Sam: mal di stomaco

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- James? - lo chiamai a bassa voce per capire se stesse dormendo.
- mhhhhh... Dimmi - mi rispose in un lamento.
Ci eravamo seduti vicini alle basi della quercia con la schiena contro il solido tronco e James aveva appoggiato la sua testa sulla mia spalla mentre io gli avevo cinto il busto con il braccio.
Il sole era alto in cielo e la nebbia pian piano si era diradata fino a sparire del tutto.
All'inizio, mentre ci eravamo seduti da poco, avevamo notato delle macchioline nere indistinte all'orizzonte che camminavano sui campi. Diradandosi la nebbia e avvicinandosi sempre più a noi notammo che erano delle persone che seminavano a spaglio il grano sul terreno.
Erano qualche centinaio e visti da qui sembravano un mucchio di formiche febbrilmente all'opera con la testa chinata verso il terreno.
- James, proviamo a parlare con uno di loro, che ne dici? - gli proposi.
- mmhhh... -
- James... - non ricevendo risposta scrollai le spalle per svegliarlo.
- dai, andiamo a parlarci e proviamo a capirne qualcosa - gli dissi, aiutandolo a tornare giù dal mondo dei sogni.
- si, soltanto se mi dai un bacio - mi disse mentre si stiracchiava.
- forza, in piedi! - gli dissi mentre alzandomi, sgranchivo le gambe addormentate.
- va bene, va bene... Almeno puoi aiutarmi ad alzarmi? - mi disse, allungando le braccia verso di me
Mi avvicinai, puntai i piedi per terra e dopo aver preso le sue mani tirai verso di me.
Inizialmente si stava alzando ma poi sentii qualcosa con forza tirarmi giù, era James che mi stava tirando a se con le braccia.
Tentai di oppormi ma James era più forte di me.
- smack! - mi disse, mentre mi  dava un tenero bacio sulla bocca.
- ahh... Sei proprio una testa quadra è? Ottieni sempre quello che vuoi, non è giusto! - ma in fondo in fondo non mi lamentavo mica poi così tanto del bacio.
Ci avviammo e camminammo un chilometro circa verso il puntino nero più vicino.
L'uomo notandoci, abbassò il capo e iniziò a lavorare più freneticamente.
Portava dei vestiti stracciati e una grande sacca sulle spalle che conteneva il grano da seminare.
Non indossava le scarpe e stava a piedi nudi sulla terra gelata. Aveva evidenti segni di lesioni da congelamento sui piedi e chiari segni dei sintomi da ipotermia. Aveva tutte le dita dei piedi e delle mani con una leggera sfumatura tendente al blu.
Guardandolo così ridotto, mentre sotto i nostri occhi lavorava spaventato, provai pena e compassione per lui.
- è disumano... - dissi, senza essermi rivolto a nessuno in particolare.
Arrivati vicino all'uomo notai un dettaglio macabro.
Tatuato sul braccio destro aveva impresso a fuoco vivo lo stemma degli Wood, un fiore di ciliegio.
Ero sicuro che fosse di ciliegio perché quando mi svegliai dallo svenimento nella camera di James, notai sul comodino lo stesso stemma intarsiato che rappresentava questo fiore dai petali rosa.
James mi aveva spiegato poi che il fiore di ciliegio era il simbolo della sua casata perché si rifaceva ad una vecchia storia antecedente alla grande guerra.
Mi disse che in antichità i fiori del ciliegio erano bianchi ma che si erano poi macchiati del sangue delle vite umane perse in guerra. Quel fiore era il simbolo quindi della rinascita della nostra civiltà sul sangue versato in passato.
Decisi di sfiorare il braccio dell'uomo per attirare la sua attenzione e parlargli.
Toccando il braccio sentii quanto era freddo.
Quell'uomo stava male e aveva bisogno di aiuto.
- mi scusi... - tentai di approcciarmi.
Lui non rispose, continuò il suo lavoro a volto basso.
James si mise allora davanti all'uomo e gli parlò - signore, lei è ferito, ha bisogno di cure. Venga con noi, possiamo aiutarla - gli disse gentilmente.
- no, no, no, no -  ripeté l'uomo con una nota di paura, senza mai alzare lo sguardo dalla terra fredda.
- non mi sono ancora presentato, sono James Wood. Fermati un attimo - disse lui, tentando di comunicarci.
L'uomo sentendo il nome del ragazzo, ebbe un piccolo sobbalzo, quasi impercettibile. Fece quello che gli disse James. Quasi gli fosse stato impartito un ordine l'uomo si fermò tenendo tra le mani una manciata di semi non ancora buttati sulla terra.
La situazione rimase silenziosa e inquieta per qualche secondo. Qualcosa non stava andando come doveva ma non riuscivo ad afferrare il problema.
L'uomo alzò lo sguardo verso James. Rabbrividii. L'uomo era cieco e le orbite degli occhi erano marrone spento come la terra che aveva sotto i piedi.
- ascolti, noi possia...- continuò James.
Fu interrotto dal grido cacciato dall'uomo.
Il vecchio malmesso si lanciò verso James, scaraventandolo a terra.
James batté la testa su una zolla congelata e cacciò un urlo, mentre l'uomo si mise a cavalcioni su di lui.
- voi, voi! Avete preso mia figlia, dové! Dové! Ridatemela! - quello che doveva essere un lamento suonò come un urlo di rabbia.
L'uomo strinse le dita attorno al collo di James, io ero paralizzato.
- mi avete accecato, avete lasciato morire mia moglie di fame e mi avete tolto l'unico raggio di sole rimasto nella mia vita, ridatemela! - urlò, mentre faceva sempre più pressione sul collo di James.
Dovevo fare qualcosa. Mi avvicinai ai due e sferrai un calcio alle costole dell'uomo. Lui cadde a terra senza fiato. Mi misi così a cavalcioni su di lui e gli presi le braccia per i polsi, bloccandole al terreno.
- di... Di cosa stai parlando? Spiegati - gli dissi sconvolto.
- voi, la famiglia Wood! Ci trattate come schiavi, bestie! Ci sfruttate senza il minimo rimorso e ci trattate come animali da macello! -
Per un secondo vidi annebbiarsi la vista.
- ahhhhhh! - urlai, lasciando l'uomo e riversandomi a terra.
James mi guardò spiazzato. Si mise sopra l'uomo e gli urlò - cose gli hai fatto? Dimmelo! - perdendo completamente il senno.
- niente, io non gli... - non terminò la frase.
James gli tirò un pugno dritto sul naso violentemente.
- cosa gli hai fatto! - urlò di nuovo. Il volto completamente rosso, la mente offuscata dall'ira.
- James.. James, non ha fatto niente - tentai di dire, allungando la mano verso di lui tentando di sfiorarlo.
Non mi aveva sentito così dovetti fare uno sforzo immenso per allungare il braccio e toccarlo.
- James, non è colpa sua... Non ha fatto niente - gli sussurrai tra la morsa del dolore.
Avevo una fortissima fitta allo stomaco e non riuscivo a respirare.
Mi si offuscò nuovamente la vista e svenni.

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Mi svegliai sulla carrozza, in viaggio di ritorno.
- Hey... Come stai piccolo? - mi disse James, notando che mi ero svegliato.
- sto meglio - gli dissi, tentando di sollevarmi.
Le fitte allo stomaco erano passate.
- eri svenuto, così ho lasciato l'uomo lì dove era e ti ho portato alla carrozza-. James mi guardava seriamente preoccupato.
- Sam, cos'è successo? -.

Un altro capitolo si conclude nello sconvolgimento generale. Cosa è successo a Sam? Lo scopriremo nel prossimo capitolo, voi intanto lasciate le stelline e i commenti, mi raccomando!

Abbracciami e Non Dire NienteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora