Chapter twenty two

530 25 0
                                    

"Firmi qui, per favore" dice il dottor Tomlinson porgendo i documenti prima a Jennifer e poi a me. Mia sorella impugna la penna con la mano e firma immediatamente, poi mi passa i fogli e mi appoggio sul comodino per apportare la mia firma. Mentre termino di scrivere il mio nome, Jennifer si mette in piedi, infilando la giacca morbida sulle spalle. I capelli corti le arrivano appena sotto il mento e il colorito della sua pelle ha finalmente assunto una sfumatura molto più salutare. E' leggermente dimagrita, però sono felice che stia finalmente bene e in piedi. Porgo i fogli a Louis e ci sorride, stringendosi la cartelletta al petto. "Bene" dice, sorridendoci. Jennifer si mette al mio fianco, mantenendo con una mano la sua borsa. "Allora, signorina Lawrence senior" continua, e alzo gli occhi al cielo, "la medicazione va fatta necessariamente ogni giorno, se non ce la fa, può farsi aiutare da qualcuno. Inoltre, la deve compiere per almeno un'altra settimana e mezza, chiaro? Poi torni qui e vediamo come procede, magari potremmo persino toglierle i punti." Mia sorella annuisce e gli prende la mano, stringendogliela.
"Grazie infinite, dottore, per avermi salvato."
Louis sorride con un angolo delle labbra e i suoi occhi azzurri brillano. Ricambia la stretta di Jennifer. "Non c'è di che." Guarda me e si lecca impercettibilmente il labbro inferiore. "Badi a sua sorella" dice, porgendomi poi la mano una volta sciolta la presa con Jennifer. Gliela stringo.
"Non mancherò dal farlo."
Dopodiché prendo la borsa dalla mano di mia sorella e ci dirigiamo verso l'uscita dell'ospedale. Jennifer saluta i dottori che ultimamente si sono presi cura di lei, sorridendo e ringranziandoli profumatamente. Quando varchiamo le porte scorrevoli, notiamo Peter parcheggiato al bordo della pista. Jennifer mi sfila la borsa di mano e se la accosta al volto, passando davanti tutti i paparazzi appostati appena dietro degli enormi uomini vestiti in nero. I fotografi impazzisco e cercano di passare intorno alle guardie per carpirci informazioni, ma sia io, sia mia sorella passiamo rapidamente, infilandoci nella macchina. Peter si gira con le mani ancorate saldamente al volante. "Sono profondamente felice di rivederla, Jennifer."
Mia sorella si sporge leggermente verso di lui e gli passa la mano sulla guancia. "Anche io sono felice di essere uscita" risponde, dopodiché le faccio posare le spalle sullo schienale del sedile imbottito.
"Non devi piegarti."
"Tranquilla" fa mia sorella, poggiando la borsa al suo fianco e tirando fuori il telefono. "Ho già testato che i punti non si strappano, solo i cerotti mi tirano un po' la pelle, ma posso conviverci benissimo. Una delle tante raccomandazioni di Tomlinson è stata quella di indossare pantaloni e magliette morbide per non creare attrito con la medicazione" mi risponde, digitando numeri di telefono. Per tutto il tragitto di ritorno a casa parla a telefono sia con mia madre, sia con mio padre, sia con Josh che forse è stato uno dei tanti suoi amici che è venuto a trovarla assiduamente ogni giorno. Quando ripone il telefono nella borsa, siamo quasi vicino a casa nostra. "Che bello ripercorrere questa strada dopo un tempo che mi è parso infinito. Nell'ospedale ho perso la cognizione di qualsiasi cosa mi stesse capitando attorno, persino le riprese del tuo film e l'incontro con i produttori di Chicago."
Abbasso lo sguardo, ingoiando a vuoto. "Ti hanno tolto l'incarico?"
Jennifer annuisce. "D'altronde non avrei potuto fare niente con questi punti che potrebbero saltare a movimenti troppo accentuati."
"Mi dispiace."
"Non farlo" mi rimprovera, mentre Peter inizia ad accostarsi al marciapiede di fronte casa nostra. Purtroppo per noi, ci sono tantissimi paparazzi appostati appena sotto il cancello. Peter sbuffa ed esce dalla macchina, cercando di crearci spazio. Jennifer chiude la cerniera della borsa. "Tanto riuscirò a trovare molti altri incarichi. Piuttosto tu dovresti andare in azienda a terminare il tuo."
