21. Chiara

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Guardai il mare avvicinarsi, ero così eccitata all'idea di ritornare a casa ed anche se una piccola parte di me mi diceva di non illudermi troppo già immaginavo il momento in cui avrei potuto riabbracciare mia mamma.

Anche se il buio rendeva le cose difficili i miei occhi cercavano di scrutare il mare, man mano che ci avvicinavamo mi sembrava di vedere l'incresparsi delle onde, di sentire il rumore dell'acqua conto gli scogli o l'odore pungente di quella distesa infinita.

Cominciai a ricordare con nostalgia quando mi mettevo nella verandina di casa mia a fumare una sigaretta, cullata dall'odore del fumo e della salsedine, maledicendo l'umidità che si posava sulla pelle mentre ora non vedo l'ora di risentire quell'appiccicosa patina sulla mia faccia, o le urla sgradevoli di mia madre che fino a qualche mese prima odiavo più di qualsiasi altra cosa al mondo.

Guardai Andrea dormire accanto a me, le deboli luci del pullman rendevano la sua carnagione ancora più pallida, se non avessi visto il suo petto fare su e giù probabilmente avrei pensato che fosse morto.

Mi fece male il petto. Guardai quella maglietta intrisa di sangue e costrinsi la mia mente a non pensare alla scena della sua mano mozzata, la puzza di sangue mi stava già facendo sentire male e se avessi rievocato quella scena probabilmente avrei vomitato, di nuovo.

Mia cugina, forse non l'avrei mai perdonata per ciò che stava per fare.

Avevo visto la scena senza capirne appieno il significato, la mia vista era sfocata a causa del conato che avevo avuto visto che ero stata per troppo tempo a contatto con il sangue e la luce che piano piano scemava non mi aiutava affatto, l'unica cosa che avevo visto con chiarezza era Giorgia alzare la lama allineandola al cuore di Andrea e poi Fabio intervenire spingendola a terra con forza.

La gola ancora bruciava, avevo iniziato ad urlare quando avevo capito che Andrea stava per morire ed il mio urlo era continuato quando avevo visto la sua mano ferita staccarsi dal resto del corpo e tutto quel sangue riversarsi sull'asfalto.

-''A che pensi?''

Mi girai nella direzione del mio ragazzo e vedendo i suoi occhi nocciola socchiusi e stanchi gli posai un casto bacio sulle labbra, a differenza del solito erano screpolate e fredde ma il sapore familiare della bocca che avevo baciato per tanto tempo mi tranquillizzò abbastanza da poter tornare al pensare al presente e non a quelle scene orribili che rimanevano passato anche se erano appena accadute.

-''Sono contenta di tornare a casa''

-''Non sembri poi così contenta.''

Sbuffai e mi accucciai sotto il braccio che aveva sollevato, il suo solito profumo era mischiato alla puzza di sudore e di sangue ma non mi sarei spostata per nulla al mondo, avevo rischiato di perderlo per ben due volte, prima a causa del morso di uno di quei mostri e poi a causa di mia cugina, la paura era ancora viva dentro di me e avrei passato con lui tutto il tempo che avevo a disposizione.

-''Con te in queste condizioni non posso essere al settimo cielo!''

-''E' una robetta da nulla, vedrai che passerà''

Alzai gli occhi al cielo e lui fece una smorfia di dolore quando Dalila svoltò, riconobbi la strada, eravamo finalmente giunti al mio quartiere e la marocchina spense la radio per cercare di capire cosa ci saremmo trovati davanti una volta svoltato l'angolo.

Casa mia era molto distante dalla piazza, si trovava su una collinetta in un residence privato e per raggiungerlo avremmo dovuto percorrere la zona, solitamente, più affollata del quartiere, infatti fu strano per noi sentire solo un assordante silenzio.

Dalila avanzò lentamente fino a far fermare il pullman accanto al primo dei tanti ristoranti che componevano la piazza, alla nostra destra invece potevamo vedere il largo spiazzale in pietra delimitato dalle ringhiere che ci separavano dal mare, aprii in fretta il finestrino e aspirai a pieni polmoni, quella era aria di casa.

Infection #Wattys2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora