MENTRE mi cambiavo per la cena, continuavo a rimuginare sull'incontro con Dennis, che sollevava molti interrogativi. Il fatto che fosse rimasto sorpreso che sulla nave potesse esserci qualcuno della compagnia britannica Kensington non mi quadrava. Lavorava per la sua associata, in fin dei conti. Avrebbero dovuto collaborare a stretto contatto per localizzare il diamante sparito ed evitare di rimborsare il beneficiario della polizza, ossia Kim Chin-Hwa, il socio sopravvissuto. E se non stavano cooperando, come mai? E cosa c'era dietro all'improvviso entusiasmo di Dennis per il mio invito a cena? Solo dopo che avevo fatto cenno ai commensali aveva cambiato idea e accettato. Quale nome aveva determinato un voltafaccia così repentino? Mi ero quasi dimenticata della giovane coppia che aveva cenato con noi la prima sera. A parte quando li avevo sorpresi a scherzare sul ponte o a mangiare a un tavolo per due, non avevo più ripensato a Richard Kensington e a sua moglie Marcia. Ma avevano lo stesso cognome della compagnia assicurativa del Cuore d'India. Naturalmente poteva trattarsi di una coincidenza. Probabilmente Kensington era un cognome piuttosto comune in Gran Bretagna. Ma questo non escludeva che ci fosse ben altro sotto. Che legame c'era fra il giovane ombroso e la compagnia assicuratrice del Cuore d'India? Era troppo facile scartare la possibilità che la sua presenza a bordo fosse collegata al furto del diamante. I due giovani erano davvero in luna di miele? Non avevo motivo di dubitarne, ma mi ripromisi di approfondire la faccenda, alla prima occasione. Quando uscii dalla cabina, in un lungo abito nero con il corpetto di perline, trovai Rupesh nel corridoio. «Buonasera signora», mi salutò il giovane. «Vedo che sta andando a cena.»
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«Buonasera, Rupesh. Vedo che lavora fino a tardi.» «Proprio così, signora. È il compito di ogni assistente di cabina.» «Spero che abbia trovato il tempo di sentire sua madre.» «Oh, signora, l'ho fatto. Le ho scritto, dicendole di aver incontrato sulla nave una deliziosa signora che viveva nella stessa città di Maniram, la quale mi aveva esortato a mettermi in contatto con lei.» «Bene», risposi ridendo. «Spero che sia solo la prima di una lunga serie.» Mentre mi allontanavo diretta al Princess Grill, riflettei su Rupesh. Era un ottimo steward, naturalmente, ma mi domandavo come mai avesse scelto quel lavoro. Secondo suo cugino, si era laureato al college, era esperto di computer e fra le altre cose aveva anche insegnato. È pur vero che a sentire Maniram, Rupesh era uno spirito libero, un amante dell'avventura che non aveva voglia di fare troppo a lungo lo stesso lavoro. Ci sono persone che non riescono ad adattarsi alla classica routine dalle nove alle cinque e hanno bisogno di continui cambiamenti o non sopportano di avere un capo, oppure semplicemente vogliono rendersi conto di come gira il mondo. Farsi assumere sulla Queen Mary 2 aveva probabilmente consentito a Rupesh di appagare la passione per i viaggi ed era un'occasione per mettere da parte un po' di soldi. Lo ammiravo per questo. A mio parere troppi giovani non riescono ad approfittare dell'opportunità di conoscere nuove culture e ampliare i loro orizzonti quando sono ancora liberi dalle responsabilità famigliari. Con ogni probabilità Rupesh avrebbe tenuto fede agli impegni del contratto per poi passare all'avventura successiva, un'altra esperienza rivitalizzante. Uscendo dall'ascensore incontrai Dennis e ci avviammo insieme nella lounge, dove trovammo Harry Flynn, Michael Haggerty, Jennifer Kahn e Kiki Largent riuniti al bar . Mi guardai attorno in cerca del signor Kim e del suo gruppo, ma non erano ancora arrivati, oppure avevano già bevuto l'aperitivo e si erano spostati in sala da pranzo. Feci le presentazioni e mi congratulai con me stessa per essere riuscita a presentare Dennis Stanton come William MacForester all'antiquario Wendell Jones, senza impappinarmi. «Sono molto contento che si aggiunga un altro ospite alla nostra tavola», esclamò Harry, che indossava una giacca bianca da smoking a doppiopetto, e una camicia celeste con papillon e fascia blu scuro decorati da minuscole stelline. Spiccava sugli altri uomini che
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indossavano smoking neri e accessori più conservatori. Anche Jennifer era straordinaria, avvolta in un abito d'alta moda di satin rosa, con le dita e il collo adorni di splendidi gioielli. L 'uniforme nera di Kiki era identica a quella della sera prima, ma aveva sostituito la collana di conchiglie con un girocollo d'oro e un paio di orecchini, sempre d'oro, a forma di pesce. Il mio abbigliamento era una via di mezzo fra quello di Jennifer e quello di Kiki e i miei gioielli, per quanto a me cari, non erano abbastanza vistosi da attirare l'attenzione. «Abbiamo iniziato a festeggiare senza di voi», esclamò Jennifer . «Dovrete rimettervi in pari.» Accettai l'offerta di Harry di un cocktail a base di frutta. «Una spilla davvero incredibile», osservò Dennis rivolto a Jennifer , chinandosi a tal punto per guardarla, che il suo naso si ritrovò a poca distanza dal décolleté della ragazza. «È una delle creazioni che amo di più», rispose Jennifer . Era una spilla di diamanti a forma di testa di gatto con gli occhi gialli. «Gli occhi sono una varietà di crisoberillo, il cimofane, detto volgarmente occhio di gatto», proseguì sorridendo a Dennis. «Mi ha divertito l'idea di usare un materiale chiamato 'occhi di gatto' per fare gli occhi del gatto. È divertente, non trovate?» «Oh, sì», ribatté lui sfiorandole i lunghi orecchini. «Jennifer disegna tutti i suoi gioielli», puntualizzò Michael seccato. «Un vero talento, ed è anche bellissima», mormorò Dennis senza staccarle gli occhi di dosso. «Da dove viene? Mi verrebbe da dire da qualche parte sulla West Coast.» «Come ha fatto a capirlo?» replicò lei chiaramente affascinata. «La mia famiglia si è trasferita a San Francisco quando avevo dieci anni, ma adesso vivo a Londra.» «I miei posti preferiti», disse Dennis. «Adoro le città affacciate su una baia.» E così dicendo accennò l'aria del grande successo di Tony Bennett, I left my heart in San Francisco. Haggerty che sedeva accanto a Jennifer, fissò attentamente Stanton, sempre più irritato. «Da quanto vive a Londra?» domandai a Jennifer. «Oh, da tanti anni», rispose lei con un leggero accento britannico, che non avevo notato prima. «Sto cominciando a parlare come un vecchio cockney.» «Non direi proprio che il termine si adatti a questa deliziosa signora», intervenne Harry Flynn. «Sapete da dove viene