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ANASTASIA'S POV

Per mia fortuna ho quest'ora e mezza di pausa per poter pranzare, oppure impazzirei. Sto lavorando l'intera giornata in modo che possa recuperare le ore perse sabato e la mattina del lunedì, siccome ero a Milano. Nel pomeriggio ci sarà pure Chiara, giusto per aumentare lo sfinimento. Finisco il mio panino e vado al parco, dopodiché chiamo una mia amica che, mio malgrado, vive nel mio vecchio quartiere al Nord.
-Pronto?
-Ciao, disturbo?
-No, come stai?
Chiacchieriamo un po' del più e del meno e finalmente le racconto di Valerio.
-No vabbè, se è così figo voglio una foto!
-Cercalo su internet, è un rapper.
-, aspetta.-Dice probabilmente facendo ciò che ho detto-Okay, l'ho trovato. Non è male.
-NON È MALE?!-Ripeto le sue ultime parole praticamente urlando e attirando gli sguardi infastiditi della gente attorno-Come puoi usare quelle tre stupide parole per descriverlo? È perfetto, è il diavolo sceso in terra!
-Il diavolo? Si dice angelo.
-Lo so, ma insomma, preferisco dire diavolo, gli angeli non provocano. Oddio, sono troppo felice! Mi chiedo come abbia fatto a restare calma con lui, sai come sono...No, sto sicuramente sognando, la mia vita non è così, io sono una sfigata.
-Una sfigata con il culo grande come una casa. Senti, devo andare, ci sentiamo ok?
Riattacco ancora agitata e mi passo le mani sul volto per tranquillizzarmi. Per distrarmi osservo un gruppo di ragazzi poco più in là: i classici bulli. Diversi però da quelli che si vedono nelle sitcom americane, non li ho mai visti appendere qualcuno per le mutande agli armadietti o cagate varie, semplicemente si credono fighi, a 13 anni già bevevano e fumavano, probabilmente qualche anno fa hanno aggiunto anche la droga. Sono sempre stata alla larga da loro, anche se in realtà non mi hanno mai presa in considerazione. Con alcuni ragazzi simili sono stata anche in classe insieme alle medie, nel paese dove vivevo prima, ma non mi hanno mai dato fastidio, ci ignoravamo, punto. Mi preoccupa molto di più l'essere biondo che dovrei definire umano che sta camminando verso di me in tutta la sua bassezza. Lui non è come quei ragazzi, è peggio. Di cazzate ne ha fatte, ma per lo meno loro non mi calcolano. Lui invece mi odia. L'ho conosciuto anni fa, si era trasferito nella mia città perché suo padre aveva trovato lavoro lì, e poco tempo fa è tornato ad abitare a Roma, luogo in cui è nato. Distolgo lo sguardo e mi alzo più in fretta possibile, non lo posso proprio sopportare. Puntualmente sento la sua vocetta irritante alle spalle pronunciare il mio nome con un tono spregevole. Chiudo gli occhi e stringo i pugni, sospiro sapendo ciò che mi attende mentre mi giro verso di lui.
-Gabriele...-Dico a denti stretti, sorridendo falsamente.
-Non sei con quello sfigatello del tuo ragazzo?-Chiede in tutta calma.
-No, non stiamo più insieme.
-Peccato, stavate benissimo secondo me, avete un sacco di cose in comune: fate entrambi schifo ad esempio.
Mi mordo il labbro guardandolo con aria di sfida, poi replico:-Farò anche schifo, ma sono sempre una spanna sopra di te. E non parlo solo di altezza.
-Io almeno non ho tutti quei...-Si blocca guardandomi, così gli sorrido strafottente:-I miei cosa? Brufoli? Quali?-Dico passandomi l'indice sulla guancia, ormai quasi del tutto liscia.
-Resti comunque una sfigata.
-Sai, per provocare di solito minaccio dicendo 'ti castro', ma tanto tu le palle non ce le hai.-Rispondo acida.
-Ah no? Strano, perché è la prima volta che riesci a fare un insulto decente.
Per mia fortuna la sveglia del telefono, che ho messo per avvertirmi dell'ora per andare al lavoro, mi salva, così mi alzo e me ne vado, lasciando lì Gabriele che continua a urlarmi che sono una vigliacca.
Durante il breve tragitto me la prendo con i poveri sassolini presenti sul marciapiede, ignari del mio nervosismo, calciando ognuno di essi il più lontano che posso con forza, nonostante non ce ne sia assolutamente bisogno. A testa bassa raggiungo il negozio e saluto Chiara con un cenno, la quale rimane notevolmente spiazzata.
-Hey, ma che hai?
-Niente.-Taglio corto io.
Per tutto il tempo evito di guardare negli occhi le persone, oltretutto facendo una pessima figura, e continuo a tamburellare le dita sul bancone.
-Ma non dovresti salutare quando arriva un cliente?
Alzo lo sguardo e istintivamente sorrido, perdendomi per un attimo nei suoi occhi marrone-verdi, poco più scuri dei miei.
-Che ci fai qui?-Chiedo interessata.
-Avrei bisogno di una maglietta...che ho trovato, tieni.-Dice il ragazzo passandomi l'indumento.
Mentre mi occupo della cassa Valerio parla con Chiara, visibilmente colta alla sprovvista non aspettandosi tale divinità. Mi sento piuttosto stupida a fare questi pensieri, ma che ci posso fare? Credo che la gente mi possa capire guardandolo. Cosa che ha fatto anche la mia collega, la quale nello stesso momento in cui risponde si sistema i capelli e si slaccia i primi bottoncini della camicia, rendendola più scollata di quanto che già sia.

Se domani ||Sercho||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora