Chapter nine

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Domenica sera esco di casa con la borsa appesa alla spalla, guardandomi intorno, sperando che nessuno mi veda.
Apro la portiera e mi infilo in macchina. Harry è al volante, il ginocchio che si alza e si abbassa rapidamente come se stesse in trepidante attesa e impaziente di fare qualcosa.
"Eccomi qua" dico, riponendo il telefono nella borsa. Harry stringe le labbra, mostrandomi un breve sorriso, poi mette subito in moto per allontanarci quanto più possibile.
In queste due settimane ho provato a comprendere Harry.
Sembra quasi che si trasformi, quando è sulla scena.
Ogni buon attore deve entrare nella parte, e ormai mi sono quasi abituata a questa situazione. Solo che Harry, ogni qualvolta Jason faccia sbattere il Ciak, si comporta in maniera strana.
Non che abbia qualche problema, chiariamoci, ma sembra sempre impaziente, leggermente stizzato e pronto a saltare in aria da un momento all'altro.
A tratti mi da l'impressione di essere isterico, soprattutto prima di iniziare a girare, quando si muove imperterrito nell'atrio con le mani a tormentare le sue labbra sottili e morbide - pollice in su, a proposito -, oppure prima che usciamo insieme.
Non capisco perché sia così.
Quando siamo nei panni di Stephanie e Nicholas mi sembra di vivere un'altra faccia di Harry, quella premurosa e piena di coraggio, per poi farsi assillare da tick nervosi quando finiamo di girare. Mentre circoliamo per le vie di Los Angeles nella stessa macchina, l'abitacolo è avvolto dal silenzio, sento solo le sue dita tamburellare contro il volante, con lo sguardo che si sporge in avanti per leggere tutte le vie che superiamo.
"Dove dobbiamo andare?" chiedo, leccandomi le labbra.
Sposta per un attimo lo sguardo su di me, sollevando un lato della sua bocca in un accenno di sorriso. "Vedrai."
"Non mi piacciono le sorprese, Harry."
Lui appoggia la schiena contro il sedile, rilassandosi impercettibilmente. Sento quasi essersi spezzato il filo di tensione che c'è tra di noi.
Spero solo che anche lui abbia pensato a quello a cui ho pensato io negli ultimi due giorni.
Quando abbiamo girato quella scena, ho sentito chiaramente spogliarmi dei panni di Stephanie. Chissà se quella tensione sessuale l'ha percepita anche lui, guardandomi profondamente con i suoi occhi color della giada.
Sono tornata ieri sera da San Francisco, eppure dai messaggi che ci siamo scambiati non mi è sembrato abbia alluso a qualcosa.
Forse sono solo io a farne un problema, una questione di Stato. Non è la prima volta che giro una scena spinta con qualcuno, ho solo sentito che con Harry è stata diversa, punto. Non dovrebbe significare niente.
O almeno lo spero.
Devo convincermene.
"Ma non è una sorpresa" mi risponde lui, imboccando la strada a destra. "Se sei perspicace come credo tu sia, allora arriverai a collegare ogni cosa."
Sollevo un sopracciglio, prima di notare che Harry abbia appena parcheggiato lungo il margine sinistro della carreggiata. Scende per primo dalla macchina e gira intorno al cofano prima di venire dal mio lato, aprendomi la portiera. Scendo a mia volta, scuotendo piano la testa.
"Ah, la galanteria."
"Sono un gentiluomo, ricordalo sempre."
"Chissà con quante hai fatto così" dico, spingendo la portiera per farla chiudere con un tonfo. Harry chiude la macchina con il telecomando.
Scoppia a ridere, stroppicciandosi i capelli lunghi con la mano. "In effetti, con tutte."
Alzo gli occhi al cielo.
Perché mai penso che si debba essere sentito diverso, stando con me? Chissà con quante ragazze è stato e ha provato le stesse cose.
Mi viene di prendermi a schiaffi.
Dov'è finita la professionalità, Jessica?, mi dice il subconscio.
A farsi fottere, risponderei, ma non cado così facilmente, sebbene nessun altro mio collega abbia occupato i miei pensieri così prepotentemente.
"Allora?" lo sprono. "Dove siamo?" dico, iniziando a camminare al suo fianco. Solleva le spalle.
"Ribadisco" fa una pausa. "Lo.Vedrai." scandisce e mi urta i nervi. Odio non sapere cosa mi accada intorno. Devo essere partecipe di ogni cosa.
Mi fa spingere una porta in legno appena sul fondo della parete, facendomi passare per prima. "Ma non so dove devo andare! Che senso ha farmi entrare per prima?" dico, incrociando le braccia sotto al seno. Harry entra e si chiude la porta alle spalle.
Sbuffa rumorosamente.
"Segui la luce."
"Non voglio andare in paradiso" dico.
Harry si schiaffeggia la fronte.
Mi prende per le spalle e mi fa girare verso una rampa di scale che conduce fino ad una porta aperta, da cui proviene una strana luce gialla. Stringo le labbra. "Sa tanto di film horror."
"Ne hai mai girato uno?" mi chiede, appoggiandomi delicatamente una mano in mezzo alle scapole per farmi procedere.
Impunto i piedi per terra.
C'è puzza di muffa, qui dentro, e l'ambiente è abbastanza buio e fresco.
La scenografia è perfetta.
"No, ma non voglio salire per prima."
Harry ride di nuovo, strizzando leggermente gli occhi. Mi spinge in avanti scherzosamente.
"Perché?"
"Se ti dico l'espressione che mi sta circolando in mente in questo preciso istante, perderei tutta la mia femminilità."
"Del tipo che te la stai facendo addosso?" mi prende in giro, mettendosi finalmente al mio fianco. Mi giro per guardarlo negli occhi.
"Non cederò mai."
"Allora sali."
Gli sorrido. "No."
"Immaginavo." Mi supera, salendo le scale per primo e lasciandomi in giù.
"Ehi!" dico, correndogli dietro. Le scale cigolano sotto il nostro peso. Sento chiaramente un brivido corrermi lungo la spina dorsale. Davanti a me vedo solo le larghe spalle di Harry che si muovono ogni qualvolta sollevi la gamba per salire i gradini rimasti. Quando arriva per primo al piano, stringo i denti e accelero per affiancarlo prima che continui, lasciandomi indietro. Scorgo attraverso la porta quello che mi sembra sia lo studio di un pittore.
Harry mi fa un gesto galante della mano. "Adesso ce la fai ad entrare? O vuoi che ti prenda per mano?"
Gli alzo il medio.
Al diavolo l'eleganza. Lo supero e varco per prima la soglia. La prima domanda che mi viene in mente è: com'è possibile che questa stanza sia illuminata se non c'è nessuno? Non penso Harry abbia preparato tutto per me, vero? Insomma, è improbabile l'abbia fatto.
Mi guardo intorno, vedendo serie di dipinti appesi alle pareti e altri addossati ai muri della stanza quadrata. C'è una poltrona nel mezzo, la stessa poltrona ritratta nelle opere d'arte che costeggiano il perimentro dello studio. Poco più in là, sulla mia destra c'è un cavalletto con una tela leggermente schizzata. La tavolozza dei colori è appoggiata su uno sgabello appena lì davanti. Rimango ferma, non riuscendo a capire.
"Questo studio è di Louis Flaubert" dice Harry, mettendosi dietro di me. "Lascia sempre la luce accesa."
"Per evitare che qualcuno gli rubi i lavori?" dico, scorgendo in un dipinto i tratti di una ragazza appoggiata sul davanzale della finestra, intenta a guardare fuori.
"No" mi dice lui. "Non ha paura dei ladri. Dipinge solo per passione. Louis ha un altro lavoro."
"E allora perch-"
"Li lascia lì così la gente può scegliere quello che vuole e portarselo a casa."
Mi giro verso di lui, sollevando entrambe le sopracciglia. "Ma non è una cosa normale!"
Harry solleva le spalle.
"Perché mai lasciare che la gente si porti dietro alcuni dei suoi lavori?"
"Perché vuole che ognuno abbia con sè una parte del suo genio artistico. Eccoti spiegato anche il perché lo studio sia di libero accesso."
Guardo Harry, prima di girarmi nuovamente, andando incontro alla poltrona. Appoggio delicatamente una mano sul bracciolo, sentendo il velluto accarezzarmene il palmo e le dita sottili. Harry si sposta, andandosi a sedere sullo sgabello, prendendo in mano la tavolazza sporca di colori. Lo osservo, mettendomi alle spalle della poltrona e stringendo in mano i bordi dello schianale morbido. "Vuoi fare una scena del Titanic?" chiedo, scherzando.
Harry ride, osservando i colori ormai asciutti ricoprire quella superficie che un tempo era candita. Sposta lo sguardo sulla tela che ha davanti, e vedo i suoi occhi verdi ripercorrere la bozza in ogni contorno.
Sollevo una gamba e scavalco lo schienale della poltrona, prendendo posto. E' morbidissima e mi sento cullare e sprofondare nel tessuto rosso sangue. Harry gira leggermente la testa verso sinistra, notandomi. "Che eleganza" dice.
Accavallo entrambe le gambe sul bracciolo, appoggiando poi la schiena sull'altro e portandomi una mano sulla fronte con fare teatrale. Lo sento ridere.
"Ma allora cos'è che dovrei collegare, osservando questo posto?" dico, spostando lo sguardo su ogni singolo dettaglio. Harry sfiora con un dito il colore e fa finta di pitturare, spostando lo sguardo da me, alla tela bianca.
"Davvero non ti viene in mente niente?" dice, sorridendo con un angolo delle labbra.
Scuoto la testa, poi lo sento sussurrare qualcosa.
"Lascia che l'arte prenda il sopravvento e faccia delle tue mani il suo strumento."
Aggrotto le sopracciglia.
Poi il lampo di genio.

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