Raph - Una passeggiata

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Quel Natale passato a Roma con Jessie era stato fantastico. Avevamo passato tutta la giornata a fare gli stupidi e a divertirci. Eravamo andati addirittura in una gelateria, con i cinque gradi che c'erano quel giorno. Faceva così freddo, e noi eravamo vestiti così leggeri, che non potemmo fare a meno di andare a fare un giro nei negozi di vestiti.

-Che ne dici di queste?- mi aveva chiesto lui, spuntando da dietro uno scaffale con due sciarpe, una di colore giallo chiaro e una azzurrina chiarissima.

-Penso che sono perfette- gli risposi, strappandogli la sciarpa gialla da mano. -Questo è il mio colore preferito.

-E questo il mio- mi risponde lui, agitando la sua sciarpa. Ridiamo.

Eravamo tornati tardissimo quel giorno. Alle cinque di mattina eravamo già a casa, ma non era un problema, tanto i nostri genitori erano fuori. Restammo svegli a scriverci ancora per un po' prima di addormentarci.

Anche il mio secondo anno (il terzo di Jessie) al liceo trascorreva velocemente. Alla fine dell'anno presi anche la prima cintura di aikido, e lui mi aveva aiutato molto in questo. Quell'estate ci eravamo incontrati di tanto in tanto, per fare una passeggiata, o per prendere un gelato, fino a quando non tornò settembre.

Dovevo iniziare il terzo quell'anno, ma non mi sentivo assolutamente pronto ad affrontarlo. Tutti mi dicevano che era l'anno più difficile, tutti... tranne Jessie. Lui diceva: -Il terzo anno è come fare una passeggiata con te al parco.

-E cioè?- gli chiedevo io.

-E cioè una cosa complicata, piena di trappole e naturalmente fastidiosa...

Mi guardò negli occhi e sorrise. Poi iniziammo a ridere, ridere tanto, senza fermarci. -Ovviamente scherzo... è una passeggiata...

-La passeggiata con me al parco è una passeggiata, bene- gli dissi io -ma cosa significa?

-Stupido!- mi dice lui. -Dico il terzo anno, è una passeggiata!


Lui però il primo giorno non era lì al liceo. L'avevo aspettato davanti alla porta della sua classe, finché non era arrivato il professore, ma di lui non c'era neanche l'ombra. Così lo chiamai non appena uscii da scuola.

"Jessie?"

"Ehi Raphael" risponde, e starnutisce. "Sei libero?"

"Sì, sì ovviamente... dimmi pure"

"Vieni al 13 di via Mazzini" mi dice.

"Arrivo" gli dico.

Ma cosa stava succedendo? Mentre mi avviavo avevo pensato a tante cose, sperando in fondo al cuor mio che non fosse accaduto nulla di grave.

Arrivo in via Mazzini, e leggo i numeri civici, uno dopo l'altro.

1, 3... 9, 11... e il 13 si trova al di là di un passaggio pedonale. Attraverso e mi ritrovo a camminare accanto ad una scura ringhiera dietro la quale tutto è nascosto da una folta siepe.

La vita segreta di Jessie HuskDove le storie prendono vita. Scoprilo ora