ANNI fa un esperto giramondo mi disse che la prima cosa da mettere in valigia sono dei sacchetti di plastica di varie dimensioni, e da allora non ho mai mancato di farlo. Il secondo oggetto della lista è un paio di scarpe comode, assolutamente immancabili quando si visita Londra, perché nessun'altra città al mondo è così piacevole da girare. Quel giorno, poi, il tempo era splendido ed ero dell'umore giusto per camminare. Decisi quindi di esplorare i dintorni dell'albergo situato in Grosvenor Square. Feci sosta davanti all'ambasciata americana, che occupa una superficie di 20.000 metri quadrati, e rimasi a osservare il profilo dell'imponente aquila che la domina. Secondo la guida aveva un'estensione alare di circa 10 metri, e torreggiava dall'alto a simboleggiare il mio Paese. Poco distante faceva bella mostra di sé la magnifica scultura in bronzo di Franklin Delano Roosevelt a opera di William Reid Dick che ammirai per qualche minuto prima di proseguire in direzione sud, verso il famoso Hyde Park Corner , ed entrare al Four Seasons per un leggero spuntino. Arrivai fino in Berkley Square, dove abitano alcune fra le più abbienti famiglie londinesi, e infine decisi di tornare in albergo, per riposarmi un po'. La sera prima avevo chiesto al mio editore di consigliarmi qualche spettacolo teatrale che valesse la pena di vedere e Tom mi aveva suggerito la nuova messa in scena di Casa di bambola di Ibsen, ambientata nell'Inghilterra edoardiana anziché in Norvegia. Aveva aggiunto che quest'adattamento assumeva un significato politico particolare, per via dei recenti scandali in cui erano rimasti coinvolti alcuni membri del parlamento inglese, accusati di aver gonfiato il conto spese. Stavo per chiamare la reception per chiedere se ci fossero ancora biglietti disponibili, quando squillò il telefono. Era George.

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«Brutte notizie, Jessica. Devo recarmi fuori città per seguire una possibile pista sul furto del diamante. Temo che dovremo cancellare la cena di domani, mi dispiace.» «Oh, che peccato, George, ma non preoccuparti. Piuttosto si tratta di una pista promettente?» «Difficile a dirsi, ma ovviamente a questo punto delle indagini non bisogna lasciare niente di intentato, promettente o no.» «Certo capisco. Quando pensi di essere di ritorno?» «Non lo so, spero prima della tua partenza. Sabato, hai detto?» «Sì, sabato mattina.» «Farò del mio meglio per vederti ancora.» «Ne sono certa e... mi raccomando, fa' attenzione.» «Anche tu, Jessica.» Un istante dopo squillò di nuovo il telefono. «Parlo con la famosa Jessica Fletcher?» Riconobbi immediatamente la voce di Michael Haggerty. «Ciao, Michael.» «Sapevi che avrei chiamato?» «No, ma hai un timbro inconfondibile.» «Devo impegnarmi di più per contraffarlo, magari potrei assumere un accento del Maine, come il tuo.» «Non so perché, ma non ti ci vedo proprio. In ogni caso, qual è il motivo della tua chiamata, Michael?» «Perché questo tono così distaccato e indagatore, Jessica? A me ha fatto piacere rivederti ieri sera.» «Scusami, non volevo sembrare scortese. Sono appena tornata da un lungo giro e...» «Lo so, lo so, ti fanno male i piedi.» «Ecco a dire il vero, sì.» Mi guardai bene dal confessargli che il mio tono dipendeva in gran parte dalla delusione di non poter vedere George. «Immergili in acqua fredda e sarai di nuovo in forma.» «Come, scusa?» «È la ricetta di mamma Haggerty per i piedi doloranti. Senti, vorrei incontrarti mentre sei a Londra. Hai da fare questa sera?» «Ecco, io... pensavo di andare a teatro.» «A vedere un musical?» «A dire il vero...»

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«Se vuoi lo spettacolo, vieni a The Ivy.» Si riferiva al leggendario ristorante di Covent Garden che deve la sua fama soprattutto alle celebrità che lo frequentano. «Vedremo personaggi famosi, anche se purtroppo non potrai provarlo agli amici, proseguì Michael. «È proibito scattare foto. I frequentatori devono proteggersi dai paparazzi, ma c'è sempre un gran movimento. Che ne dici se ceniamo lì insieme stasera?» Scoppiai a ridere. In quel ristorante bisognava prenotare con settimane, se non mesi, di anticipo. A sentire Michael, sembrava ci si potesse semplicemente presentare all'entrata e avere il tavolo migliore. Gli esposi le mie perplessità. «Non preoccuparti, Jessica, sono un membro del Club. A teatro ci puoi andare qualunque sera, ma un invito come questo capita raramente.» S'interruppe per intonare un motivetto romantico. Sospirai. «Dicono che un tavolo a The Ivy è il mobile più ricercato in tutta Londra e il pudding al caramello con gelato alla vaniglia è divino, da urlo.» «Sì, Michael, ti sei spiegato a sufficienza.» Tornò serio. «Jessica è molto importante che ti veda. Devo chiederti un favore.» «E sarebbe?» «Non per telefono», replicò abbassando la voce. «Michael, io...» «Ti vengo a prendere alle nove, va bene? So che è tardi, ma non succede niente d'interessante lì prima di quell'ora. Naturalmente sei mia ospite. Pensa a tutta la gente famosa che vedrai pavoneggiarsi in abiti all'ultima moda.» «D'accordo», esclamai ridendo. «Perfetto. Sarà uno sballo.» «Uno sballo?» «Sì, uno sballo, una serata divertentissima. Sei un po' arrugginita sui modi di dire. Sii puntuale alle nove. Bye!»

I gioielli della reginaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora