Chapter thirteen

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Ebbene sì!
Ho il trailer di questa storia!
Dateci un'occhiata e fatemi sapere che ve ne pare! Ci vediamo in fondo!

"Jason mi sta rompendo le palle" dice Harry al telefono mentre io ripiego le robe sulla trapunta del letto.
"Che dice?" chiedo, sistemando finalmente le magliette nei cassetti così da essere più ordinata...per quanto mi è possibile. Ho ancora una montagna di calzini addossati sulla sedia della scrivania, maglioni appesi ai manici della finestra e i jeans piegati alla base del letto.
"Mentre non ci sei, stiamo girando le scene che riguardano solo me, sai, quelle in cui articolo il piano con i miei amici" appunta la voce roca del ragazzo dall'altra parte della linea.
Ieri sera, dopo quel messaggio che ci siamo scambiati, ho sentito il cuore battere a mille nel petto. Sebbene il messaggio fosse chiaro, non ci siamo detti apertamente quello che intendevamo. E se io avessi frainteso tutto? Quando stamattina mi ha chiamato, vedendo il suo nome lampeggiare sullo schermo ho sentito l'ansia predere il sopravvento. Cosa avrei dovuto dirgli? Sarebbe stata la nostra prima chiamata. Solitamente non sono un tipo che si trova in imbarazzo, ma parlare a telefono dopo quei messaggi, mi sembra qualcosa di...intimo. Il che è strano, dato che siamo andati a letto insieme, ma la mia mente deve avere qualche serio problema. Grazie al cielo, ha portato avanti lui la chiamata.
"Quindi?" chiedo per esortarlo a continuare. La sua voce è bassa, roca e sensuale, mi fa venire i brividi, così come le sue mani delicate che mi sfiorano il corpo nei punti che preferisco, come se li avesse sempre saputi.
"Dice che il tempo che abbiamo avanza, e che quindi ci servi perché le riprese devono andare avanti eccetera eccetera" continua Harry, sbuffando. Addosso un'altra maglietta nel cassetto, tenendo il telefono nell'incavo del collo.
"Mamma mia, a volte sa essere proprio rompipalle" dico, alzando gli occhi al cielo.
Harry mugugna dall'altra parte della linea. "Già."
"Sono solo cinque giorni e fa così tante chiacchere" ammetto, guardando il sole fuori dalla finestra. Sono le dieci del mattino, mia madre è a lavoro e fra un po' viene Lizzie per andare a fare shopping.
"Hanno tutti bisogno di te, affinchè tu li possa mettere in riga" dice lui improvvisamente.
"Tutti?" chiedo, assottigliando gli occhi e buttando i calzini a terra per selezionare quelli puliti e quelli sporchi.
"Sì, tutti" dice lui, non cambiando tono di voce, rimane sempre monocorde.
Annuisco, sebbene non possa vedermi. Poi sento il suo fiato soffiare contro il microfono del suo telefono. "Senti" inizia a bassa voce, come se non volesse farsi sentire da nessuno. Oltre alla sua voce sento un fruscio, la voce ovattata di Jason che sbraita contro qualcuno indefinito. Mi immobilizzo all'istante, lasciando cadere per terra i calzini che avevo raccolto. Ecco, sapevo che avrebbe introdotto l'argomento.
"Sì?" dico, facendo la finta tonta.
Senti Harry fare un leggero risucchio, il suo respiro è pesante. "Allora? Hai fatto chiarezza su di noi?"
Aiuto.
"Credo di sì."
"E quindi?"
Sollevo le spalle. "Harry, ci stiamo comportando come dei quindicenni, siamo adulti, ci dobbiamo prendere le nostre responsabilità" dico, cercando di smorzare la tensione che si è creata, sebbene siamo a migliaia di miglia distanti.
Harry ride, e la sua risata è così genuina che mi riscalda il cuore.
Oddio, parlo proprio come una quindicenne arrapata. Scuoto la testa.
"Hai ragione" dice lui.
"Quindi posso cambiare il mio status sociale da single ad impegnata, giusto?" gli rispondo, scherzando. Harry ride e posso benissimo immaginare le fossette che si sono create agli angoli delle labbra. Mi viene voglia di sfiorarle con l'indice, smorzare la sua risata con un bacio, assorbire i suoi respiri... Oh, fanculo. Aveva ragione Jennifer. Sono proprio andata.
Era ora, cazzo, dice il mio subcoscio e mi schiaffeggio la fronte per zittirlo.
"Esattamente" mi risponde lui, poi sento la voce di Jason farsi più vicina ad Harry.
"Smettila, Styles, dobbiamo andare avanti!"
Harry sbuffa. "Devo andare" mi dice.
"Vai, tranquillo, prima che Jason inizi ad urlare come una checca isterica." Rido.
Harry soffia contro il microfono.
"Ah, Jess" mi dice.
"Sì, Harry?"
Ci sono minuti di silenzio prima che io possa sentire nuovamente la sua voce. "Io...sono sincero su questa cosa" ammette, a tono bassissimo, tanto che mi è difficile persino sentirlo.
"Perché non dovresti-"
"Davvero. E' importante che tu lo sappia. Un bacio" dice, e poi chiude la chiamata quando ormai la voce di Jason era diventata insofferente. Guardo il telefono, staccandolo dall'orecchio. Cosa voleva dire?
Prima che possa riporlo nella borsa, lo sento vibrare nella mia mano e rispondo subito. "Sì?" dico, afferrando la giacca dall'attaccapanni e lasciando la mia stanza nel mio solito disordine.
"Scendi" dice la voce acuta di Lizzie nell'orecchio. Chiudo la chiamata al volo e mi infilo il cellulare nella tasca del pantalone di tuta che ho deciso di indossare. Tanto che devo fare shopping, avere qualcosa addosso facilmente removibile per provare diversi abiti è meglio. Lascio un post it sul frigorifero, così che la mamma possa sapere dove vado e a che ora torno, poi esco di casa, chiudendo la porta con il doppione delle chiavi che mi ha dato mia madre. Lizzie è al volante della sua decappottabile bianca con le cornici nere. Le sorrido, inforcando gli occhiali da sole. Ho la giacca nell'incavo del braccio e appena mi avvicino all'automobile la lancio, insieme alla borsa, sul sedile posteriore. Apro la portiera di quello anteriore e mi posiziono accanto alla mia migliore amica. "Buongiorno" la saluto, dandole un bacio sulla guancia, sporgendomi sul cambio. Lei abbassa i suoi occhiali sugli occhi scuri e guarda a destra prima di mettere la marcia e partire. "Come i vecchi tempi?" dico, guardandola di sottecchi mentre il vento inizia già a scompigliarci i capelli.
Sorride a denti scoperti, nonostante il suo sguardo sia rivolto alla strada. Pigia il pulsante della radio.
"Come i vecchi tempi" ammette, facendo partire la musica ad alto volume. Si immette sulla strada che costeggia il mare, le palme che ne delimitano il contorno e il sole che viene filtrato dalle foglie enormi, riflettendosi sulla nostra pelle. Aumenta la velocità e iniziamo a cantare a squarciagola, con il vento che ci scompiglia i capelli riempendoli di nodi e le braccia che si muovono contro il cielo. Adesso non siamo un'insegnante di inglese e un'attrice nella stessa macchina, ma Lizzie e Jessica, due migliori amiche che si divertono e fanno pazzie come qualsiasi ragazza alla loro età. Le nostre voci si trasformano in delle vere e proprie urla nel sovrastare la musica e il rumore del vento che ci fischia nelle orecchie. Scoppiamo a ridere, mentre la radio continua a far girare tutte le musiche della playlist. Il mare è calmo, fa caldo e il sole riscalda la nostra pelle colpita violentemente dal vento fresco che soffia contro di noi. I capelli mi si riversano sul viso, ma non li scosto, piuttosto lascio che siano liberi di muoversi insieme all'aria, guardando la strada alla mia destra e le macchine che superiamo, così come tutte le villette accostate le une alle altre, sebbene la macchina vada così velocemente da non permettermi di vederne i dettagli. La musica continua a procedere e cantiamo di tanto in tanto. Lizzie stringe il volante con entrambe le mani e si avvicina ad esso per cantare, come se si stesse esibendo in un concerto live. Inizio a smuovere nuovamente le braccia, puntando le dita contro il cielo sereno sopra di noi. Poi mi viene un lampo di genio.
