi erano alti e gli occhi chiari così profondi che parevano stessero leggendomi l'anima. Distolsi lo sguardo dal dipinto assurdamente vivo e lo posai frettolosamente sulla scena che stava avendo luogo in mezzo alla stanza.
A terra era steso Devil, il volto livido e bagnato dal sudore lo rendevano spettrale sotto la luminescenza opaca delle candele. Su di lui era seduto a cavalcioni Raphael che con forza continuava a colpirlo in faccia. In un angolo c'erano Luke e Mike intenti a cercare qualcosa da usare come arma. Corsi vicino a Devil e spintonai bruscamente Raphael dal corpo del ragazzo. Lui parve sorpreso da qual gesto ma l'espressione sconcertata venne subito sostituita da due occhi colmi di rabbia.
Devil intanto era svenuto ed anche da quasi morto il suo volto rilasciava un magnetismo incredibile.
<Ma dico sei impazzita?!>
Mi sentii urlare contro da Raphael che era arrivato ad un centimetro da me ad aveva iniziato ad imprecare con la mani livide alzate al cielo.
Io scattai in piedi e mi misi davanti a lui con sguardo di pietra.
<Avresti potuto ucciderlo!>
Lui si scatenò in una risata isterica e priva di divertimento.
<Santo cielo, Marian! Non li vedi i film?! Siamo vampiri, dannati, figli della notte! E come tali siamo anche immortali a meno che tu non ci faccia la doccia con l'acqua santa, ti diverta a conficcarci un paletto nel cuore o voglia farci fare una passeggiata sotto il sole!>
La sua voce era alta e frustrata. Mente io ero solo confusa, spaventata ed arrabbiata.
<Allora se il tuo intento non era ammazzarlo, sentiamo cosa pretendevi di ottenere spaccandogli la faccia a suon di pugni?>
Calò un silenzio tombale. Per pochi secondi nessuno seppe dire nulla fino a che non intervenne Mike.
<M, quello non è Devil. Qualcosa... Qualcuno sta manipolando la sua mente dall'interno.>
Mi voltai verso il ragazzo dai capelli viola e lo guardai con un sopracciglio corrugato in una smorfia di confusione.
<Vuoi dire che è come se fosse...>
<... Posseduto.>
Fu Luke a terminare la mia frase. A quell'affermazione rimasi di sasso. Che vuol dire posseduto? Da chi poi? E perché?
<Quando siamo arrivati qui lui era in preda al delirio. Ha tentato di ucciderci ma quella cosa non era Devil. I suoi occhi erano completamente neri e si muoveva in modo irregolare. L'ho fatto svenire ma noi vampiri ci riprendiamo più in fretta di voi umani. Sta già guarendo e se non troviamo il modo di salvarlo saremo costretti ad ucciderlo, o lui ucciderà noi.>
<Come si esorcizza un vampiro?>
Chiese Serafine che fin ora era restata in silenzio ad osservare il corpo supino di Devil.
<Non ne abbiamo idea ma un modo deve esserci...>
<Un modo c'è...>
Mi allontanai da Raphael, persa nel mondo dei miei pensieri. Stavo scavando della testa per trovare una soluzione. Io sapevo come fare, dovevo solo trovare il cassetto dove era racchiusa la risposta. Tutti iniziarono a fissarmi speranzosi.
Sapevo cosa fare, almeno lo credevo.
<In delle vecchie comunità orientali era frequente che le persone venissero contagiate da malattie ritenute "maligne". Come se i malati fossero letteralmente posseduti dal male. Per cacciare il male dai loro corpi, i capo tribù, dovevano far provare al poveretto molte emozioni forti insieme così da colmare lo spazio nell'anima del disgraziato e da non lasciare più spazio allo spirito demoniaco.>
Tutti mi guardavano esterrefatti.
<Cosa?> chiesi confusa dalle loro reazioni <Io leggo.>
<E come facciamo a far provare a Devil delle emozioni forti?>
Mi misi a riflettere ma quando vidi le dita della mano di Devil muoversi capii che non c'era più tempo per pensare.
<Dolore. È una delle emozioni principali che prova un essere umano.>
<E poi? Hai detto che ne serve più di una.>
Disse Serafine che ancora era china sul corpo di Devil.
<Amore.>
Prima che potessi parlare, Luke rispose al posto mio.
Stavo per rispondere alla sua proposta quando sentii un leggero suono. Seguito poi da un urlo soffocato ed agghiacciante.

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