Controllo l'orario sul cruscotto della macchina e ho mezz'ora prima di andare in ufficio. Quando si è creato uno spazio sufficiente per passare, Jennifer apre la portiera e Peter la fa entrare immediatamente in casa, scansando paparazzi prepotenti, ma a me non va bene come è andata a mia sorella, perché vengo completamente circondata da telecamere puntate sul mio viso.
Le domande si accavallano le une sulle altre e faccio una selezione di quelle a cui darò una risposta. "Mia sorella sta bene e si rimetterà presto."
"Girano tantissime voci su quello che è successo, possiamo sapere qualcosa di certo da te, Jessica?" chiede un uomo con i capelli colmi di gel sulla fronte. Mi punta il microfono alle labbra. Mi lecco le mie e cerco di sorridergli.
"Non spetta a me dirlo, sarà mia sorella a rilasciare dichiarazioni ufficiali" rispondo, poi Peter torna da me e mi fa sorpassare il mare di paparazzi, facendomi salire le scale del patio ed entrare in casa. Mi lancia un rapido sguardo prima di chiudere la porta d'ingresso, isolandomi dai rumori provenienti dall'esterno. Jennifer è nell'atrio a braccia spalancate.
"Finalmente" dice, girando in tondo con gli occhi chiusi. Si avvicina poi al piano della cucina, vedendo tutto in ordine. Sì, stranamente ho lavato e sistemato tutto. Che ragazza responsabile. "Mi congratulo con te" fa Jennifer sorridendomi. Lascia la borsa sull'isola al centro della stanza, salendo poi al piano di sopra. La seguo a ruota, percorrendo il suo stesso tragitto. Apre tutte le stanze per controllarle, per poi fiondarsi nella sua e prendere il cuscino tra le mani. Jennifer se lo porta al viso, respirando il profumo della federa. "Sono così felice di essere tornata!" dice con la faccia ancora sepolta nel suo cuscino. Sorrido di fronte alla scena. "Anche io."
Rivela nuovamente il suo volto, aggrottando le sopracciglia. "Ma non ce l'avevo con te, ma con il mio amato compagno" dice, sedendosi e poi stendendosi sul suo letto. Muove la braccia come se stesse facendo la forma di un angelo sulla neve soffice di Dicembre.
Scoppio a ridere, controllando l'orario sulla parete. Mi avvicino alla finestra e vedo i paparazzi finalmente allontanarsi. "Devo andare" dico, lanciandole un'occhiata. Jennifer chiude gli occhi, serena. "Posso lasciarti sola, vero?"
Solleva una palpebra. "Fino a prova contraria sono più matura di te."
La guardo basita, con le braccia e le gambe aperte su tutto il materasso, e decido di non risponderle. Prima che possa richiudere la porta della sua stanza, urla: "Buon lavoro!"
"Grazie!" E torno di sotto, aprendo piano la porta e notando Peter ritornare esattamente di fronte il cancello chiuso. Lo apro e mi fiondo in macchina accanto a lui, sul posto del passeggero. "Per fortuna se ne sono andati."
"Ho fatto finta di andarmene per far loro capire che non sareste uscite più di casa."
Gli alzo il pollice mentre mi accompagna alla Horan Industry. Quando varco la soglia trasparente, c'è un mucchio di gente indaffarata e non distinguo nessuno del cast del film. Mi guardo intorno, avvicinandomi al bancone dell'accettazione. "Salve, Sylvia."
La donna solleva il suo sguardo dallo schermo del computer. "Jessica!" fa, vedendomi, "in cosa posso esserti utile?"
"Dove sono tutti?" dico, indicando la stanza con un ampio gesto del braccio. Controlla l'orario sul suo orologio da polso, per poi scuotere le spalle.
"Dovrebbero essere già tutti qui."
"Notizie da Niall?" le chiedo allora. Sylvia mi sorride e mi porge un biglietto.
"Questo è quello che mi ha dettato telefonicamente, mi ha detto di fartelo recapitare con le testuali parole."
Le sorrido, prendendo il foglietto con la mano e salutandola. Mi allontano, andandomi ad appoggiare contro la porta dell'ufficio di Jason. Apro il biglietto ed inizio a leggere.
- Non mi va di chiamare, nè scrivere messaggi perché solo aprendo il telefono le notifiche mi riempiono la memoria. Ti dico ciò per farti sapere che mi sto rompendo le palle a stare in casa senza fare niente, poltrire sempre sul divano o sul letto e comportarmi come se fossi un robot. Non vedo l'ora di tornare in ufficio. Il collare non fa altro che prudere e mi viene voglia di strappare la pelle del collo, ponendo fine alla sofferenza. Ah, appena puoi, di' a Jason di terminare la quinta scena della terza parte perché non può rimanere a metà come mi ha detto!
Sorrido, accartocciando il foglietto e infilandolo nella tasca del pantalone, proprio mentre la porta alle mie spalle viene aperta di colpo. Cado all'indietro, sbattendo rovinosamente il culo e poi la schiena contro il pavimento.
"Cazzo!" sbraito, portandomi una mano alle chiappe. Quando apro gli occhi, sollevo lo sguardo su Jason che mantiene la mano intorno alla maniglia e mi guarda dall'alto e alla rovescia. "Potevi almeno aprire la porta per bene!" dico, mettendomi piano seduta e massaggiandomi i punti colpiti. Che dolore, cazzo!
Jason scuote le spalle. "Come avrei potuto sapere che tu stessi appoggiata alla mia porta?" Lascia la presa della maniglia e si accovaccia per farmi mettere in piedi.
"Ti sei fatta male?"
"No, volevo testare la consistenza morbida del mio sedere."
Jason alza gli occhi al cielo, chiudendosi poi la porta alle spalle e facendomi uscire nella sala grande. "Dobbiamo andare a continuare la scena."
Mi guarda intorno. "Ma non c'è Harry."
Jason si immobilizza, girandomi intorno. "Come sarebbe a dire che non c'è Harry?"
Mi astengo dal dire un'altra frase sarcastica, non credo sia il caso, sebbene la voglia di farlo sia enorme. "Non c'è."
"Chiamalo, che cazzo aspetti!" urla, con la vena ben visibile sulla fronte. Alzo gli occhi al cielo. "E non fare l'esasperata con me!"
Gli do le spalle e sfilo il telefono dalla tasca. Compongo subito il numero del mio ragazzo. Credevo avrei sentito la sua voce bassa e roca come se si fosse appena svegliato, ma gli squilli del telefono si susseguono all'infinito. Forse dopo il decino la mia chiamata viene finalmente accettata e dall'altra parte del microfono mi giungono sospiri fin troppo pesanti. "Pronto?" mi risponde con voce affannosa.
"Harry?"
"Sì?"
"Che stai facendo?" chiedo con la voce ferma.
I sospiri che mi giungono all'orecchio sono molto più pronunciati. "N-niente."
"Harry, devi essere qui."
"N-non posso."
"Come non puoi?" dico, e colgo l'attenzione di Jason che si gira con sgomento.
"Non p-posso."
"Stai male?" chiedo, sentendo il suo respiro contro il microfono e la sua voce bassa.
"Sto benissimo, tranquilla. Non posso venire in a-azienda oggi."
"Harry-"
"Jessica, davvero. Stai calma."
Mi sento il sangue ribollire nelle vene. La situazione non mi va per niente a genio. "Vengo da-" Ma la mia frase non va incontro ad una fine perché cade la linea, in seguito ad un rumore abbastanza sentito. Rimango impalata con Jason che sbraita: "Ma perché l'hanno assunto!"
Ripongo impassibile il telefono nella tasca, con la bocca serrata e lo sguardo puntato su niente in particolare. Mi avvio verso l'ufficio di Jason mentre lui continua a sparlare con i collaboratori. Devo assolutamente capire dove Harry abiti perché non posso accettare una cosa del genere. Spalanco la porta, chiudendomela alle spalle. I documenti sulla scrivania sono ancora disposti in ordine come ho fatto qualche giorno fa, per cui mi siedo sulla sedia morbida e mi preoccupo di sfogliarli tutti. Inumidisco il pollice e l'indice per sfogliare i fogli senza disordinarli. Ci sono diversi copioni, corrispondenze con le altre aziende e alcuni curriculum. Prendo tutti quelli che sono presenti nella pila e li raggruppo, sbattendo leggermente il bordo dei fogli sulla scrivania per allinearli. Li sposto pian piano, leggendo i nomi in alto a destra. Zayn Malik, Robert Johonson, Hillary Clark, Harry Styles...
Che culo! Lo tiro immediatamente fuori, rimettendo gli altri sulla pila all'angolo.
Sfoglio il curriculum di Harry che, devo ammettere, non ha tantissima esperienza. Cerco di trovare l'indirizzo all'ultima pagina, quella dedicata alla vita privata. Scorro con l'indice per trovare quello che sto cercando. Solo che ci sono alcune cose che mi capitano sotto agli occhi che mi lasciano alquanto basita. Mi fermo con il dito sulla data di nascita. Dieci giugno.
Sbatto le palpebre. Sbaglio, o mi ha detto di essere nato il primo di febbraio?
Riprendo a controllare il curriculum. Dice di essere nato a Los Angeles, ma Harry mi ha detto che i suoi genitori sono a Londra. Vabbeh, non è questo il punto, si saranno sicuramente trasferiti. Finalmente riesco a trovare il suo indirizzo e so esattamente dove si trovi. Appena richiudo il curriculum di Harry, Jason apre la porta del suo studio e si ferma a guardarmi. "Cosa ci fai qui dentro?!"
Scuoto la testa, con il cuore che mi batte forte nel petto. "Niente."
Abbandono la sua postazione e mi avvio verso l'uscita, lasciandolo basito al suo posto. Quando varco le porte dell'azienda, tantissimi taxi mi passano davanti. Non posso di certo dire a Peter di venirmi a prendere adesso. Alzo una mano, fermandone uno. Do le indicazioni al tassista ed annuisce. Vuole persino essere pagato in anticipo.
Scuotendo la testa, prendo le banconote che ho in tasca e fortunatamente sono più rispetto alla somma che mi ha chiesto. Dopo avergli lasciato la mancia in mano, parte. Le gambe si muovono rapide, in trepidazione, e non riesco a non tenere a freno i pensieri. Harry era affannato, cosa mai gli è successo?
Quando giungiamo finalmente al punto indicato, scendo dal taxi. "La prego, non si muova!"
"Di certo non rimango qui se non mi paghi l'attesa!" mi dice il tassista filippino alla guida. Stringo i denti e gli do il resto dei soldi. Pezzo di merda.
Aspetta accostato al marciapiede, mentre mi avvio verso il portone d'ingresso dalla palazzina. Dall'esterno, sembra proprio appartanere ad un uomo di condizioni modeste. Suono al citofono alla voce "Styles".
Aspetto sbattendo il piede per terra ed incrociando le braccia al petto. I minuti passano e nessuno mi risponde. Non voglio che i miei dubbi siano fondati. Harry, dove sei? Perchè, soprattutto, mi sembravi occupato?
Magari qualcuno potrebbe prendermi per stupida, ma la prima cosa che faccio è prendere il telefono dalla tasca e comporre il numero di mia sorella. Sicuramente Harry non mi risponderà, se provo a rintracciarlo di nuovo. Dice che si preoccupa per lei, che vuole assicurarsi che Jennifer stia bene. Forse è questa sua frase che mi circola in mente ad istigarmi a pensare al peggio. Mentre il telefono squilla, immagino le cose più disparate. Harry non è a casa, Jennifer è appena tornata nella sua e nessuno dei due mi risponde, l'una al telefono, l'altro al citofono. La fiamma nel mio petto divampa e mi sento bruciare. Non può essere quello che penso. D'altronde, non ci sarebbe alcun fondamento...mia sorella è appena uscita dall'ospedale! Perché mai, allora, sto perdendo tempo pensandoci sopra se è praticamente impossibile? La mano mi si chiude intorno al telefono e sento l'aria uscire dal naso con più violenza, come un animale che sta per scattare dalla sua postazione.
Jennifer non risponde. Harry aveva il fiatone e ansimava.
No.
Non è minimamente possibile. Sono solo stanca e sto delirando, sarà sicuramente questo il motivo. Eppure..
Improvvisamente mi giro infuriata e tradita verso il taxi e mi infilo dentro. Mi faccio portare esattamente a casa mia. Continuo a chiamare entrambi, ma nessuno mi degna di una risposta. Sento salire nel petto un odio viscerale che mi potrebbe esattamente strappare a metà. Mentre siamo ancora per strada, il telefono mi vibra finalmente contro la coscia. Inferocita, guardo lo schermo ma non è nessuno dei due. E' Liam Payne. Cerco di calmarmi, facendo ampi sospiri. "Pronto?" dico.
"Che stai facendo?" mi chiede lui e guardo fuori dal finestrino la strada che scorre rapida sotto il mio sguardo.
"Torno a casa."
"Verresti al dipartimento?"
"Perché?"
Liam rimane in silenzio. "Abbiamo altri video e abbiamo bisogno di te, se riesci a riconoscere qualcuno della Horan Industry."
"Adesso non posso venire, devo fare una cosa prima." Smascherare forse le persone che ho più vicino, ma che sento più lontane che mai. E' un ragionamento avventato, senza un fondamento di base e dettato dal momento, ma poco m'importa.
Nella vita mi hanno detto di essere un tipo perspicace. E il sentimento che mi investe il cuore non può essere ignorato, come se mi stesse avvisando.
"Appena puoi, fammelo sapere."
"Sicuramente."
"A presto." E chiude la chiamata, mentre la strada si fa sempre più corta e casa mia sempre più vicina.


N/A
:) :) :) :)
Oops.
Cosa starà mai succedendo?

Sono pronta ad assimilare qualsiasi cosa voi mi possiate dire.

Detto ciò, preparatevi perché da questo momento in poi le cose si faranno più interessanti e, credo, contorte.

Un bacio🌻

If this was a movie|| H.SDove le storie prendono vita. Scoprilo ora