"Hai preso tutti i documenti?" mi dice Jennifer accompagnandomi fino al gate che mi farà passare fra dieci minuti. Annuisco con il capo, tastandomi le tasche del cappotto per controllare di avere tutto con me, portafogli e telefono. Jennifer si piega in avanti, sporgendosi verso il mio bagaglio a mano e aprendo la cerniera della tasca esterna. Tira fuori l'Ipod, circondandolo con le cuffiette per evitare che si riempano di nodi. "Tieni" dice, porgendomelo in mano. Nonostante io e lei viaggiamo tantissimo, prendendo aerei con una facilità incredibile che ci fanno passare da una parte all'altra dell'America e non solo, ogni qualvolta io debba partire da sola, Jennifer si fa prendere sempre dall'ansia, preoccupandosi che abbia tutto. Ovviamente apprezzo la sua attenzione, ma qual è il senso di farmi attorcigliare intorno al collo la sciarpa "nel caso in cui mi possa raffreddare"? Non sto andando in Alaska, ma a Miami. Non credo che lì si soffra così tanto il freddo.
Non dimenticherò mai quando mi fece indossare tre maglioni e due cappotti per andare ad Hong Kong. Se avete in mente l'omino Michelin, allora potreste benissimo immaginare la scena. Mancava solo che rotolassi per il sentiero costeggiato che mi avrebbe portato al gate.
La ringrazio, infilandomi l'Ipod in tasca. Sento dei passi alle mie spalle e mi giro, vedendo un gruppo di fotografi che si apposta lungo il perimetro del percorso tracciato dal nastro nero. Alzo gli occhi al cielo, tornando a guardare Jennifer.
"Se vuoi, posso intimare loro di andarsene" mi dice, abbassandosi verso di me.
Mi lecco le labbra, volgendo lo sguardo sulle mie gambe a cui sono appoggiate le due valigie. Ho deciso di andare da mamma per cinque giorni, venerdì pomeriggio sarò di nuovo qui. Non posso stare oltre, ho degli impegni da rispettare, e non posso ostacolare ancora di più il lavoro di mia madre a causa della mia presenza.
Scuoto il capo. "Non fa niente" dico, puntando gli occhi in quelli di mia sorella, così simili ai miei. Jennifer però sbuffa, sentendo i rumori fastidiosi dei flash e adesso anche le urla dei fotografi che vogliono mi giri verso di loro. Quando sono insistenti, ha detto papà, bisogna ignorarli, perché ti istigheranno a far uscire di bocca parole che non penseresti mai di dire a voce alta. Jennifer mi afferra entrambe le spalle per tenermi ferma, ma con il capo si rivolge a quell'ammasso di uomini che invoca i nostri nomi. Alcune guardie del corpo che ci hanno accompagnato in aeroporto si avvicinano ai paparazzi, allargando le braccia per distanziarli quanto più possibile. L'hostess mi guarda, sorridendomi, aspettando che le porga i bagagli per poterli sistemare sull'aereo di mio padre.
Annuisco con il capo, lasciando che li prenda senza alcun problema, mentre Jennifer mi gira intorno ed estrae dalla sua borsa un ombrello grigio. La guardo con la coda dell'occhio, sollevando un sopracciglio.
Quando apre l'ombrello, noto che sulla curva esterna è rappresentato il dito medio spiegato in tutta la sua lunghezza che copre la superficie frontale dell'ombrello. Scoppio a ridere, piegandomi in avanti, mentre mia sorella mi si accosta nuovamente e piega l'aggeggio in modo tale da coprirci dai paparazzi, i quali possono solo fotografare il dito medio che nasconde i nostri busti.
"Mi stavano dando fastidio."
"Aprire gli ombrelli nei luoghi chiusi porta sfortuna."
Jennifer, con la mano libera, fa un gesto vago prima di circondarmi le spalle con il braccio. I suoi capelli corti mi solleticano il mento. Chiudo gli occhi, stringendomi alla sua schiena. Ci dondoliamo leggermente, come abbiamo sempre fatto da quando siamo piccole.
"Buon viaggio" mi dice all'orecchio.
"Grazie."
"E salutami la mamma" conclude, staccandosi. Annuisco, poi recupero la mia borsa da terra e me la sollevo sulla spalla. Jennifer sente le guardie sbraitare contro i paparazzi, allontanandoli, mentre il gate si apre e mi avvio in quella direzione. Jennifer mi guarda con i suoi occhi azzurri vispi e il sorriso in volto, con due piccole fossette createsi ai lati delle labbra. I capelli biondi sono leggermente arricciati alle punte. Mi saluta con la mano, prima che io varchi le porte in vetro. Mi allontano, chiudendomi la giacca per evitare che il vento mi colpisca al petto e mi avvicino verso le scale spiegate sul fianco dell'aereo, con il capitano che mi aspetta sulla cima. Strizzo leggermente gli occhi a causa del sole che mi colpisce violentemente il viso, sorridendo con un lato delle labbra. Lo spiazzo che mi circonda è immenso, così grande che l'aereo potrebbe benissimo fare inversione e decollare rimanendo nello stesso posto.
Okay, non forse così tanto, ma mi circonda il nulla. Lungo i bordi perimetrali della pista scorgo degli alberi che da questa distanza mi appaiono minuscoli e, appena sullo sfondo, la montagna su cui capitana la scritta Hollywood. Quanta gente ho visto farsi fotografare lì sotto, o con le braccia spalancate a tal punto da far sembrare che reggano l'intera lunghezza della scritta. Se fossi stata una turista, l'avrei fatto anche io.
Noto le scale sempre più vicine, quando all'improvviso sento un urlo, una specie di richiamo. Mi guardo in avanti, credendo sia il capitano che mi sprona ad accelerare per non perdere altro tempo, di fronte alle cinque ore di volo che mi attendono, passando da una parte all'altra degli Stati Uniti. Quando vedo il capitano che ha il corpo appoggiato sul corrimano di acciaio, tranquillo, aggrotto le sopracciglia ulteriormente, prima di girarmi.
Vedo una figura avvicinarsi scappando, con le porte trasparenti del gate ancora aperte, come se si tratti di un passeggero ritardatario con il rischio di perdere il volo. Mi metto una mano a mo' di visiera, sebbene adesso abbia il sole alle mie spalle. Il vento mi sferza i capelli sul viso, costringendomi a spostarli freneticamente con l'altra mano, mentre si appoggiano anche sulle labbra socchiuse. Aguzzo la vista, strizzando ancora di più gli occhi.
Poi capisco di chi si tratti.
I suoi stivaletti si muovono rapidamente contro il terreno, la giacca gli svolazza intorno al busto muscoloso e i capelli scuri sono spinti verso l'indietro.
Harry corre verso di me, poi appena mi è vicino, si ferma, piegandosi in avanti e appoggiando le mani sulle ginocchia, cercando di riprendere fiato. Quando solleva il capo, i capelli gli vanno dritti in faccia e i suoi occhi sono socchiusi a causa del sole. Quando si rimette in piedi, il busto si muove ancora rapidamente in cerca di aria, ma annulla lo spazio tra noi. "Non potevo lasciare che te ne andassi senza prima averti salutato" mi dice, tra un respiro e un altro.
Sorrido, scuotendo la testa, poi mi sporgo verso di lui, lasciando che le mie labbra tocchino le sue, morbide e dolci. I ricordi della serata precedente mi investono in pieno, facendo vagare la mia mente sulle emozioni che ho provato con lui.
Lì, su quel divano nello studio di Louis Flaubert, si è consumata l'attrazione che proviamo l'uno nei confronti dell'altra.
Non è stato il primo ragazzo con cui io sia mai stata, ma non posso fare a meno di pensare a quanto il tutto sia stato unico, a modo suo.
Harry ha una dolcezza tale che - ribadisco -, non conoscendolo non gli avrei mai attribuito, ma quando i nostri corpi si sono scontrati, le nostre gambe si sono attorcigliate su quello spazio misero, i nostri sospiri hanno aderito alle mura dell'ambiente insieme ai quadri che ne abbellivano il perimetro, posso dire di essere stata più che bene. Quando lo bacio, sento una morsa allo stomaco che credo sia dovuta a quello che mi ha indotto a provare ieri sera al chiaro di luna che entrava dalla finestra dello studio, investendoci con la sua luminosità. Sento l'istinto animalesco prendere nuovamente possesso del mio corpo, ma mi impongo di contenermi. Harry mi circonda il viso con le sue grandi mani - e che mani! -, succhiando leggermente il mio labbro inferiore. Sorrido, mordendo il suo, poi ci stacchiamo. Il suo pollice sposta una ciocca ribelle, tenendomela indietro, mentre i nostri occhi si guardano come a non volersi perdere neanche un dettaglio gli uni degli altri.
"Buon viaggio" mi sussurra contro le labbra, sebbene il rumore del vento sia più forte rispetto alla sua voce roca. Stringo le labbra.
"Grazie mille."
"Non sparire definitivamente, però, in questi cinque giorni."
"Mh" mugugno scherzosamente, "qualche messaggio posso anche mandartelo, ogni tanto" dico, ridendo.
Lui si lecca il labbro inferiore, prima di staccarsi da me. "Mi prenderò cura della Horan Industry" lo sento dire oltre il rumore del vento. Gli sollevo il pollice, iniziando a muovermi all'indietro, trascinando le scarpe per terra in una versione malaticcia della Moonwalk.
"Ci conto, controlla che non si rovini niente, durante la mia assenza" dico, circondandomi la bocca con le mani per amplificare la mia voce gutturale. Vedo il pomo d'Adamo di Harry abbassarsi e risalire rapidamente. Annuisce soltando, aprendo poi una mano nella mia direzione.
Ormai sono giunta ai piedi delle scale.
Sollevo il capo verso il capitano che picchietta scherzosamente il dito indice sul polso, come a dire di essere in ritardo. Chiudo un occhio a causa dei raggi del sole che colpiscono le mie iridi chiare. Metto un piede sul primo gradino, salendo gli altri più velocemente. Quando accosto il capitano, mi giro, spostando lo sguardo verso il basso. Harry è ancora lì e allarga l'indice e il medio nel simbolo di "vittoria", poi gli mando un bacio elegante con una certa teatralità, prima di voltargli le spalle ed entrare nell'aereo. Il capitano fa richiudere le scale dietro di me, per poi passare alla chiusura dello sportello mentre le Hostess si preoccupano di controllare tutte le operazioni di volo e la sicurezza, sebbene ci sia solo io dentro.
Il capitano mi sorride, poi stringe le labbra. "Scusate se mi intrometto, signorina Lawrence, ma lei e il suo collega Styles siete molto carini insieme" dice, togliendosi il cappello dal capo. Scoppio a ridere, andandomi a sedere al mio posto. Insieme, che parolone.
Non abbiamo nemmeno la certezza di stare insieme, neanche ne abbiamo mai parlato. Certo, non ne abbiamo avuto motivo fino ad ora. Però sono convinta di una cosa: per la prima volta, lui non è solo un mio collega, finalmente ho incontrato qualcuno che si è totalmente discostato dal solito stereotipo.
Mi calmo, sorridendo al capitano. Annuisco. "La ringrazio, signor Smith."
L'uomo si rimette il cappello sui suoi capelli brizzolati, poi guarda lo schermo alle sue spalle. "Si metta comoda, adesso. Abbiamo cinque ore di volo che ci aspettano." Dopodichè se ne va, oltrepassando la porta alle sue spalle che si richiude al suo passaggio. Mi sistemo meglio contro il sedile, inviando solo un rapido messaggio a mia madre.
- Sto partendo.
Poi però, prima che possa mettere il telefono offline, me ne arriva uno da un altro mittente. Il messaggio mi mostra solo l'emoji di un aereoplanino e di una faccina con il bacino.
Sorrido, mandando un cuore rosa ad Harry, prima di riporre il telefono in tasca e prendere l'Ipod, infilandomi le cuffiette e perdendomi nel mio mondo musicale quando il pilota inizia le manovre.N/A
Ciaaaao, eccomi qui reduce dai "cento giorni"!
Visto che mi avete votato e commentato il capitolo precedente, ecco qui l'aggiornamento infrasettimanale. Spero vi piaccia!
Continuate a lasciarmi la stellina e i commenti, non avete idea di quanto mi facciano emozionare. Mi sento meno sola qui sopra🌻
A sabato!
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If this was a movie|| H.S
FanfictionJessica Lawrence è una famosa attrice di Hollywood, impegnata nelle riprese della trasposizione cinematografica di Fearless, il nuovo bestseller al primo posto in classifica. È molto richiesta, per la sua bravura e bellezza, e sebbene abbia lavorato...