Cap. 2

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2. I knew you were trouble

Lauren's POV

Dopo aver posteggiato nell'aera riservata ai parcheggi delle auto appartenenti agli studenti, afferro la carpetta con il "mio" curriculum e profilo.
Indosso il mio paio d'occhiali da sole firmati Ray-Ban e osservo l'edificio di fronte a me.
È la struttura principale dell'università, quella in cui mi è stato indicato di recarmi per il completamento dell'immatricolazione.
Alcuni ragazzi si voltano a guardarmi durante il mio tragitto dall'auto all'entrata. L'azione mi infastidisce più del dovuto.

Esamino i cartelli appesi al muro come indicazioni sugli uffici fin quando non individuo la segreteria principale.
Mi avvicino al vetro che separa l'ufficio dal corridoio, dove invece mi trovo io.
Attendo che alcuni studenti finiscano di parlare con la donna dietro al vetro.
Controllo l'orario dal Rolex al mio polso.
09:42
Hanno due minuti e trentasei secondi per terminare la loro discussione, altrimenti cambierò sportello.
Alle dieci in punto devo aver finito le pratiche di sistemazione e individuato il dormitorio accordato.
I tre ragazzi sforano di quindici secondi, ma sempre entro il quarantacinquesimo minuto.

"Salve, posso esserle d'aiuto?" chiede la donna, mostrandomi un sorriso cordiale.
"Il mio nome è Jade Delson, so che bisogna rivolgersi a lei per l'assegnazione del dormitorio" dico, porgendole il fascicolo dall'apertura nel vetro.
"Certo, ti faccio sapere subito" risponde, ritirando la cartellina e sistemandosi sul naso gli spessi occhiali da vista.
Attendo mentre esamina i documenti e faccio un calcolo mentale di quante ore esatte mi restano per sistemare le valigie nella stanza che mi verrà assegnata.

"Medicina, giusto?"
"Sì" annuisco.
La donna scrive qualcosa al computer e rimane perplessa per un po' davanti allo schermo.
"C'è qualcosa che non va?" mi metto immediatamente sull'attenti.
"No... È solo che... Non abbiamo più posti" mi guarda con occhi pieni di senso di colpa.
"Non ne potete rimediare una? Vengo da San Francisco, non c'è modo che io possa frequentare le lezioni andando e venendo da lì" pronuncio, attenendomi al mio profilo di informazioni.
"A te andrebbe bene sistemarti in una camera provvisoria finché non troviamo una soluzione?" propone.
"Mi va bene" rispondo, alzando un sopracciglio all'incompetenza dell'organizzazione.

Un'istituzione così prestigiosa e non hanno camere sufficienti per tutti gli studenti?
Tuttavia, per quanto ne so, quasi tutte le facoltà sono a numero chiuso.
In primis medicina, ma a quello ci ha pensato Thomas Milicevic.
"Ecco qui" dice, porgendomi una chiave con un cartellino attaccato, insieme al mio fascicolo.
"Un percorso di studi brillante, signorina Delson. Siamo lieti di darle il benvenuto nella University of Chicago" mi congeda.
Faccio solo un piccolo cenno con la testa, poi mi allontano dal vetro, emettendo una lieve risata ironica alla precisione di Milicevic nel curare ogni dettaglio.

Ad accompagnarmi nella mia futura camera è uno dei responsabili del dormitorio di questo gruppo di facoltà.
"Eccola qui, numero 129" mi informa.
"Se le serve qualsiasi cosa, sa che può trovarmi all'ufficio dormitori" dice, prima di lasciarmi davanti alla porta.
Aprendo, non mi stupisco del fatto che si tratta di un vecchio sgabuzzino rimediato a stanza.
Tre metri quadrati al massimo, a quanto riesco a misurare a vista.
Una finestrella a due ante si apre in opposizione alla porta. Il letto è posizionato al muro alla destra dell'entrata. Almeno hanno scelto di appoggiarlo ad un muro interno.
Affiancato al letto, un modesto comodino di mogano, vuoto.
Non è male.
Non rientra sicuramente fra i posti peggiori in cui ho "alloggiato".
Nulla batterà mai le due settimane trascorse nel magazzino di cemento, fra i sacchi di quel materiale che mi ha causato problemi respiratori che mi trascino ancora, solo per osservare le abitudini del mio obiettivo.
Caso difficile.

Poso le mie valigie e le apro, distogliendo la mente dai ricordi.
I vestiti rimarranno lì, sono sprovvista dell'armadio.
Mi siedo sul letto e tiro fuori tutta la mia attrezzatura.
Posiziono la mia valigetta delle necessità sotto al letto, nell'angolo adiacente al muro.
Compongo il numero di Milicevic e attendo.
"Miss. Nihil?" risponde l'uomo "È arrivata?"
"Sono al campus. Mi hanno assegnato una stanza provvisoria perché hanno esaurito tutto" lo informo, accendendo il laptop.
Sento un grugnito dall'altro capo del telefono.
"Lasci che sistemi questa faccenda. Entro domattina sarà nella stanza accordata. Intanto..." intercetto alcuni rumori quando Milicevic smette di parlare "le sto inviando dei file di informazioni che deve leggere e memorizzare bene" sottolinea l'ultima parola.
"D'accordo. Riguardano l'obiettivo indiretto?" domando.
"Certo, Nihil. È questo il suo compito per ora, la fase A"
"Quanto durerà la fase A? Non prediligo i tempi indefiniti" insisto, infastidita.
"Avrebbe dovuto pensarci prima di firmare" ride ironicamente lui "in ogni caso, dipende unicamente da lei. E sa a cosa mi riferisco, ne abbiamo discusso a lungo"
"Ha scelto me di proposito, proprio per quello?" domando, irritata dalla mentalità di quell'imprenditore.
"Fra gli altri motivi" risponde.
"E se non dovesse funzionare? E se non abboccasse? Ha un piano di riserva, almeno?"
"Oh, sono sicuro funzionerà. E non spetta a lei, miss. Nihil, fare tutte queste domande. Si attenga al suo compito e, soprattutto, mi riferisca ogni mossa sia sua che dell'obbiettivo indiretto" mi istruisce.
Nel frattempo, controllo la mia casella di posta dove trovo un file nominato K.C.C.

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