Mi avvicino al cruscotto della macchina e schiaccio il pulsante. Se ha mantenuto le stesse abitudine di minimo cinque anni fa...
Infatti, trovo la sua immancabile polaroid bianca. Mi guarda con la coda dell'occhio, annuendo e sorridendo contro la strada. Controllo che ci siano le cartucce, poi regolo le impostazioni.
"Quando dico via" inizio, girandomi verso di lei nonostante la vista mi sia oscurata a causa dei capelli addossati agli occhiali da sole, "voltati da questa parte" dico, appoggiando il retro della polaroid sul cruscotto tra noi, puntando l'obiettivo esattamente sulle nostre figure illuminate dal sole, i cui raggi si riflettono sulla superficie del mare alla nostra sinistra. Lei annuisce e impugna saldamente il volante, leccandosi le labbra. Mi sposto i capelli da sopra gli occhi e inizio a contare. "Mi raccomando" le dico. "Al mio tre, girati verso la Polaroid. Uno, due e tre!"
Lizzie si sporge verso la polaroid sorridendo a denti scoperti, io spalanco la bocca in un sorriso eccessivo mentre il familiare rumorio imprime il momento. Ritorna con lo sguardo sulla strada mentre io prendo la foto appena sfornata. La appoggio sul sedile, in mezzo alle mie gambe per farla raffreddare. Un tempo avevamo entrambe una collezione di Polaroid. Lei dovrebbe averle ancora tutte appese su una parete di sughero, io messe in ordine in un cofanetto dentro il mio comodino.
Finalmente raggiungiamo il centro commerciale, infilando la macchina nel parcheggio antistante. Il vento sembra essersi calmato. Lizzie sfila la chiave dal comando e la infila nella borsa che recupera subito dal sedile posteriore con un gesto felino. "Wow" dice, spostandosi i capelli scuri dalla fronte. Il suo sorriso è accecante, tanto è bianco. "E' stato fantastico."
"Pensa a quante volte l'abbiamo fatto" dico, sporgendomi per recuperare le mie cose. Lizzie annuisce, poi schiaccia un altro pulsante sul cruscotto mentre io ripongo la Polaroid. Il tettuccio della macchina si rialza, inglobandoci dal resto del mondo. Sulla superficie, però, c'è sempre un finestrino trasparente che permette di vedere il cielo. Quando giravamo di notte, spesso guardavamo le stelle. E' bello aver condiviso tali esperienze con lei, anche perché se così non fosse stato, e anzi le avessi condivise con un mio ex, ricordarle non sarebbe stato poi così tanto piacevole.
Prendo con due dita la fotografia tra le mie gambe, sventolandola solo un'altra volta prima di girarla. Lizzie solleva gli occhiali sulla fronte, avvicinandosi a me per guardarle.
"La aggiungerò alla collezione" dice nel vedere la nostra spensieratezza.
Ah, se solo si potesse vivere di certi attimi.
Annuisco, mettendola poi nel cruscotto per evitare di portarla con noi. L'avvicino alla macchina fotografica e poi chiudo lo sportello definitivamente. Usciamo finalmente dall'automobile e ci avviamo spedite verso l'ingresso. Ho ancora gli occhiali sul naso così da potermi nascondere ancora un po'.
Infilo la giacca e sollevo il cappuccio sul capo, camminando a testa bassa. "Mi spiace che tu debba fare shopping con me in queste condizioni" dico, amareggiata. E le dico la verità.
Lei scuote le spalle mentre varchiamo le porte in vetro. Solleva a sua volta il cappuccio della sua giacca. "Così non sei l'unica" dice e le sorrido, riconoscente.

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