«HA sentito di quel diamante che hanno rubato a Londra?» Maniram Chatterjee mi fissava con aria interrogativa, mentre facevamo colazione nel locale di Mara sul molo. Lui e sua moglie Hita erano arrivati a Cabot Cove da Detroit, dove gestivano con successo una gioielleria. Un loro cugino, che si era trasferito qualche anno prima, li aveva convinti a sperimentare di persona i piaceri della vita di provincia. Perciò avevano venduto il negozio di Detroit e ne avevano aperto uno qui, unendosi alla piccola ma crescente comunità indiana della zona. «Sì, certo», risposi. «Ne ha parlato ogni giornale radio e la notizia è apparsa anche sulle prime pagine del Boston Globe e del New York Times.» Maniram si sporse in avanti. «Quella pietra è originaria del mio Paese. Si chiama Cuore d'India. Solo alle gemme più preziose viene dato un nome. Questa in particolare veniva dalla miniera di Kollur , nel regno di Golconda. Molti diamanti famosi provengono da lì.» «Quindi sapeva della sua esistenza anche prima che venisse rubato?» L 'uomo annuì. «Ho avuto anche la fortuna di vederlo, una volta. La mia famiglia lavora con i gioielli da generazioni, eppure non si è mai imbattuta in una sfumatura di colore simile e in una pietra di tale pregio e grandezza. È veramente raro.» «Sette carati?» domandai. «Un po' di più», disse Maniram. «Ho letto che che il suo valore si aggira sui dieci milioni di dollari», affermai. «Così era stato valutato prima del furto.» Secondo la stampa, il diamante a forma di cuore era stato rubato nella casa di un ricco magnate londinese, che, sfortunatamente per
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lui, aveva perso molto più della gemma, dato che era rimasto ucciso durante la rapina. L 'articolo del Globe riferiva che delle indagini si occupava non solo Scotland Yard, ma anche l'Interpol, perché sembrava che i colpevoli facessero parte di una rete internazionale di ladri che operava da circa sei anni con grande successo. Il Times sottolineava inoltre che le autorità sospettavano da tempo che la vittima, Walter Soon Yang, finanziasse organizzazioni terroristiche in tutto il mondo, benché non ci fossero prove concrete del suo coinvolgimento. «Sai che bell'anello se ne ricaverebbe, Maniram», esclamò Mara sollevando il bricco del caffè in direzione del dottor Hazlitt, che era appena entrato e si stava dirigendo al nostro tavolo. «Decaffeinato per me, per favore», ordinò Seth. Maniram sorrise con aria furba. «Oh, sì, sarebbe davvero un magnifico anello, Mara. Ma si dice che quella gemma sia maledetta. La leggenda narra che il suo proprietario avrà grande felicità o enorme sventura, però non saprà quale dei due destini lo attende finché la pietra non sarà nelle sue mani.» «Come il diamante Hope», intervenne Seth. «Anche di quello si mormorava che portasse sfortuna ai suoi possessori.» «Esatto», esclamò Maniram. «E il Cuore d'India è stato ricavato proprio da quella pietra.» «Vuol dire che in origine il diamante Hope era persino più grande?» «Sì, sì. Quando fu rubato dalla miniera di Kollur nel diciassettesimo secolo, era più di centododici carati. Si diceva che l'avesse preso un mercante francese, tal Jean-Baptiste Tavernier , e per anni è stato conosciuto come il 'Blu di Francia'.» «Perché è stato tagliato?» chiesi. «Tavernier l'aveva venduto a Luigi XIV», rispose Maniram, «che lo fece lavorare a forma di cuore per regalarlo alla sua favorita. Poi, dopo aver attraversato indenne la Rivoluzione francese e altre vicissitudini, ormai ampiamente ridotto nelle dimensioni e lasciando una scia di morte dietro di sé, fu acquistato da un gioielliere newyorkese che lo donò allo Smithsonian Institute. Dunque della pietra originaria sono rimasti il diamante Hope e il Cuore d'India, dello stesso colore e con una maledizione simile. Ce n'era un terzo, mi pare, di proprietà dell'Imperatrice di Russia. Non so se avesse un nome.» «Doveva trattarsi di una pietra enorme», osservò Seth. «Quanti
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carati ha il diamante Hope?» «Quarantacinque.» «Troppo grande per il mio dito», considerai sorridendo. «È al Museo di Storia Naturale allo Smithsonian», proseguì Maniram, «ma se fosse sul mercato oggi, varrebbe più di trecento milioni.» «Non sarò così venale», esclamò Mara avvicinandosi con il decaffeinato e porgendo il menu a Seth. «Mi accontenterei di un anello da dieci milioni, per il mio compleanno.» «Vedrò che cosa posso fare», ribattei porgendole la tazza perché la riempisse. «Sua figlia sta meglio?» domandò Seth a Maniram, riferendosi alla primogenita. «Oh, molto meglio, grazie, ed è merito suo, dottore. La zuppa di pollo è stata miracolosa.» «La zuppa di pollo non fallisce mai», dichiarò Seth con aria compiaciuta. Chiuse il menu e lo restituì a Mara. «Prendo il solito.» Lei si allontanò per preparargli i suoi famosi pancake ai mirtilli, che erano diventati una leggenda, almeno a Cabot Cove e dintorni. «Stavamo parlando del furto di quel diamante a Londra, durante il quale il proprietario è rimasto ucciso.» «Sì, l'ho immaginato. Sono certo che raccoglierai un sacco di voci di corridoio, quando sarai sul posto. Immagino che il tuo amico ispettore Sutherland ti aggiornerà su tutto.» «Non ci avevo neanche pensato», ribattei. «Ma hai ragione. Sicuramente sarà coinvolto nelle indagini.» «Quando vai?» chiese Seth. «Fra una settimana.» «Avevo sentito che era in partenza, signora Fletcher», intervenne Maniram. «Ah, sì? Chi glielo ha detto?» «Mia moglie. Dice che viaggerà sulla Queen Mary 2. Ne parlavano in panetteria la settimana scorsa.» «Non ci sono segreti a Cabot Cove», commentò Seth allegramente. «Le voci girano in fretta», osservai scuotendo il capo. «È vero, vado in aereo a Londra e trascorrerò qualche giorno con degli amici, prima di imbarcarmi per una settimana sulla Queen Mary 2 e tornare a casa attraversando l'Atlantico. Non vedo l'ora.»
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Anni prima mi ero molto divertita a solcare l'oceano, quando ero stata invitata a tenere delle conferenze sulla Queen Elizabeth 2, ed era tanto che volevo ripetere l'esperienza della traversata, come puntualizza il personale di bordo. Sfortunatamente la Queen Elizabeth 2 era andata in pensione, e sarebbe stata trasformata fra breve in albergo galleggiante in qualche Paese del Medio Oriente. Questo aveva messo fine ai miei progetti. Ma ecco che era stata varata la Queen Mary 2, o QM2 com'era familiarmente soprannominata, e nuovamente mi avevano invitata a tenere alcune conferenze sul genere poliziesco, sui miei romanzi e sul futuro dell'editoria. Non avevo sentito altro che lodi sperticate sul magnifico transatlantico e, per quanto gli impegni di lavoro rendessero difficile ritagliarmi un'intera settimana, avevo deciso che era un'opportunità troppo ghiotta per lasciarmela sfuggire. Mi avrebbe dato la possibilità di passare del tempo con gli amici a Londra prima di ritornare a casa, imbarcandomi a Southampton. Con l'aiuto della mia agente di viaggi, Susan Shevlin, la moglie del sindaco di Cabot Cove, avevo prenotato il volo, nonché un albergo in quella meravigliosa città, che è una delle mie preferite. Un sorriso furtivo attraversò il volto di Seth, mentre Mara gli serviva la colazione. «Hai l'aria divertita», osservai. «Mi è colato il mascara, per caso?» «No, no, niente a che vedere con il trucco. Stavo solo immaginandoti tutta sola su quella nave per sei giorni. L 'atmosfera perfetta per una romantica avventura a bordo.» «Oh, Seth, non dire sciocchezze. Sai bene che non esiste neanche la più remota possibilità che questo avvenga.» «Be', era solo un'idea.» «Lo ignori», dissi rivolta a Maniram. «Mi sta prendendo in giro.» Lui sogghignò. «Sì, ormai ho imparato a conoscerlo. Al dottore piace sempre scherzare.» «Quant'è vero!» Seth grugnì e rivolse la sua attenzione ai pancake, che aveva cosparsi abbondantemente di sciroppo. «Sono contento di averla vista prima della partenza», proseguì Maniram. «Ah, sì? E perché?» «Hita voleva che le parlassi di nostro cugino Rupesh, che è stato da
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poco assunto sulla QM2 come assistente di cabina. L 'ha scritto a sua madre, sul retro di una cartolina. Rupesh è... come posso dire... ecco, un tipo singolare. Negli ultimi anni ha girato il mondo, lavorando in ogni settore: computer , ristorazione, turismo, insegnamento. Ha persino fatto l'istruttore di karate in India. Un modo davvero strano di mettere a frutto la laurea.» Scoppiai a ridere. «Un vulcano di uomo.» «Oh, sì, senza dubbio. Volevamo dirle che era a bordo, nel caso vi incontraste. Gli porti i saluti miei e di Hita e gli dica di chiamare sua madre a Delhi. Le cartoline vanno bene, ma le farebbe piacere sentire la voce del figlio, di tanto in tanto. Tenersi in contatto con la famiglia non è il suo forte e mia zia si preoccupa.» «Lo saluterò senz'altro se ne avrò l'occasione, e lo sgriderò per non aver chiamato sua madre.» «Oh, non sia troppo severa con lui, Jessica. È uno spirito libero, un ragazzo molto affascinante. Il suo nome significa 'dio di bellezza'.» «Che nome altisonante.» Maniram rise. «Tutti i nomi indiani sono così. Il mio vuol dire 'persona d'oro'.» «A quanto pare era destinato al lavoro che svolge», osservò Seth. «Forse. Hita significa 'deliziosa' ed è una traduzione quanto mai veritiera nel caso di mia moglie.» «Be'», intervenni, «suo cugino sarà anche un dio di bellezza, ma ciò non toglie che deve chiamare sua madre ogni tanto. Glielo ricorderò con gentilezza, sempre che lo incontri.» «Fantastico. Grazie mille e shubh yatra. Vuol dire 'buon viaggio'.» «Sì, mi associo», esclamò Seth infilzando con la forchetta l'ultimo boccone di pancake. «E cerca di non cadere in acqua.»