«ANCORA grazie infinite per essere venuti. Spero di rivedervi domani, stessa ora, stesso... planetario.» Sentii qualche risatina. «Fra pochi minuti sarò nella libreria della nave, sul Ponte Otto, per firmare le copie del mio ultimo libro. Si trova sul davanti della nave o, per meglio dire, a prua. Buona giornata a tutti!» La conferenza era stata un successo. C'erano almeno trecento persone ed erano rimaste attente fino alla fine, facendomi un sacco di domande. Restai altri dieci minuti a stringere la mano di quelle che si erano avvicinate a salutarmi e poi mi avviai, scortata dal direttore degli eventi mondani, verso la libreria, dove era già in attesa una lunga fila di gente con il mio libro in mano. La conferenza aveva distolto la mia mente dal biglietto ricevuto quella mattina. Ma talvolta il pensiero mi si era intrufolato nella coscienza, mentre parlavo, e tornava di tanto in tanto mentre salutavo gli acquirenti dei libri e firmavo la loro copia, compito che mi tenne occupata per quasi un'ora. Fui sollevata quando arrivai all'ultima persona della fila. Adoro incontrare i lettori e scoprire qualcosa di personale su di loro, ma è anche molto stancante. La curiosità uccise il gatto! Chi poteva avermi mandato quel messaggio? Che si trattasse di uno scherzo? O aveva a che fare con il furto del diamante, l'omicidio del proprietario e i terroristi? Il signor Kim mi aveva chiesto se avevo intenzione di scrivere un libro su quella tragedia e aveva espresso sollievo quando gli avevo risposto di no. Che volesse rimarcare il suo punto di vista con quel messaggio? No, non poteva essere, Kim era una persona diretta. Però, poteva avere espresso le sue preoccupazioni a Betty e lei aver deciso di mettermi in guardia? No, lo escludevo. Non ero andata in giro a fare domande e non avevo fatto nulla di lontanamente invadente. Nessuno
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sapeva chi fosse in realtà Wendell Jones e in ogni caso, nessuno sapeva che io sapevo. Che non fossi io la destinataria del messaggio? Magari era diretto a Kim. Ma no, certo, c'era il mio nome sulla busta. Kim e i suoi soci (ma era evidente che si trattava di guardie del corpo) erano già a pranzo quando arrivai. Anche Haggerty era lì, mentre vidi con piacere che i Kensington, seduti a un tavolo per due, chiacchieravano amabilmente. Michael aveva ragione, la coppia di sposini non doveva aver gradito particolarmente di essere stata assegnata a un tavolo di passeggeri più attempati. Il cambiamento avrebbe di sicuro giovato a tutti. Rimasi delusa di non trovare Harry Flynn. Mi ero affezionata a quel signore e adoravo i suoi racconti di mare. Era l'epitome del perfetto gentiluomo, educato e gentile, e in molte cose ricordava il mio defunto marito Frank, che possedeva le stesse qualità. Inoltre la sua presenza avrebbe impedito a Michael di mettermi sotto torchio perché spiassi Kim. «Be', direi che è andata splendidamente stamani, non trovi?» esclamò lui mentre prendevo posto. «Sì, direi di sì. Non ti ho visto. C'eri anche tu?» «Ma certo. Te l'avevo detto che sarei venuto. Eri circondata da così tanti ammiratori, che non ti sei accorta di me. Devo ricordarmi di farti firmare una copia del libro, prima dell'arrivo a New York. Me lo firmerai, vero?» «Naturalmente», risposi consultando il menu. «Ho incontrato Harry mentre venivo qui», mi informò Michael. «Stava andando sul ponte di comando. A quanto pare l'ha invitato il capitano.» «Sono contenta per lui. Forse sono vecchi amici. Immagino che i lupi di mare si conoscano tutti, perlomeno di nome, come succede ai capitani d'industria.» «O agli scrittori di gialli, giusto?» «Sì, è vero. Conosco molti autori personalmente e altrettanti di nome o per aver letto le loro opere. È valido anche per le spie?» Michael mi lanciò un'occhiataccia e si guardò alle spalle. «Ssh! Il tavolo potrebbe avere una cimice. Vedi questa saliera? Potrebbe contenere il nuovo congegno a microcristalli indistinguibile dal sale da tavola.» «Ragione di più per non salare quel che mangio», replicai.
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A un certo punto mi accorsi di avere in tasca il biglietto ricevuto al mattino e mi domandai se mostrarlo o no a Michael. Che cosa avrebbe potuto dirmi? Si trattava di un messaggio piuttosto innocuo, al momento. Dopo mezz'ora di chiacchiere e punzecchiature varie, specialità in cui eccelle, decisi di farglielo vedere. «Mi è stato recapitato stamani», dissi con noncuranza tirando fuori il biglietto. Lui mi fissò perplesso dopo averlo letto, voltò il foglio varie volte e lasciò scorrere le dita sulla scritta. Finita l'accurata indagine, me lo riconsegnò con un'alzata di spalle. «Qualche suggerimento?» chiesi. «Non riesco a immaginare chi possa avertelo mandato, Jessica, a meno che non si tratti di uno degli innumerevoli ammiratori che hai a bordo. La tua foto era sulla brochure del programma di oggi e, dopo la conferenza, il numero di fan sarà aumentato a dismisura.» «Ma l'ho ricevuto prima.» «Non mi preoccuperei, se fossi in te.» Decisi che aveva ragione. Gli appassionati di gialli avrebbero anche potuto pensare che fosse spiritoso farmi avere un biglietto anonimo. Una volta l'avevano immaginato anche i miei amici di Cabot Cove e mi avevano inviato delle lettere anonime con caratteri ritagliati dalle riviste, ma, una volta scoperto lo scherzo, avevo messo subito in chiaro che non lo ritenevo affatto divertente. Se avessi potuto parlare con l'autore, lo avrei informato che non gradivo ricevere certe sciocchezze, anche se inviate in buona fede. Mentre stavamo finendo di pranzare, Kim si avvicinò al nostro tavolo. «Che ne direbbe di una partita a bridge più tardi? Il tempo lascia a desiderare, quindi è il momento ideale per allenare le cellule grigie. Ma la avverto: io gioco per vincere.» «Sono secoli che non gioco a bridge», risposi. «Amo di più gli scacchi.» «Ma è come andare in bicicletta», intervenne Michael. «Una volta imparato non si scorda più.» «E lei, signor Jones, vuole unirsi a noi?» chiese Kim. «No, grazie. Il bridge non fa per me. Non riesco a farmi entrare in testa le regole. Sono certo che troverete facilmente altri due compagni per giocare.» Batté amichevolmente sulla spalla di Kim. «Non creda
