Capitolo 33

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Stefano

"Il ricordo è una lama nell'anima
Un dolore senza pietà
Il suo nome vivrà per l'eternità
Come un segno, profondo indelebile"

Un mese, non bastava a dimenticarla. Leggevo i nostri vecchi messaggi, guardavo le nostre foto. I ricordi si susseguivano uno dietro l'altro a dirotto, e con esse, qualche lacrima fece il suo ingresso. Non ero una persona piagnucolona, ma sentivo la sua mancanza fin sotto le ossa.
La sua risata, i suoi occhi, quel suo modo di fare talvolta sicuro, talvolta incerto. Mi mancava Isabel.
Eravamo tornati a casa nostra subito dopo l'accaduto, mentre Emily era di nuovo tornata ad Amsterdam. Voleva restare ancora per occuparsi di papà, ma il lavoro non chiede pause.

<<Stefano?>> papà richiamò dal salotto. Corsi da lui e lo vidi con la bottiglia in mano, e lo sguardo verso la cucina. Voleva cibo. Eravamo tornati indietro nel tempo. Un salto avanti e dieci indietro, ritrovandoci ancor prima del punto di partenza.
"ADESSO BASTA" urlai nella mia testa e decisi, che quel ventidue settembre, sarebbe finito tutto il rumore, in quale, occupava ai miei pensieri.
Mi avviai verso di lui e gli strappai la bottiglia di mano.
<<Cosa fai?>> farfugliò, alzandosi in piedi.
"però, la forza per reagire ce l'hai e per cucinare no?"
<<Ti faccio smettere. Cazzo è schifoso per me stare qui e occuparmi di te che non riesci a reggerti dritto in piedi. Le cose sono due. O vai a trovarti un lavoro e manteniamo sta casa decentemente o vado via di qui e ti lascio senza soldi, quindi senza bere, e considerate le tue condizioni anche senza cibo. Mi hai rotto il cazzo>> spiegai con tutta la rabbia che potessi usare. Sentivo lo stomaco in subbuglio, ma non ne potevo davvero più.
I suoi occhi mi guardarono, e senza aspettarmelo iniziarono a piangere. Lacrime di sfogo che coltivava da troppo, troppo tempo.
<<Scusa Figliolo... hai ragione, si. Dobbiamo riprenderci>> farfugliò nuovamente. Non riuscivo a percepire la serietà di quelle parole, in ogni caso, optai per la fiducia. Ne aveva tanto bisogno e se non gliela davo io che ero suo figlio, chi mai gliel'avrebbe data?
<<Domani cerchiamo un lavoro>>
Annuii e abbracciai in modo goffo quella sagoma di alcol e sudore.
<<Ho fame>> sentenziò papà.
<<Fatti una doccia che cucino io>>
Amavo cucinare. Mamma, mi aveva trasmesso questa passione e potevo dire di essere anche bravo. Un bel piatto di pasta alla carbonara, non la toglieva nessuno. Apparecchiando la tavola, una ricordo venne a farmi visita.

Eravamo a casa mia. Erano le sette di sera e la cena era già pronta.
Io e Bel seduti accanto. Fuori c'era buio pesto considerato che era inverno, ma intorno a noi, tutto faceva luce. Ci completavamo a vicenda in ogni caratteristica, con amore e litigio, com'era giusto che fosse. Forse esagerato perché infondo avevo solo undici anni. Ma quando una relazione ti consuma l'anima ogni giorno, anche a quell'età riesci a capire cosa significa amare.
<<Il mio piatto preferito>> gridammo in coro, quando le due porzioni di pasta alla carbonara ci furono servite davanti.
<<No! È il mio piatto>> sosteneva lei.
<<È il mio di più>> Ribattevo io.
<<Miooo>> contrattacava lei.
<<Basta ho detto mio>> replicavo io. Avanti così per circa dieci minuti, finché mamma ci interruppe: <<Può essere il piatto preferito di entrambi>>
Da allora, condividemmo anche quello.

Versai una lacrima sulla tovaglia.
<<Uooo>> commentò papà appena vide il piatto. Successivamente si sedette di fronte a me, in quel tavolo troppo grande per noi due.
<<Delizioso>> disse prendendone dal piatto un'altra forchettata.
Ciò che vedevo davanti a me, era diverso da ciò che vidi pochi minuti prima sul divano. Sembrava un'altra persona, sembrava rinata oggi. Ed erano bastate solo poche parole. Forse lo faceva solo per non restare senza alcol dopo le mie minacce o chissà quale altro motivo. Volevo chiederglielo, ma decisi di stare zitto per non rovinare quel dolce silenzio che mancava.
Una vibrazione sul mio telefono, mi diede segno che era arrivato un messaggio.
Guardai lo schermo e il nome di Federico comparve prima ancora che leggessi il messaggio.
<<Pronto?>>
<<Sei a casa?>>
<<Si>>
<<Apri la porta, scendo dalla macchina e salgo.>>
Riattaccai e andai ad aprire avvertendo papà con un: "Mio fratello è qui"
<<Ciaooo>> disse buttandosi a peso morto su di me.
"Successo qualcosa, che poco scoprirò"
<<Qualcuno è felice>>
Non mi guardò nemmeno, corse in cucina e si mise a sedere, prendendo una forchetta e iniziando a mangiare.
<<Sì, qualcuno è davvero felice>> Affermai, sedendomi accanto a lui. 
<<A cosa si deve tanta felicità? Spero non sia una donna>> disse papà. Notò anche lui il suo buon umore e ne approfitto per contagiarsi incrementando il sorriso. 

Come un fiume verso il mare  #Wattys2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora