Chapter sixteen

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Che belle le sorprese infrasettimanali :)

Io, mio padre e mia madre ci diamo i turni per stare con Jennifer, nella speranza che possa risvegliarsi quanto prima. Harry se n'è andato, promettendomi che stasera ci saremmo visti.
E' già passato un giorno e questo è il secondo turno che faccio nella stanza di mia sorella. I dottori sono entrati e l'hanno fatta svegliare forzatamente per far estinguere l'effetto dell'anestesia. Quando Jennifer ha riaperto gli occhi, mio padre era lì con lei e ha chiamato immediatamente mia madre, dopodiché mi sono fiondata nella stanza anche io.
Vederla con gli occhi azzurri finalmente aperti è stata una gioia grandissima, e vedendoci tutti e tre intorno al suo letto, mi ha fatto riscaldare il cuore.
In questo momento sono addossata con la sedia al muro, mentre mia sorella - stesa sulla schiena - scorre ad alto volume le canzoni del mio Ipod.
"Non hai niente di bello qui sopra" dice con una voce non eccessivamente alta. La guardo, distogliendo lo sguardo dal libro che ho sulle cosce sollevate e che ho trovato in un cassetto del comodino accanto al letto di Jennifer.
"Sei tu che hai gusti di merda" le dico, guardandomi di sfuggita alle spalle e notando il sole arancione nascondersi piano dietro gli alberi.
Jennifer solleva le sopracciglia, indispettita. I capelli corti sono sparsi sulla federa candida del cuscino, il lenzuolo bianco è sollevato sul seno e le labbra stanno finalmente riacquistando un colorito leggermente più naturale. Ha, comunque, una flebo incastrata nel suo braccio. Un'ora fa sono stata da Niall. Oggi pomeriggio l'avrebbero dimesso, nonostante comunque si debba far controllare ogni due giorni per poter poi togliere il collare che gli stringe il collo. Da quanto ho sentito da Jason - che gli è stato accanto più di tutti - è completamente violaceo, in particolor modo sulla giugulare. Significa che la presa di chiunque l'abbia stretto al collo è stata davvero possente. Scuoto la testa, volendo che il pensiero scivoli via dalla mia mente, per il momento.
Sbuffo, appoggiando il libro sul davanzale della finestra senza nemmeno prendere un segna pagina, per non perdere il filo del racconto.
Mi sollevo in piedi, sgranchendomi le braccia e le gambe intorpidite dallo stare troppo tempo seduta, quando la porta della stanza si apre e un medico con al seguito due infermiere entrano inisieme. Jennifer posa l'Ipod sul mobiletto, girando piano la testa nella loro direzione. Il dottore ha le mani incrociate dietro la schiena, gli occhiali infilati nella tasca sul petto e i corti capelli neri tenuti indietro sulla fronte. Le infermiere indossano tutte dei guanti verdi in lattice e una mascherina attaccata ad un orecchio solo, pendente contro la mascella.
Ingoio a vuoto, spostando lo sguardo dal gruppetto appena apparso a mia sorella che stringe le labbra. "Salve" dico.
Il dottore mi saluta con un cenno del capo, poi si rivolge a mia sorella: "Signorina Lawrence, è giunta l'ora della medicazione."
Mia sorella sussulta un poco, chiudendo gli occhi. La mamma mi ha detto che non ha avuto ancora il coraggio di vedere la ferita che le deturpa il ventre, sebbene sia il marchio della sua salvezza. Mi mordo il labbro inferiore, e un'infermiera mi vede. "Mi scusi, signorina, ma deve uscire."
"No!" dice Jennifer, guardandomi. "Lei resta qui."
"Ma non può-"
"Ok" dice il dottore schioccando le dita. "Date alla Lawrence Junior un camice, una mascherina e dei guanti."
Rimango un attimo destabilizzata quando la seconda infermiera che non ha ancora parlato mi prende per un braccio, portandomi dietro un separè. Fa uscire da un armadio dei cellphane e li strappa, porgendomi il camice verde e l'occorrente, come aveva detto il dottore.
I miei capelli, già legati in una coda, vengono sollevati sulla nuca e infilo la cuffietta, poi stringo i guanti intorno alle mani e la mascherina sulle labbra, dopodiché l'infermiera mi chiude lo strappo del camice sulla schiena, facendomi finalmente uscire dal separè. Il dottore ha scostato il lenzuolo di Jennifer, facendola rimanere solo con il camice bianco a pallini azzurri. Guarda il dottore con occhi fermi, poi solleva la mano sinistra verso di me, invitandomi a stringergliela. Giro intorno al letto e mi metto accanto a lei, stringendo la presa intorno alla sua mano mentre il dottore - che ha infilato dei guanti a sua volta - le solleva il camice sulla pancia. Le scopre le gambe, poi il basso ventre. Ci sono delle retine che le circondano la fasciatura. Toglie piano le garze, scoprendo la cicatrice.
Sussulto, vedendola.
Le percorre tutto il ventre, dallo spazio tra i seni fino al tratto di pelle appena sotto l'ombelico.
Mia sorella ha il capo rivolto all'indietro, rifiutandosi di vederla. Ha gli occhi strizzati. "Allora, dottore?" chiede, sforzandosi.
Il medico si avvicina alla cicatrice, testandola piano con l'indice e controllando l'aderenza dei punti. La pelle è arrossata, il filo utilizzato è nero e risulta contro la pelle diafana di Jennifer.
Mi viene da vomitare e mi giro di lato, tenendo ancora la mano di mia sorella stretta nella mia.
"Bisogna continuare a medicarla ogni giorno" dice lui, come se non fosse una cosa già abbastanza ovvia. Il dottore saluta ed esce dalla stanza, lasciando che le due infermiere si mettano ai lati di mia sorella, prendendo del nuovo ovatto e delle garze sterili.
Jennifer ha gli occhi chiusi, mentre io pian piano sposto lo sguardo sulla cicatrice.
Le infermiere iniziano a spalmare la pomata, cospargendola su tutta la superficie. Il petto di Jennifer si muove abbastanza lentamente, come se avesse paura di far aprire la ferita e far strappare ulteriormente la pelle.
Poi, ad un certo punto, la vedo sollevare il capo, ingoiare a vuoto e aprire prima un occhio, poi l'altro. Sporge lo sguardo oltre il camice arrotolato sul seno prosperoso e stringe la mia mano quando vede il segno rosso fuoco che le percorre tutta la pancia.
"Cos'è quella cosa?!" dice sgomenta e vedo il suo labbro inferiore iniziare a tremare convulsamente.
Sposto lo sguardo altrove, poi mi abbasso su di lei e appoggio la mia testa contro la sua tempia.
"Questa cosa ti ha salvato" dice l'infermiera dai capelli scuri e gli occhi puntati a tamponare l'ovatto sulla ferita.
"No" dice Jennifer, per poi ripetere la sillaba ossessivamente a bassa voce. "No, no, no" continua e mi sento il cuore morire, poi quando Jennifer inizia a piangere, sento le lacrime colarmi sulle guance e bagnare il bordo superiore della mascherina.
Il suo petto adesso si muove velocemente, e la seconda infermiera cerca di calmarla, posando le mani sul resto della superficie. "Si calmi, signorina Lawrence" dice, ma Jennifer non ce la fa. Le lacrime iniziano a scendere copiosamente sul suo volto arrossato e lascia cadere pesantemente indietro la testa, come quando si è svegliata ieri e ha scoperto di essere viva. Non ricorda esattamente le dinamiche dell'incidente, sa solo che è viva e ha pianto di sollievo. Ma questo pianto che sta condividendo con me è diverso, perché mostra il suo dispiacere nel non poter fare più parte del suo lavoro, e non mi resta altro che sfilarmi la mascherina e baciarle ripetutamente la fronte, con le lacrime che mi scivolano fin sul mento.

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